Vendere l’avorio degli elefanti per bloccare la caccia al rinoceronte

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L’Africa è una terra ricca di contraddizioni, a cominciare dal suo paesaggio, inospitale eppure così stupendo da entrarti dentro tanto da non volerlo più lasciare. Un paesaggio magnifico e terrificante al tempo stesso, di savane e riserve naturali a perdita d’occhio, di pachidermi e di bracconieri.

Volete sapere qual è la più recente e paradossale di tutte le sue contraddizioni?

Gli elefanti africani, un tempo specie a rischio d’estinzione, oggi sono troppi e rischiano di danneggiare ulteriormente ecosistemi già fragili, come quello dello Zimparks, la riserva naturale dello Zimbabwe. Oggi il vero pericolo lo corrono i rinoceronti, uccisi a decine per la preziosa polvere del loro corno, l’ultimo must have del mercato del lusso in Oriente.

Da una parte, dunque, gli elefanti. Da quando nel 1990 il Cites (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora) ha vietato il commercio dell’avorio, il mercato dell’artigianato di oggetti e monili, un tempo fiorente, ha subito una battuta d’arresto. La legge dello Zimbabwe consente l’esportazione di massimo cinque manufatti in avorio, ma la legge di Europa, Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti proibisce l’importazione anche di un unico articolo.

Da allora, con la caduta della richiesta da parte dei turisti, il bracconaggio ha perso interesse per i famosi pachidermi con la proboscide, che si sono riprodotti ad un tale ritmo da costituire ormai un problema per la flora e la fauna della savana. Quando si spostano in branchi infatti danneggiano la vegetazione, divelgono alberi, consumano cibo e acqua in quantità tali da privarne le specie più deboli.

Dall’altra il rinoceronte: il suo prezioso corno vale 250/300mila dollari al chilo, contro i 250 dollari di un chilo d’avorio. I cacciatori di frodo ne hanno uccisi quasi mille dal 2007 al 2011 e la stage è tristemente in crescita. Nei primi due mesi del 2012 ne sono già stati ritrovati 80, senza vita e con il corno mutilato. La costosa polvere è richiestissima in Asia, dove i nuovi ricchi sono convinti che sia una medicina  utile a curare le malattie più disparate, nonché un potente afrodisiaco naturale.

I guardacaccia avevano provato a  tagliare i corni per evitare l’uccisione dei rinoceronti. Ma a nulla è valso, in quanto il corno ricresce come la coda di una lucertola. L’ultima proposta ha suscitato ben più scalpore e un’ondata di polemiche: vendere l’avorio delle zanne degli elefanti morti (solo nel deposito dello Zimbabwe Parks and Wildlife Authority di Harare ne sono conservate circa 44 tonnellate per un valore di circa dieci milioni di dollari), per far rifiorire l’artigianato locale “legale”, e impiegare i soldi guadagnati per debellare il bracconaggio. Come? Armando meglio i rangers, equipaggiandoli di mezzi più all’avanguardia e istituendo controlli più numerosi all’interno delle immense riserve.

Proposta provocatoria, eppure interessante. Il timore è quello che una deroga al Cites faccia salire nuovamente le quotazioni dell’avorio al punto tale che la caccia di frodo torni a colpire anche gli elefanti. Ma i dirigenti del Parco scommettono che non sarebbe così: il reato di bracconaggio prevede una pena di 25 anni di detenzione, che equivalgono ad una pena di morte tanto sono insostenibili le condizioni delle carceri africane. 250 dollari al chilo è un prezzo troppo poco appetitoso da giustificare il rischio della vita, mentre la vendita di un solo corno di rinoceronte può portare un guadagno anche di 500mila dollari, una ricchezza da tramandare alle generazioni future per un paese da anni sull’orlo della bancarotta come lo Zimbabwe.

Eleonora Alice Fornara

foto: greenfudge.org      earthtimes.org

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