Timballo o sartù: storia e curiosità di un capolavoro “alchemico”

Con il termine timballo o sartù vengono indicate tutte quelle specialità culinarie a base di pasta, riso, carni e verdure, condite con sughi molto elaborati. 

Nella versione barocca, le porzioni devono inoltre essere abbondanti, anche perché era d’obbligo lasciare nel piatto “ ‘o muorzo d’’a crianza.”.

Avvolto da una sfoglia o racchiuso in un involucro di verdure e cotto in forno, il timballo presenta molteplici varianti regionali, apprezzate anche all’estero.

La storia di ogni singola ricetta è legata al contesto sociale e geografico, ma l’elemento che ha accomunato ogni localismo, fin dalla nascita del piatto, è stato quello di realizzare un alimento povero, “anti spreco”.

I contadini ad esempio lo riempivano con le verdure dei loro campi e aggiungevano uova o carne del pollame.

Per quanto riguarda il nome, ogni regione ha un suo termine per indicare questo capolavoro “alchemico”.

L’etimologia di timballo e sartù

Il termine timballo viene dal francese arcaico tamballe, uno strumento musicale a percussione simile al tamburo, che a sua volta viene dall’arabo. Il termine “sartù”  invece è una storpiatura napoletana della parola “sortout” (in francese “copri tutto”), ovvero “soprabito o mantello”

C’è poi chi ritiene che il termine derivi dal latino “sarcire” a significare “riparare, ricucire“. 

Oggi vi proponiamo il timballo di riso napoletano, chiamato anche sartù.

Storia del sartù

La sua invenzione si deve alla fantasia dei cuochi francesi al soldo del re delle Due Sicilie Borbone Ferdinando I (detto il re Lazzarone), nel 1700.

Il riso era approdato a Napoli dalla Spagna alla fine del XIV secolo, ma non era molto apprezzato dai reali, tanto che a corte veniva chiamato con il dispregiativo di “sciaquapanza” o “sciacquabudella”, ovvero cibo povero e poco saporito. 

Ad utilizzare le graminaceepurificatrici” erano soprattutto i medici della scuola salernitana, che lo prescrivevano (rigorosamente in bianco) in caso di malattie intestinali o gastriche. Il riso era dunque associato a condizioni di salute precarie.

Poiché la sposa di Ferdinando I, Maria Carolina d’Austria, non amava la cucina partenopea, arrivarono a corte i più raffinati cuochi francesi: i Monsù (dal francese “Monsieur“), chiamati a Napoli Morzù”.

Furono loro a realizzare questa squisita pietanza e per far apprezzare il riso al ceto nobile, aggiunsero al piatto “a pummarola”, piselli, uova sode, fior di latte, polpette e salsicce, inserendoli all’interno di un timballo di riso ricoperto da un mantello di pangrattato. 

Il re e la sua consorte impazzirono per la pietanza e da allora il cereale fu riscattato dalla sua impietosa nomea, divenendo una vera e propria istituzione nel capoluogo campano (sopratutto nei giorni di festa).

Una dedica canora

Un’antica canzone napoletana ha dedicato al sartù di riso un’intera strofa:

O’ riso scaldato era na zoza

Fatt’a SARTÙ, è tutta n’ata cosa

Ma quale pizz’e riso, qua timballo!

Stu sartù è nu miracolo, è nu sballo.

Ueuè, t’o giuro ‘ncopp’a a chi vuò tu:

è chiù meglio d’a pasta c’o rraù!”.

Anche Eduardo De Filippo omaggiò il sartù in un verso: “Nu sartù turzuto e àveto, ova toste e purpettine, cu ‘e pesielle e chin’ ‘e provola, parmigiano e fegatine, rrobb’ ‘e Napule, gnorsì. Si cucine cumme vogli’i’”.

Ingredienti

La ricetta originale prevede due versioni: una bianca e una rossa, piena di sugo corposo a base di carne. Ma anche gli ingredienti interni possono variare a seconda dei gusti.

Per le polpette

500gr di macinato

200gr di pane raffermo

uno spicchio d’aglio

un ciuffo di prezzemolo

2uova 

noce moscata

Per il riso 

kg di riso Carnaroli

1,4kg di passata di pomodoro

700ml di acqua

300gr di salsiccia

20gr di sale

una cipolla

pepe nero 

vino bianco

Procedimento 

Fate soffriggere a fiamma bassa la cipolla insieme al macinato per qualche minuto, sfumando con il vino. Una volta evaporato il vino, versate la passata di pomodoro, l’acqua e un pizzico di sale. Lasciare cuocere a fuoco basso per almeno 4 ore, aggiungendo dell’ acqua di tanto in tanto. A fine cottura mettete da parte il macinato. 

Lasciate in ammollo il pane raffermo in acqua fredda per una decina di minuti, poi versate in un recipiente la carne macinata e la salsiccia insieme all’uovo, al parmigiano e alla mollica (facendo attenzione a strizzare la mollica per benino). Aggiungete sale, pepe e prezzemolo tritato. 

Impastate fino ad ottenere un composto omogeneo, dopodiché formate delle piccole sfere. Scaldate dell’olio in padella e cuocere le polpettine per circa 3 minuti. Poi togliete l’olio in eccesso con della carta assorbente. 

Buon appetito

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