Teatro. Mr Green al Comunale di Vicenza

7 febbraio. Teatro Comunale di Vicenza. È in scena Mr Green di Jeff Baron, regia di Piergiorgio Piccoli e musiche di Stefano De Meo, con Massimo De Francovich nel ruolo del titolo e Maximilian Nisi nel ruolo di Ross Gardiner.

Il teatro, per me, è una personale ricerca del Graal e testi come Mr Green di Jeff Baron facilitano il viaggio, perché sono ricchi di indizi da scoprire, di tasselli conoscitivi non tanto di un fatto rappresentato, di una storia, ma del mondo sotterraneo che la storia nasconde.

Ricordo il caldo giorno della scorsa estate in cui mi giunse un pacchetto postale dagli Stati Uniti: avevo ordinato il testo di Jeff Baron ed era finalmente arrivato. Lo aprii con cura e, per qualche istante, tenni tra le mani il libricino verde che conteneva, quasi a dargli il benvenuto nella mia libreria. Lo faccio spesso, soprattutto con i testi teatrali, che, oltre alla storia narrata, contengono il seme delle anime che la rappresenteranno.

È un testo molto bello. Poco meno di un’ora dopo l’avevo letto e avevo gli occhi lucidi per l’emozione.

La scena è una, la casa di Mr Green, allestita in perfetta sintonia con la sua personalità, con la sua storia; il passaggio del tempo è scandito dalle battute e dal cambio degli abiti; i protagonisti sono due: un uomo giovane, Ross Gardiner, e un uomo anziano, Mr Green. Quest’ultimo rimane coinvolto in un incidente stradale provocato da Gardiner, il quale viene obbligato dal giudice a trascorrere un giorno a settimana con Mr Green, assicurandosi che stia bene e sollevandolo dagli impegni più gravosi. L’iniziale forzatura a stare vicini si trasforma via via in un’amicizia. Le loro storie si srotolano lentamente nel dialogo, passando dal serio al faceto, e arrivano a toccare corde molto personali, che, tuttavia, risuonano in gran parte del pubblico: rapporto con la religione, con la famiglia, con l’amore, con l’amicizia, con il tempo che impone mutamenti, con se stessi.

Il mondo teatrale è eterno, del resto; la compressione estrema del tempo, sul palcoscenico, universalizza il messaggio emotivo, lo rende simbolo di molte realtà simili, di simili sentimenti. Mr Green è un’icona dell’uomo contemporaneo, un uomo anziano, sospeso tra una società che corre ed una vita che marcia ai ritmi delle proprie tradizioni. La sensazione che si ricava già solo guardando la sua casa è quella di un uomo che vive nell’assenza, in un cimitero degli elefanti dove gli unici segni vitali sono dati dai ricordi. Ed è proprio con i ricordi che la scenografia verbale e mimica subentra a vivacizzare i fatti, conducendo il pubblico nei meandri delle vite dei protagonisti.

Mr Green mi ricorda alcuni personaggi di Neil Simon. Inserito in una società cui appartiene, nel bene e nel male, non riesce a liberarsi del bagaglio delle proprie esperienze, delle convinzioni, dei sentimenti, dei principi che rappresentano i mattoni della sua vita e che, con il passare degli anni, si fanno sempre più resistenti, come se l’avanzare dell’età comportasse la sclerosi dei pensieri, oltre che delle arterie.

Il suo carattere, in qualche modo, emerge già dal fatto che non ha un nome, un po’ come il Ciampa di Pirandello. Conosciamo il nome della moglie, Esther, della figlia, Rachele, della madre e della nipote, Hannah, ma lui è solo Mr Green, è un cognome, il suo e quello di suo padre, cosa che implica l’uniformarsi alla tradizione, il perpetuarsi della famiglia, il camminare nelle orme di un dover essere più che di un voler essere.

Pongo a Massimo de Francovich una domanda non già sul suo personaggio, ma su ciò che rappresenta, sul simbolo che racchiude.

Ritmo del vivere sociale, ritmo del vivere interiore: dove si trova la saggezza?

All’età di Mr Green la saggezza si trova solo nel vivere interiore, ma è una conquista molto difficile ed aspra e questo vale per tutti e a tutte le età. Andare d’accordo con il vero se stesso, situato nel rapporto con il prossimo: ecco la saggezza.

