Il “ferragosto”, sganciato dall’Assunta, rischia di risolversi in una giornata inconcludente

Ieri, domenica, giorno del Signore, ci siamo ritrovati per celebrare una delle feste più antiche ed amate in onore di Maria SS.ma. Abbiammo celebrato infatti, la sua Assunzione in cielo, un mistero grandissimo che ci fa contemplare Maria assisa nella SS.ma Trinità, in anima e corpo. Rinnoviamo allora sinceramente, insieme a tutti i nostri fratelli di fede, l’amore a Maria e lodiamola per le “grandi cose” che Dio ha compiuto in lei. Come sempre lasciamoci guidare dalle letture della liturgia del giorno. Iniziamo dalla seconda lettura; in essa San Paolo ci offre la chiave di lettura per cogliere, in maniera unica ed originale il privilegio concesso a Maria. Interpretiamo quindi, in maniera corretta il significato autentico, vero, della festa dell’Assunta, definita anche come “Pasqua estiva”. Infatti oggi, non a caso, san Paolo, con un grido prorompente di gioia, ci ricorda che «Cristo è risuscitato dai morti». La Risurrezione di Cristo, è l’annuncio fondamentale della cristianità: con la sua Pasqua Gesù ha sconfitto la morte una volta per tutte e l’ha fatto per sé e per tutti noi. Questo è il motivo per cui i credenti possono attestare gioiosamente di partecipare alla sua stessa vittoria. Cristo è la primizia, il primo dei risorti, continua san Paolo, il primo di una lunga serie, alla quale apparteniamo anche noi, popolo di Dio, pellegrinante nel tempo e nella storia. Anche noi, dunque, è chiaro, risorgeremo. Ma chi, più di Maria, può appartenere a Cristo? Gesù, proprio da Lei, ha ereditato l’anima e la carne, Lei assomiglia a Cristo più di ogni altra persona, con una somiglianza tale da trasformare dal di dentro la sua stessa vita. Infatti, la vita di Maria non solo è assimilata a quella di Cristo, ma è in essa inserita pienamente, integrata totalmente, resa un tutt’uno. La vittoria di Cristo allora, si riversa pienamente anche su Maria. L’Assunta ci indica la piena compartecipazione della Madre al destino del Figlio. Questa stessa verità è ribadita anche nella prima lettura: mentre San Paolo ce la rivela tramite concetti, San Giovanni ce la illustra con il racconto di una visione, straordinariamente suggestiva e ricca di simbologia. Ci viene presentato un drago e una donna. Con questi simboli, l’evangelista Giovanni sembra riproporci le primissime pagine della Genesi, purtroppo tinte di tristezza; con il peccato originale infatti, il genere umano si fa carico di una sorte sconvolgente: il suolo che calpesterà non è più terra di gioia e di vita – il paradiso terrestre – ma è spazio inquinato dalla morte. Dalla seconda lettura però, ci giunge una parola di speranza: non è il male a vincere, ma è il bene. Non è il drago a sovvertire il progetto di Dio ma è il progetto di Dio che vince il male. In ultima analisi, non è la morte ad annientare la vita, ma è Cristo Signore, che con la sua risurrezione sconfigge la morte, l’ultima nemica dell’uomo. Nel Vangelo di oggi (Lc 1,39-56) c’è un chiaro riferimento alla gioia del cristiano. Incontrandosi con Elisabetta, Maria rivolge a Dio il Magnificat, il suo grazie. In particolare esclama: «Dio ha esaltato gli umili». Non un’affermazione di principio, piuttosto sono parole autobiografiche con le quali Maria si presenta mostrando il suo volto più vero, più bello, più affascinante. È stata proprio questa umiltà ad attirare su di lei lo sguardo benedicente del Signore. E Dio veramente l’ha esaltata, chiamandola a un destino di gloria. “L’ha esaltata!”. Gli studiosi della Bibbia attestano che questo verbo, usato qui da Luca, ricorre in altre pagine del Nuovo Testamento, e sta ad indicare l’esaltazione di Gesù, soprattutto nel momento della sua Pasqua. Anche qui si evince chiaramente che Maria è stata chiamata a partecipare in maniera singolarissima, perfetta e definitiva alla Pasqua del suo Figlio. Non c’è da stupirsi che Maria sia stata assunta alla gloria del cielo perché questo è il destino di salvezza a cui tutti gli uomini sono chiamati. Maria è stata solo la prima a cogliere dal suo Figlio il frutto di salvezza che è stato promesso a tutti noi. Non a caso il prefazio della Messa di oggi denomina Maria «sicuro segno di speranza» per tutta la Chiesa e per ogni cristiano. Carissimi, di fronte a questo destino non c’è né dubbio né paura. C’è solo la certezza che viene dalla fede: la speranza che non delude. L’Assunzione ci dice che non sarà la morte ad avere l’ultima parola sulla nostra vita, perché dove oggi è Cristo, e con lui Maria, lì un giorno saremo anche noi! Questa festa mariana abbatte così la struttura del cosiddetto immanentismo contemporaneo, il ritenere cioè che non esiste alcun destino ultraterreno per la vita umana, ma che tutto si risolva entro l’orizzonte angusto di questa terra. L’uomo non ha alcun’altra prospettiva che quella di concludere tutto con la morte; in questi termini, si vivrebbe come “candidati alla disperazione”. In realtà, tutto ciò è illusione: l’uomo tenta di costruirsi un paradiso qui in terra, perché non crede più al paradiso del cielo. Anche la stesso “ferragosto”, sganciato dall’assunzione di Maria, rischia di risolversi in una giornata inconcludente, intessuta solo di riposo e di divertimento. In realtà, è vero il contrario: la festa dell’Assunta, – e lo abbiamo visto – ci dà di gustare come preziosi doni del Signore anche le piccole gioie di una vita veramente umana, la gioia della contemplazione delle cose belle, del creato e dell’arte; la gioia del viaggio, dell’incontro e dell’amicizia; la gioia del meritato riposo e dello svago che rinnova e ritempra; la gioia di incontrare il Signore, ascoltando la sua parola e cantando il suo amore per noi. Possa Maria avvolgerci con il suo manto per appartenere solo a Lei e al Figlio suo Gesù Cristo che vive nei secoli e per l’eternità. Amen.

Fra Frisina

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