Uomini e Caporali

pomodoriL’Italia del XXI secolo è ben lungi dall’essere uno stato di diritto. Tra i comparti in cui i diritti vengono calpestati c’è quello del lavoro nero: se la manodopera richiesta non è specializzata, il lavoro è affidato a persone che vengono reclutate senza molte formalità. È il caso del lavoro agricolo stagionale soggetto al caporalato, vero e proprio sistema di potere di tipo mafioso che controlla il lavoro dei braccianti. La maggior parte di questi sono immigrati extracomunitari provenienti dall’Africa sub-sahariana.

Secondo l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) un terzo della produzione nazionale di pomodoro ha luogo nella provincia di Foggia. Vicino ai campi di raccolta sono sorti interi villaggi di capanne e di case coloniche abbandonate in cui le condizioni di vita sono indegne di un paese civile. Per questo sono chiamati ghetti. La Regione Puglia ha tentato di smantellarne alcuni, in particolare quello di Rignano che in estate arriva a ospitare 1500 persone. Il progetto “Capo Free, Ghetto Off” aveva lo scopo di estirpare il caporalato e dare condizioni di vita migliori ai braccianti agricoli di Rignano.

rignano“Se l’obiettivo era ambizioso, ancora più ardita era la strategia pensata per conseguirlo: coinvolgere i diversi attori della filiera dell’oro rosso, compresi i produttori e la grande distribuzione”. A parlare è Geppe Inserra, dirigente del settore lavoro della Provincia di Foggia. Prendere parte al progetto “é stata un’esperienza forte, forse la più significativa che ho avuto la fortuna di vivere nella mia attività presso questa amministrazione. Assieme al sindacato siamo andati nel ghetto per stimolare l’iscrizione dei braccianti immigrati alle liste di collocamento. Abbiamo sottoscritto con gli agricoltori un protocollo d’intesa per superare il lavoro nero. Soprattutto, ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere persone magnifiche come l’assessore Guglielmo Minervini. Purtroppo Minervini non ce l’ha fatta, non ce l’abbiamo fatta. Tutto quell’impegno non è bastato. Il sogno non si è avverato. I ghetti stanno ancora lì, e l’estate 2015 ha consegnato alle cronache storie ed episodi di sfruttamento ancora più biechi e drammatici del passato”.

dibattitoVenerdì 4 settembre Foggia ci ha riprovato. Grazie all’impegno di associazioni e gruppi di volontariato è stata organizzata una serata dibattito dal titolo “La filiera (non) etica: dai campi agli ipermercati”. All’inizio c’è stata la proiezione di interviste video girate da Antonio Fortarezza, film-maker foggiano che da anni denuncia il fenomeno del caporalato documentando le condizioni di vita dei lavoratori stagionali in Capitanata. Poi ha preso la parola padre Arcangelo Maira, missionario scalabriniano direttore dell’ufficio Migrantes di Manfredonia e promotore di gran parte delle attività di volontariato verso i migranti nel foggiano.

Padre Arcangelo ha raccontato l’esperienza maturata negli otto anni trascorsi a fianco ai suoi ragazzi giunti nelle campagne del Tavoliere da ogni angolo dell’Africa sub-sahariana, ha parlato degli sforzi per insegnargli la lingua, per renderli consapevoli dei loro diritti. Ha detto che saranno loro, i giovani migranti, a salvare l’Italia se gliene sarà data l’opportunità. Ha parlato dei valori che animano i ragazzi del ghetto, e della loro bellezza. “Sono nato in Sicilia e sono stato io stesso un migrante. Quando mi chiedono di dove sono non so cosa rispondere. Appartengo alle persone che ho incontrato, sono il frutto di quegli incontri”.

Poi sul podio dell’Auditorio di Santa Chiara hanno preso posto imprenditori e agricoltori, sindacalisti e giuristi, giornalisti e amministratori che hanno dato vita ad un interessante dibattito che ha messo in luce i vari aspetti della filiera del pomodoro evidenziandone contraddizioni, paradossi e illegalità. Gli attori di questa filiera non sono solo i caporali e i braccianti, carnefici e vittime rispettivamente. Intorno ad essi c’è una lunga lista di intermediari e gregari, visibili, meno visibili e invisibili, fino al consumatore finale, con in mezzo la grande distribuzione che schiaccia i piccoli agricoltori. E poi c’è una serie di regole e di leggi lacunose e inefficaci che facilitano, invece di impedirle, l’insorgere di illegalità nelle attività di raccolta, trasformazione e distribuzione del pomodoro “migliore del mondo”.

protestaL’anello più debole della catena è certamente rappresentato dai braccianti e, tra questi, da loro, dai migranti africani sfruttati oltre misura, costretti a condizioni di lavoro inumane, pagati 3 euro per ogni cassone da tre quintali. In queste condizioni l’integrazione non sarà mai possibile. A poca distanza dalla sede della manifestazione un centinaio di immigrati protestavano rivendicando l’aumento della paga oraria.

“Un dibattito o un quasi dibattito non sposta i termini di una questione decennale, o addirittura secolare, come quella del caporalato” ha postato il giorno dopo l’avvocato Claudio de Martino, uno degli organizzatori nonché membro dell’associazione onlus “Avvocato di Strada”. “Non siamo contenti per la sala strapiena, ma lo saremo se la manifestazione contribuirà a costruire una coscienza civile”.

Condividiamo questa speranza: la filiera “non etica” del pomodoro potrà trasformarsi in filiera etica solo attraverso la consapevolezza e la responsabilità di tutti. Perché tutti hanno da guadagnarci e perché, se ciò non avverrà, avranno perso tutti. Arrestare il lavoro nero e lo sfruttamento, pagare adeguatamente i braccianti immigrati, integrarli nella società, superare le logiche perverse che fanno sopravvivere il ghetto di Rignano e tutti i ghetti, sono esigenze impellenti e indifferibili. È necessario che l’Italia riesca a venire a capo di queste situazioni vergognose, che riesca ad affrancarsene definitivamente. Ed è necessario un impegno serio del governo centrale contro il lavoro nero.

Domenica 6 settembre, durante la giornata conclusiva della festa dell’Unità, Matteo Renzi ha preso pubblicamente l’impegno sacrosanto perché nell’Italia del 2015 il caporalato sia disintegrato. “Su questo voglio sfidare i sindacati: su questo punto possiamo fare un’iniziativa insieme anziché fare battaglie ideologiche”. Vedremo.

padrearcangeloVedremo se il governo riuscirà a debellare la piaga endemica del caporalato. Intanto il ghetto, che ne è espressione, è lì e, secondo molti degli intervenuti al dibattito, ci rimarrà ancora a lungo. Anche padre Arcangelo è dello stesso parere: “Il ghetto inquina e l’inquinamento rischia di propagarsi nel territorio circostante e poi ulteriormente nel paese. … Quando si va in montagna, il ritmo di marcia, in una cordata, viene dettato dalla persona più lenta, da quello che fa più fatica ad andare avanti. L’Italia cresce al ritmo del ghetto.”

Parole agghiaccianti che racchiudono un allarme e un monito al tempo stesso.

Un’altra frase agghiacciante pronunciata dal missionario è stata quella con cui ha annunciato di essere stato trasferito ad altro incarico e che tra pochi giorni lascerà Foggia. Se mai un giorno il caporalato e lo sfruttamento saranno debellati, in Puglia come altrove, lo si dovrà alla tenacia di Arcangelo Maria (foto) e alla determinazione di gente come lui. Venerdì 4 settembre, a Foggia, di questa gente ne ho incontrata molta.

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