Anche Ross è un personaggio iconico dell’uomo contemporaneo. A differenza di Mr Green, però, è giovane. Una differenza non da poco. È ancorato ai doveri sociali, rallentato dalla grettezza che incontra, ma riesce comunque a seguire il mutamento, l’evoluzione del sé; affronta i fantasmi annidati nell’anima liberandosi dall’impalcatura ideologica che lo ingabbia.

Mr Green e Ross hanno bisogno l’uno dell’altro, in qualche modo.

Vivono a stretto contatto con i propri segreti, con una perenne istanza di fuga, che in Mr Green si esprime attraverso il rancore e l’isolamento. Insieme riescono a mettersi in discussione, a recuperarsi, a scarabocchiare sul foglio della vita istanze e preghiere, il credere nei valori custoditi oltre il velo delle convenzioni. Il loro dialogo è una sorta di officina teorica con un unico vasto argomento, la vita, ed è caratterizzato da violenze verbali ed alternanze dialogiche che creano ispirazioni sotterranee.

In tutto questo marciano sulla via dell’amicizia. La più improbabile. Accade spesso, del resto: commettiamo l’errore di pensare che l’amicizia, come l’amore, non attecchisca dove sorgono differenze. È vero il contrario. Qui si incontrano vecchiaia e giovinezza, tradizione e innovazione, differenti realtà che si contemperano, si completano, due distinte personalità che arrivano a comprendersi parlando lingue diverse.

L’invidiosa vecchiaia di Ovidio non trova spazio; è cancellata dall’intelligenza e dal cuore. Sia Mr Green, sia Ross ne sono dotati in abbondanza.

Il cuore, però, è spesso assassino. Pensiamo agli affetti familiari dipinti da Eugene O’Neil e Sam Shepard, dove si fa strumento di conflitti e recriminazioni. Ross, vampirizzato dagli schemi sociali imposti dal padre, è costretto a nascondere una parte di sé. Nel mancato dialogo con il padre, così come nel dialogo errato con il resto della famiglia, si addensa il grumo palpabile di acrimonia e di tristezza, che impedisce il fluire degli affetti. La madre piange invece di parlare, il padre si chiude ad ogni forma di comunicazione, se non allo scherno.

Ogni contatto tra due esseri umani presuppone due teste, due cuori, due paure e due coraggi. Per capire l’altro bisogna capire se stessi: l’altro diventa uno specchio in cui scrutarsi. Fuori da questo sistema relazionale si è soli. Soli anche in mezzo a tanta gente; soli anche vicino ai figli, ai genitori, agli amici. A volte è difficile parlare di sé. Mi torna in mente il film I Segreti di Brokeback Mountain di Ange Lee, con Heath Ledger e Jake Gyllenhaal. Il silenzio che avvolge il personaggio di Heath crea un muro con il resto del mondo. Quando finalmente trova una persona con cui parlare, le emozioni fluiscono in modo spontaneo e travolgente e, in una notte, parla più di quanto abbia parlato negli ultimi anni.

Il teatro ha spesso affrontato il tema del silenzio forzato, della mancata accettazione sociale e familiare dell’individuo, inteso come complesso di ragione e sentimento, fino al dramma estremo. Pensiamo al Miller di Uno sguardo dal ponte, al Williams di Improvvisamente l’estate scorsa. Nel testo di Baron, al contrario dei drammi novecenteschi è tutto estremamente naturale, anche se fondamentalmente doloroso.

Il messaggio finale che se ne trae è profondo e confortante: i sentimenti non hanno sesso, non hanno etichette, non hanno stereotipi cui uniformarsi. Sono sentimenti e null’altro. L’uomo comunica, conosce e si fa conoscere.

Maximilian Nisi è capace di raggiungere livelli davvero alti di interpretazione. Quando la sua voce si rompe e le lacrime sottolineano il dramma che il suo personaggio vive, in sala succede la stessa cosa: Nisi riesce ad entrare nell’anima dello spettatore. Benché affetto da una bruttissima influenza, attraverso la grande professionalità che lo contraddistingue è riuscito a chiedere al suo fisico l’impossibile ed il pubblico ha avuto un Ross Gardiner eccezionale.

Del pari sublime è Massimo De Francovich, attore che non ha bisogno di presentazioni. Egli rappresenta con vigore ed intensità tutte le variegate emozioni che caratterizzano il suo personaggio.

Il risultato è un’esplosione di sentimenti e risentimenti, di approfondimenti psicologici, di grandi e piccole verità.

