Caso Emanuela Orlandi. Il fratello Pietro parla del ruolo di Nicola Cavaliere e dello 007 Gangi

orlandi_pietroSpesso si è parlato di un probabile coinvolgimento del Sisde nel rapimento di Emanuela Orlandi e del ruolo decisivo dell’ex 007 Giulio Gangi, trasferito d’ufficio dopo un’ inchiesta condotta dal giudice istruttore Adele Rando, che ne attestava più di una responsabilità. Essendo un amico di famiglia, subito dopo il rapimento Gangi aiutò gli Orlandi nelle indagini.

A dire il vero inizialmente si pensava che il sequestro potesse risolversi in poche ore, ma ben presto si intuì che si trattava di un vero e proprio intrigo internazionale, così la famiglia Orlandi dovette rivolgersi alla questura, interrompendo il filo diretto con lo 007 del Sisde.

La Polizia, prima che il Vaticano stoppasse le indagini, era riuscita a scoprire che uno dei misteriosi mediatori, in contatto telefonico con gli Orlandi, chiamava da una cabina della stazione Termini, che fu messa immediatamente sotto controllo.

Sebbene le telefonate partissero da quella postazione, in realtà dentro la cabina, durante le telefonate, non si trovava nessuno in quanto l’ interlocutore si serviva d’ un apparecchio per la triangolazione delle telefonate, un aggeggio altamente all’avanguardia per l’epoca che consentiva di far rimbalzare su un’ altra utenza la chiamata iniziale, proteggendo il numero di partenza.

Chiaramente, trattandosi di uno strumento altamente sofisticato e non alla portata di tutti, apparve evidente che chi lo usava non era una persona qualunque.

Cosa chiedeva l’uomo?

La richiesta era quella di uno scambio di prigionieri in cambio di Emanuela (facendo trovare nastri con registrazioni fasulle ma manipolate da professionisti).

Su tutti si chiedeva la scarcerazione di Ali Agca, almeno volendo credere al rapimento per scopi politici, di chi avversava l’anticomunismo di Giovanni Paolo II.

Tale ipotesi è stata confermata da Marco Fassoni Accetti. L’uomo ha sempre sostenuto la tesi del rapimento per scopi politici, finito improvvisamente male.

Accetti, arrestato nel dicembre dello stesso anno per l’incidente mortale in cui morì il tredicenne Josè Garramon, ha altresì precisato che Emanuela è viva e che dopo la scarcerazione ha perso ogni contatto con gli altri organizzatori del rapimento della ragazza.

Per tornare alla storia di Emanuela, precisiamo che gli investigatori ritennero che il rapimento della giovane cittadina vaticana avesse una duplice spiegazione ed avesse avuto un duplice finale.

Il primo, tragico, finito subito dopo la scomparsa (il 22 giugno 1983).

Il secondo, voluto da qualcuno che aveva interesse a ricattare il Vaticano per recuperare parte della somma perduta nel crack del Banco Ambrosiano (cui lo Ior di monsignor Marcinkus era collegato).

Gli Orlandi in questo caso sarebbero stati usati come punto di contatto con il Vaticano per veicolare “l’indennizzo”.

Gangi in realtà più che depistare le indagini, le confuse forse in buona fede.

In ogni caso venne trasferito d’ufficio dal Sisde a seguito dei risultati dell’ultima istruttoria condotta dalla giudice Adele Rendo.

Ebbene, il 21 ottobre Pietro Orlandi nel corso del programma Rai “Storie vere” è tornato a battere sull’argomento, divenuto la principale lotta della sua vita.

Pietro Orlandi in questi 30 anni è stato bombardato di informazioni verosimili, false, vere, assurde e da sempre cerca di trovare il briciolo di verità o il nesso remoto che leghi le notizie riportate.

Indubbiamente una delle figure centrali di questo ultimo periodo è quella del supertestimone Marco Fassoni Accetti, l’uomo che si è accusato di essere uno dei telefonisti durante il sequestro.

Il fotografo, indagato, ha fatto rinvenire il presunto flauto di Emanuela e probabilmente sarà rinviato a giudizio davanti a una Corte d’Assise entro la fine dell’anno.

In trasmissione Pietro Orlandi ha ribadito che oltre a Gangi, anche l’attuale vicecapo della polizia e vicedirettore operativo dell’Aisi (servizi segreti) riferirono ai familiari che il Vaticano fece pressioni per rallentare l’attività investigativa.
”Io conosco il dott. Nicola Cavaliere dall’epoca in cui si occupò anche della sparizione di Emanuela. Si è prodigato da responsabile della squadra omicidi di Roma e ha sempre mostrato grande umanità verso me e i miei familiari. Ricordo che partecipammo insieme al programma Telefono Giallo. Circa quattro anni fa lo incontrai per fargli ascoltare la cassetta con la registrazione dell’incontro che ebbi con Ali Agca a Istanbul, nel gennaio 2010, quando il Lupo grigio era appena uscito di prigione. Documento che è stato totalmente ignorato dagli inquirenti. Fu in quell’occasione che mi espresse questa considerazione. In particolare sul fatto che i suoi superiori avessero subito pressioni dal Vaticano per rallentare le indagini, mentre queste erano pervenute a una fase chiave”.

Quel che è peggio, fa notare Orlandi, è che in questi anni il Vaticano ha sempre respinto le richieste di rogatoria per interrogare prelati e personaggi coinvolti a vario titolo nel caso.

Inoltre non ha mai fornito agli inquirenti le registrazioni dei dialoghi tra i rapitori e la segreteria di Stato vaticana.

Per finire, l’apposizione del “segreto pontificio” ha fatto calare un velo impietoso e inappellabile all’intera vicenda.

In merito alle telefonate Pietro ha dichiarato “Le telefonate ci sono state, eccome. Vi era pure un codice, il numero 158 che, pronunciato al centralino, faceva sì che venisse subito data la linea all’interlocutore all’interno del Vaticano”.

Peccato che nessun inquirente è riuscito a scalfire il muro di gomma delle mura leonine e che la risposta più frequente ricevuta è stata “ La verità è nel Vaticano, ma che possiamo fare?”

Nessuno ad oggi è riuscito a capire e sapere, neppure il magistrato Domenico Sica, il “nembo sic” dei misteri italiani, morto a settembre. Il “magistrato unico” si recò in Vaticano per ascoltare in diretta qualche telefonata e subito dopo essere uscito arrivò una telefonata all’avvocato degli Orlandi in cui l’anonimo affermava: “È inutile che fate venire il poliziotto al centralino del Vaticano”.

di Simona Mazza

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