Forse il vero amico è celato tra chi ci sembra indifferente

La Parola di Dio proclamata in questa domenica non può lasciarci in balìa dell’indifferenza o della superficialità. Ciascuno di noi infatti, prima o poi, nel segreto del proprio cuore, è chiamato a rispondere alla domanda di Gesù: “E voi, chi dite che io sia?” Immaginate un pò se coloro che vivono a fianco a noi potessero conoscerci non per quello che sembriamo ma per quello che realmente siamo, senza “mi sembra”, senza “mi pare”. Sarebbe bello, ma soprattutto onesto, se anche noi nel segreto del cuore potessimo dire il vero circa la nostra reale identità. Oggi si giudica troppo facilmente, carissimi fratelli e sorelle; la pagliuzza del fratello è sempre servita sul vassoio e la trave del nostro occhio è la scala per raggiungere le nostre mille ipocrisie. Un giorno al passaggio di una persona molto ricca, sentii dire: “Quello è un uomo felice e fortunato; possiede tutto quello che si può desiderare”. Quella stessa persona poi, fissandola attentamente negli occhi in un secondo momento, mi rivelò una profonda tristezza. Quanti abbiamo creduto nostri amici e non lo sono stati; quanti invece incontriamo che ci sembrano indifferenti e forse sono proprio loro i veri amici. Morale della favola: come è difficile conoscere l’uomo: egli è mistero a se stesso. Anche Gesù un giorno, volle sapere cosa pensavano di Lui coloro che Lo seguivano; da quella risposta avrebbe potuto intuire tante cose: l’ affetto, la  stima, ma soprattutto “il perché” Lo seguivano. In quel tempo tutti aspettavano la venuta del Cristo, del Messia, ma ognuno di loro a modo suo: alcuni aspettavano un re, altri un sacerdote, altri un dottore, un guerriero, un giudice o un profeta! Nessuno sembrava aspettare il messia servo, quello annunciato da Isaia, Servo e Sofferente. Ma per conoscere la vera identità di Gesù occorre aver fede e, illuminato dalla fede, questo “conoscere” vuol dire tante cose: entrare nel cuore, farsi amare da Gesù, abbandonarsi totalmente a Lui. Senza questa prerogativa Gesù rimane un maestro d’Israele come tanti altri. Quando incontriamo una persona e con essa instauriamo il legame della “particolare amicizia”, la prima cosa che chiediamo è quella di poterla conoscere fino in fondo, senza alcuna ombra. Molti forse lo sperimentano: se si raggiunge questa finalità l’amicizia allora, assume i connotati della felicità. Vogliamo essere felici? Penso proprio di sì! Impariamo a conoscere Gesù. Come? C’è bisogno di frequenza nella preghiera, pratica costante dei Sacramenti, lettura assidua e meditata della sua Parola. La domanda che Gesù fece ai suoi, oggi la rivolge anche a tutti noi cristiani. Esige da noi una risposta chiara, una risposta “da amici”. E, cosa diremmo di Lui? Chi insiste nel mantenere l’idea del Messia glorioso senza la croce, non giungerà mai ad assumere l’atteggiamento di vero discepolo. Continuerà a camminare nel buio, scambiando lucciole per lanterne. “E voi, chi dite che io sia?” Misuriamo il senso di appartenenza a questa grande famiglia cristiana! Dio non voglia che questa appartenenza sia esteriore! E fa veramente male, se non addirittura scandalo, carissimi, incontrare “gente di Cristo”, con comportamenti che sono contro la sua amicizia. Qui è la nostra crisi. Quella che ci impedisce di assaporare la bellezza di un autentico rapporto con Dio. Sperimentiamo anche noi il momento della croce e ci vengono in mente quelle parole che forse un po’ incutono timore: “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce, ogni giorno, e mi segua”. Che cantonata! Il Cristiano che sceglie liberamente di essere tale non può esimersi dalla croce. Il cristiano e la croce sono inscindibili, due realtà che non possono viaggiare separate. All’epoca di Gesù, lo sappiamo, la croce era la pena di morte che l’impero romano imponeva ai malfattori, e Gesù fu considerato un malfattore. Per noi cristiani, la croce non è un incidente di percorso, fa parte del nostro cammino qui in terra. Senza la croce è impossibile capire chi è Gesù e cosa significa seguire Gesù. La comprensione piena di Gesù non si ottiene mediante istruzioni teorico-dottrinali ma mediante l’impegno pratico: camminando con lui e portando, come Lui, la croce. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno, e mi segua”. Carissimi, queste parole esprimono la radicalità di una scelta che non ammette ripensamenti. È un’esigenza dura che se da una parte ha scoraggiato dall’altra ha anche prodotto frutti mirabili di santità e di martirio, che nel tempo hanno confortato il cammino della Chiesa. Non ci sono due strade, ma una soltanto: quella percorsa dal Maestro. Al discepolo non è consentito di inventarne un’altra. Gesù cammina davanti ai suoi e domanda a ciascuno di fare quanto Lui stesso ha fatto. In altre parole, Gesù domanda di scegliere coraggiosamente la sua stessa via, quella di rinnegare se stesso e ciò significa saper rinunciare ai propri progetti per accogliere solo quelli di Dio: ecco il cammino della conversione, della santità, quello che ha portato l’apostolo Paolo ad affermare: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Se vivere alla sequela del Signore diventa il valore più importante, allora tutti gli altri valori ricevono da questo la loro giusta collocazione ed importanza. Cristiani è seguire Cristo fino in fondo, soprattutto nelle circostanze spesso drammatiche del vivere quotidiano; seguire Cristo significa non temere insuccessi, difficoltà, emarginazioni, solitudini, perché solo Lui riempie il nostro cuore; seguire Cristo è la via della pace, del dominio di sé, della gioia profonda del cuore. E possa il Signore riempirci il cuore e la vita di questa gioia per poter contagiare felicemente tutti coloro che incontriamo sul nostro cammino.

Fra Frisina

Foto: www.agriturismo-roccamaia.com

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