Maximilian Nisi, Ross è un uomo libero?

Ross, con grande fatica e dopo periodi di crisi profonda, ha finalmente acquisito il coraggio delle proprie idee. È ora libero dai suoi incubi e non serba più paura, in profondità; non teme più le conseguenze o i rischi di ciò che in cuor suo sente. Desidera esprimere il suo pensiero in libertà. Tuttavia subisce ancora violentemente il condizionamento di chi gli vive accanto, della sua famiglia, da cui si sente rifiutato e dalla quale pretende comprensione ed incondizionato amore. In conclusione direi di no: Ross non è un uomo libero, o, meglio, non completamente. È un uomo libero dentro ma non fuori. Rousseau diceva che la libertà non consiste tanto nel fare la propria volontà, quanto nel non essere sottomessi a quella di altri. Condivido pienamente.

Il dialogo di questa pièce è meraviglioso. Michela Zaccaria l’ha tradotto con piglio di donna di teatro, conservando la bella musicalità del testo originale.

Jeff Baron, nelle note d’autore, ha sottolineato il suo desiderio di costruire un dialogo realistico, come tale in perfetto equilibrio tra gioia e dolore, tra risata e lacrima. La realtà è sempre una fusione di emozioni, del resto. Tuttavia, leggendo il testo e assistendo alla magnifica rappresentazione di De Francovich e Nisi, ritengo che il desiderio di Baron non debba intendersi in senso assoluto. Un dialogo totalmente realista dovrebbe contenere le pause, le ripetizioni, le sovrapposizioni, i cambi di argomento tipici del parlare quotidiano, cosa che renderebbe il dialogo poco scenico. È lo stesso Baron, dunque, che conferisce teatralità al dialogo, costruendolo con battute semplici ma ben costruite, capaci di entrare a fondo in chi le ascolta; battute prive degli eccessi d’enfasi tipici del teatro tradizionale. In Mr Green prevale una doppia faccia del sentire: non c’è puro dramma, né assoluta leggerezza. Come nella vita, quella vera, è un’opera che marcia in bilico tra serietà e facezia, alternando spunti di riflessione e di dramma a momenti farseschi, ma lo fa con la metrica, conferendo alle parole un ritmo che il pubblico segue e dal quale si fa piacevolmente catturare. La bravura degli attori, in un simile contesto, è essenziale e la coppia De Francovich – Nisi non delude le aspettative. Il loro scambio dialettico segue un invisibile metronomo drammaturgico. La loro interpretazione cattura il pibblico con un ritmo che tiene sempre altissima la soglia dell’attenzione, non consentendo mai flessioni e distrazioni.

Ho ancora una domanda per te, Maximilian. L’attore che si fa personaggio sul palcoscenico, come si rapporta con il realismo, con la naturalità del dialogo?

Non credo che possa esistere un teatro realista o naturalista. In apparenza forse sì, ma non credo sia possibile. Il teatro è convenzione e, in quanto tale, non potrà mai prescindere dalle leggi rigorose, anche se nascoste ed impercettibili, della rappresentazione. Scene di vita vissuta, situazioni quotidiane, sentimenti, relazioni, condizioni condivisibili e a noi assai vicine, simili, a volte identiche, a quelle delle nostre vite, in una trasposizione teatrale non possono che rimanere aggrovigliate a regole che operano segretamente, ma che è impossibile negare. Inoltre c’è un pubblico presente col quale è necessario dialogare e credo che le condizioni dell’osservazione non possano che modificare profondamente il gusto di ciò che accade in scena. Il compito di un attore è quello di essere il più possibile credibile. È questo che lo rende reale e naturale.

Nell’universo relazionale di questa pièce l’amore è un argomento pregnante: genitoriale, filiale, sentimentale, carnale, amicale. È pressoché inevitabile, a pensarci bene: l’amore è il sentimento più indagato e meno compreso dall’arte e dalla filosofia. Ognuno ne rappresenta una parte come fosse un tutto. L’amore è come la divinità nella parabola buddista dell’elefante e dei ciechi: ogni cieco tocca una parte diversa dell’elefante e, quando viene chiamato a descriverlo, fornisce un’interpretazione personale basata sulla parte toccata. Ogni cieco, dunque, dà un’immagine diversa dell’elefante, pretendendo che sia quella giusta ed entrando in conflitto con gli altri.

