Enrico Rasetschnig, in mostra sino al 2 gennaio alla Art Gap di Via S. Francesco a Ripa 105

Enrico Rasetschnig. Paesaggio

Enrico Rasetschnig, romano, vanta nel suo DNA un miscuglio di colori. Suo padre, infatti era di origine austriaca e sua madre italiana. Entrambi, però, esuli della Venezia Giulia. Quando, nel 1947, il paesino dove vivevano passò alla Jugoslavia, i due coniugi decisero di rifarsi una vita nella Capitale, dove è nato Enrico. Date le origini, quindi, nell’animo del ragazzino non poterono che riflettersi emozioni forti e varie ma sfumate, quelle che in seguito riprodurrà sia nelle sue tele che negli altri materiali da lui scelti.

I nonni paterni, vissuti ai tempi dell’Impero austro-ungarico gli trasfusero due passioni: la pittura e la musica. Dalla nonna pittrice Enrico Rasetschnig apprese l’arte della scuola viennese, quella di Gustav Klimt, Egon Schiele e Oskar Kokoschka. Dal nonno, violinista dilettante, le melodie di Strauss. Oltre che la spatola e i pennelli, infatti, Rasetschnig si esibisce spesso con il suo complessino, sia al pianoforte che alla chitarra.

Enrico Rasetschnig, un artista non per caso

Enrico Rasetschnig. Un volto

Ma è la pittura che avvinse il nostro sin da piccolo. Il padre – anche lui pittore per diletto – però, fu subito chiaro: “Prima ti diplomi, poi vai a fare il militare e infine, nel tempo libero, ti potrai dedicare alla pittura”, gli ordinò in tedesco. Il giovane Enrico si mise sull’attenti, si prese la maturità classica e si arruolò come ufficiale. Poi, al ritorno dalla naja, poté dare sfogo a tutte le sue emozioni con i colori. Espose a Fondi, alla Galleria Emilio Greco di Sabaudia, a Via Margutta, al Parco Leonardo di Fiumicino, a Ostia, all’expo Arte di Dragona.

Abbiamo avuto il piacere di ammirare le opere dell’artista al vernissage della sua esposizione alla Galleria Art Gap, in Via S. Francesco a Ripa, 105. Fortunatamente per i nostri lettori, la mostra sarà aperta sino al 2 gennaio. Rasetsching predilige utilizzare pochi colori per le sue opere che sono quasi sempre bicromie (soprattutto le prime) e tricromie. Preferisce le terre, il blu, il rosso, il grigio, l’arancione e il giallo. Al massimo, vi inserisce poche bordature di bianco o di nero. Alterna colori caldi a colori freddi.

Dopo essersi prevalentemente dedicato alla pittura a olio, su tela o su cartone, Rasetschnig si è gradualmente spostato verso l’acrilico, fino ad utilizzarlo del tutto. Poi lo ha integrato con l’utilizzazione di gessetti, matite, carboncini, oil stick, smalti e cera a freddo. Attualmente si dedica anche alla tecnica della pittura su tela grezza, che gli permette di dare più pathos al dipinto.

La tecnica dell’artista

Enrico Rasetschnig. Paesaggio

La sua tecnica creativa inizia sempre con il tracciare sul supporto da lui scelto una serie di segni a caso, quasi d’istinto. Usa grafite, fusaggine, gessi colorati e matite. Poi si mette a osservare queste tracce casuali anche rovesciando più volte la tela. Quando realizza il soggetto che può venirne fuori, sceglie i colori e li passa sul supporto, sempre in modo quasi istintivo. Sinché il dipinto prende forma e diviene opera d’arte.

Tutte le sue opere, ma soprattutto i paesaggi, sono bidimensionali. Ciò per precisa scelta concettuale. L’artista, infatti, ritiene che la terza dimensione sia uno spazio psichico e, per questo, la lascia alla sensibilità dell’osservatore. Più che l’espressionismo della scuola viennese, quindi, l’artista sembra influenzato maggiormente dall’impressionismo astratto, dal surrealismo e dal dadaismo. Nelle poche opere in cui si dedica al figurativo, la sua soggettistica è informale, in alcuni casi protesa verso il cubismo picassiano.

Il vostro cronista, sinceramente, si è trovato inizialmente spaesato di fronte ad un’arte sicuramente difficile da assimilare, prima di poterla capire. Poi ha trovato il filo d’Arianna che lo ha guidato nel labirinto delle sfumate colorazioni “rasetschnighiane”. Il titolo dell’opera. Una volta letto, gli si è aperto un mondo. E’ forse il titolo dell’opera, la scintilla che permette all’osservatore di accogliere le proposte bidimensionali dell’autore nel proprio spazio psichico, per infondergli quella terza dimensione che l’artista stesso gli ha delegato. Un processo che, a nostro parere, è veramente rivoluzionario nel contesto artistico di questo secolo.

Enrico Rasetschnig ha ultimamente preso a dedicarsi anche alla scultura. Nella sua mostra trasteverina, purtroppo, tali opere non sono esposte. Per quello che abbiamo potuto vedere dai filmati proiettati, l’artista, in questo campo, indugia nel figurativo molto più che nella pittura. Ci riserviamo di farcene un’opinione più approfondita in una esposizione dedicata che – speriamo – sia prossima.

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