TTIP: nessuno in Europa ha il coraggio di affondarlo definitivamente

bardanzelluTTIP cos’è? Letteralmente significa Transatlantic Trade and Investment Partnership (Partnernariato transatlantico sul commercio e gli investimenti) e sarebbe un accordo sulla liberalizzazione del commercio analogo a quello Trans-Pacifico (TPP), già firmato da Obama con undici paesi dell’area, e con i quali Washington punta al controllo globale dei mercati attraverso il commercio e la finanza.

Il TTIP creerebbe un quadro completamente nuovo nell’ambito del commercio mondiale. In particolare, le imprese (europee e statunitensi) potranno usare strumenti che espropriano il WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) delle competenze sulla composizione delle controversie commerciali a tutela delle prospettive di sviluppo economico per le proprie imprese all’estero e dell’occupazione.

In realtà tra Washington e Bruxelles ci sono sempre stati diversi e non irrilevanti punti di dissenso. Chi spingeva per la stipula dell’accordo era la Gran Bretagna, mentre gli altri partners della UE, pur sperando di strappare clausole favorevoli nei confronti del gigante americano, si erano già attenuto ad una conduzione accorta e attendista del negoziato.

Tutti fermi in attesa delle rispettive elezioni

Dopo la Brexit, invece, al di qua dell’Atlantico, l’orientamento a temporeggiare sulle questioni, in attesa di riflettere su come condurre il prosieguo dei negoziati, se non ad accantonarli del tutto, è addirittura cresciuto. Nessuno però ha il coraggio di esporsi in tal senso.

Al summit di Bratislava, Francia e Austria hanno provato a chiedere, per il momento, di sospendere le trattative, con il pretesto dell’imminenza delle elezioni presidenziali USA ma l’argomento è stato messo da parte, con evidente fastidio. Anche perché, elezioni politiche non si terranno, a breve, solo in USA ma anche nei più importanti paesi europei (Germania e Francia, in primis, per non parlare del ballottaggio presidenziale in Austria e del referendum costituzionale in Italia).

Anche un eventuale prosieguo dei negoziati, tuttavia, non avrà l’esito di far vedere la luce all’accordo che tanto piace a Barak Obama. Dopo tre anni di trattative, infatti, la bozza dell’intesa è ancora in alto mare e le parti sono ferme alle schermaglie preliminari e allo scambio di offerte.

Una miriade di opposti punti di vista tra USA e UE

A dire il vero, gli unici che hanno almeno tentato di smussare gli angoli delle proprie posizioni sono sembrati gli europei, ma gli americani hanno sempre detto di “no” opponendo loro l’atteggiamento del “prendere o lasciare”. Sul tema dell’agricoltura, comunque, l’Europa non potrà mai accettare le richieste americane di aprire i loro mercati alle carni agli ormoni o ai prodotti geneticamente modificati (OMG); d’altro canto, gli Usa non ne vogliono sapere di tutelare a casa loro i prodotti europei DOC e DOP, di cui l’Italia vanta il maggior numero di riconoscimenti.

In tema di appalti, poi, Washington oppone la clausola non negoziabile che, pur essendo aperti anche alle imprese europee, comunque il 50% dei materiali utilizzabili deve essere “made in USA”. Ciò significherebbe che, negli Stati Uniti, l’aggiudicazione dei lavori da parte di un’impresa europea creerebbe, in Europa, non più del 50% del lavoro e del Pil, rispetto ad una corrispondente aggiudicazione di lavori, in Europa, da parte di un’impresa USA. Va da se che ciò non può essere accolto.

Gli Stati Uniti negano anche alle imprese UE di poter accedere al settore dei trasporti marittimi ed aerei, mentre, a loro volta, in ambito europeo, ambirebbero ad accedere a quello della sanità e dell’educazione, pur negando all’Europa la stessa reciprocità di accesso. Inoltre, per quanto riguarda la tutela dei lavoratori, Washington si dichiara d’accordo con Bruxelles in linea di principio, ma non ha affatto intenzione di ratificare le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro, nonostante che quest’ultima sia un’agenzia delle Nazioni Unite e che gli Stati europei abbiano da tempo operato in tal senso.

Una maratona che, probabilmente, non porterà mai al traguardo

Infine, una volta giunti al termine della “maratona” negoziale – se mai vi si giunga – la ratifica dell’accordo dovrà essere sottoposta, prima all’approvazione del Parlamento europeo, poi del Consiglio dei ministri europei e, come da prassi consolidata, a quella parlamenti dei 28 Stati membri della UE; anche quello della Gran Bretagna che, formalmente, lo è ancora. Se uno solo dei parlamenti si esprime negativamente, come già accaduto altre volte, bisognerà ricominciare da capo. Tale aleatorietà è forse il motivo per cui nessuno se la sente di esporsi negativamente con Washington: tanto, del TTIP non se ne farà nulla comunque.

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