Ebbene, tra Ross e Mr Green si sviluppa un’amicizia che compone i conflitti generati dalle diverse immagini dell’amore e questa, a mia opinione, è la forma più alta d’amore.Il conflitto che li vede inizialmente in posizioni contrapposte, si perde lentamente nella consapevolezza di sé e dell’altro, e finiscono per scoprire che, una volta abbattuti i muri sociali e religiosi che li separano, il concetto dell’amore è lo stesso in entrambi, perché prescinde dal chi e dal come. Ross e Mr Green partono dal conflitto catulliano tra amore e odio e giungono alla perfezione del pleroma parmenideo.

A proposito di sentimenti, chiedo a Massimo De Francovich:

Quali sono i sentimenti di Mr Green, in questa pièce?

Mr Green è un vecchio ebreo osservante, il quale, nella sua vita, ha avuto fortissimi traumi causati dal suo pessimo carattere, cosa che non vuole riconoscere, tanto che, per evitare di riconoscere i propri difetti, si rifugia nell’osservanza ferrea e anche ridicola della sua religione. È assolutamente omofobo. Arriva ad affermare che i ragazzi ebrei non sono omosessuali; ha praticamente cacciato di casa sua figlia perché ha conosciuto, amato e sposato un ragazzo non ebreo, con il quale ha avuto tre figli; disconosce i suoi stessi nipoti in quanto non ebrei o, peggio, ebrei a metà. Per tutte queste ragioni ha costretto la moglie, fino alla morte di lei, a fare il funerale ad una figlia ancora viva. Rimasto vedovo è costretto a frequentare Ross, ragazzo ebreo gay, anche lui pieno di traumi, sebbene più umano di Mr Green. Sarà lo scontro, anche violento, con Ross a far emergere il lato umano di Mr Green. Sarà per tutti e due una lunga, involontaria autoanalisi, molto dolorosa, che li porterà ad avere un rapporto più sereno con se stessi e con gli altri. La grande bravura di Jeff Baron è che sa narrare tutto questo facendo commuovere e sorridere allo stesso tempo, arte difficilissima e molto rara nella nostra drammaturgia.

Di sicuro i due interpreti hanno donato al pubblico la più vasta gamma di sentimenti.

In teatro sono molteplici i sistemi comunicativi e dovrebbero essere tutti parimenti presenti. Spesso, invece, prevale la carne, la mimica contingente; il corpo primeggia sul cuore. E non va bene; non basta quella che Louis Jouvet definiva la “vocazione del commediante”, serve l’immedesimazione propria dell’attore. Padroneggiare corpo e anima è l’unico modo per rendere vivo un personaggio. Il motto di Diderot, che vedeva il bravo attore nell’uomo privo di sentimenti, guscio vuoto pronto a ricevere qualunque personaggio, è un mero paradosso. La maschera, il trucco, l’abbigliamento riguardano l’apparire e sono in scena ad uso e consumo dell’occhio; al contrario, il tono della voce, le pause, l’intensità nel dire, gli sguardi, le movenze quali espressioni del sentimento dell’interprete passano dall’occhio per entrare nell’anima di chi fruisce il messaggio artistico, ampliando la scala di interazione emotiva e trasformando l’opera poetica, l’arte del dire, in vera, introiettata, sentita drammaturgia.

Ebbene, su pochi metri quadrati d’impiantito, magistralmente diretti, De Francovich e Nisi fanno esistere i personaggi, donando loro una profondità di sentimenti tale da renderli due vite insostituibili. Il pubblico si meraviglia, alla fine, di non poterli incontrare, di non poterli conoscere, di non potersi confidare con Ross e Mr Green. Il pubblico li ama; li sente vicini. È inevitabile quando l’interpretazione raggiunge livelli così alti.

Nel bel teatro comunale vicentino, salotto in un salotto di città, Mr Green ha registrato un meritatissimo successo. La tournée prosegue altri quattro giorni, poi il regista ha annunciato la fine delle rappresentazioni, poiché proseguire nei grandi circuiti teatrali spesso impone di camminare su sentieri tortuosi ed inaccessibili.

È un vero peccato. Pensare che un’opera così bella, così attuale, così intensa, che vanta l’interpretazione di due grandissimi attori, non possa più essere rappresentata per ragioni burocratiche ed organizzative significa calpestare il teatro, quello vero, e disincentivare il pubblico giovane ad accostarsi a questa magnifica forma d’arte. Mi auguro che coloro che sono in una posizione tale da poter evitare tutto ciò, agiscano.

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