Stornellatori romani, un filo diretto d’altri tempi tra la Capitale e il suo popolo

stornello

Stornellatori. In principio fu il Sor Capanna. Al secolo Pietro Capanna, nato nel 1865 a Trastevere in Via del Verderame 47, oggi Via Luciano Manara. Beh, proprio in principio no. Perché prima di lui esistevano già da millenni gli stornellatori a braccio. Pastori improvvisati cantori che nei raduni serali, attorno al fuoco, mettevano in musica e in versi le loro storie. Inoltre lo stesso Capanna confessava spesso, scherzando, di essersi ispirato a “un celebre maestro cacofonico”. Tale soggetto è stato individuato dagli esegeti in tale “Peppazzo”, di professione facchino, attivo quando Capanna era giovane.

Il Sor Capanna, comunque, rimane giustamente considerato come “il padre” degli stornellatori romani. Prima macellaio e poi manovale, Capanna aveva perso il lavoro per l’avanzare della sua congiuntivite cronica. Tale sventura lo portò alla totale cecità. Non gli rimase che fare lo stornellatore nelle osterie, accompagnato dalla moglie Augusta. Novello Omero, riscosse sempre maggior successo. Ingaggiò altri due accompagnatori e poi allestì degli spettacolini veri e propri. Si presentava in piazza con una specie di carrozzone, guidato da un ronzino.

Il Sor Capanna, il padre degli stornellatori romani

Il merito del Sor Capanna fu quello di aver codificato la metrica dello stornello. Prima adottò due ottonari in rima baciata. Poi quattro endecasillabi a rima alternata o incrociata. Classico l’inizio delle sue composizioni: “Sentite che ve dice er Sor Capanna…”. Attuali le tematiche, che investivano le problematiche spicciole della gente e le novità tecnologiche dell’epoca. Immancabili i doppi sensi a sfondo sessuale.

La vicenda del Sor Capanna, fiorita alla fine dell’800, si concluse con la sua scomparsa, a soli 56 anni, nel 1921. Poi lo stornello in romanesco conobbe un periodo di oscurantismo, del cui esame non è questa la sede. Uscì dal tunnel solo alla metà degli anni ’50 grazie a un sardo di Roma, il clarinettista e cantante Astro Mari. Pur avendo partecipato al primo Festival di Sanremo (1951), Mari preferì riciclarsi come paroliere del giovane Claudio Villa, classe 1926.

Claudio Villa si reinventa tra gli stornellatori con il suo Sor Mariano

Claudio Pica, in arte Villa, di Via della Lungara, aveva quasi sempre cantato in italiano, al massimo in napoletano. Nel 1957 era all’apice del successo, avendo appena “bissato” la vittoria a Sanremo, già ottenuta due anni prima. Astro Mari scrisse per lui “Stornelli a dispetto”, due facciate di un 45 giri. Ad esso seguirono altri due singoli di “Stornelli amorosi” editi dalla Vis Radio di Napoli. Scrisse anche due “Stornelli capricciosi” per la cantante Rosetta Fucci che uscì dai 2+2 di Nora Orlandi per riciclarsi in romanesco.

Alcuni anni dopo, Villa si dedicò con maggiore impegno al genere degli stornelli, impersonando un personaggio da lui inventato: il “Sor Mariano”. Per i testi si affidò a un altro suo collaboratore: Gigino Conti. Nell’interpretazione del Sor Mariano, Villa elaborò uno degli attacchi del suo grande predecessore Capanna. Non più: “Daje de tacco, daje de punta ecco arriva la sora Assunta”. Ma “Daje de spinta, daje de mano ecco ariva er Sor Mariano”. Le tematiche e i doppi sensi sono analoghi a quelli del Sor Capanna, che ormai sono parte insopprimibile ed essenziale del genere musicale.

Alvaro Amici fa l’ingresso tra gli stornellatori romani grazie a l’ex pugile Nuvoloni

Nei primissimi anni sessanta cominciò a scrivere stornelli l’ex-pugile Alvaro Nuvoloni, eterno sfidante ai titoli italiano ed europeo dei pesi gallo. Nel 1961 si presentò alla Vis Radio per incidere i suoi “stornelli maliziosi”. La leggenda narra che proprio quel giorno stesse facendo un provino un altro Alvaro: tale Amici della Garbatella. Qualcuno propose che fosse meglio che quegli stornelli li cantasse lui. Nacque così la stella di Alvaro Amici. Nuvoloni, tuttavia, ci riprovò un paio d’anni dopo ed incise prima “Arcangelo Pippanera” e poi “La Storia di Luca Cava”. In entrambi i casi con discreto successo.

Alvaro Amici si affermò invece come uno dei grandi interpreti della canzone romana. Per quanto riguarda gli stornelli, rimase fedele al classico “Daje de tacco e daje de punta”. Ciò lo contrappose al Sor Mariano di Villa che, invece, aveva deviato dalla tradizione. Forse proprio per motivo, – secondo taluni – Amici uscì vittorioso da tale gigantesca tenzone. Anche se, in quanto a voce, il trasteverino Villa non temeva confronti con nessuno.

Nel 1962 un ragazzino quindicenne, tale Armandino Bosco, incise il 45 giri “La società dei magnaccioni”, indicato come “brano tradizionale”. Il disco fu ascoltato da due amiche poco più che ventenni, in una bancarella di dischi di Via Sannio. Erano Gabriella Ferri e Luisa De Santis, che subito se ne innamorarono. Luisa, figlia del noto regista Giuseppe De Santis, strimpellava la chitarra. La testaccina Gabriella Ferri era invece dotata di una voce incredibile.

Gabriella Ferri, il mitico “Lassatece passà” e il duetto con Villa

Le due ragazze si esibirono in un locale milanese e furono notate da un discografico. Gli proposero di incidere “La società dei magnaccioni”. Poi furono invitate a una trasmissione di Mike Bongiorno per aspiranti cantanti: “La fiera dei sogni”. La canzone entrò subito in classifica.  Con il tempo la prorompente personalità di Gabriella prese il sopravvento e rimase sola.

Nel 1970 Gabriella Ferri incise il mitico album “Lassatece passà”. Il disco iniziava con “Sora Menica” di anonimo. Conteneva tutte canzoni romane, edite e inedite, tra le quali l’ormai famosa “Società dei magnaccioni”. Si concludeva con degli stornelli inframmezzati da alcuni passaggi di “Lassatece passà semo Romani” e la celebre “Stornellata romana”. Il tutto all’insegna dell’improvvisazione.

Ma forse il massimo dell’espressione dello stornello si ebbe nel 1975, nella trasmissione “Mazzabubbù”. Il trasteverino Claudio Villa e la testaccina Gabriella Ferri si esibirono in un incredibile duetto “a braccio”. Fu forse il canto del cigno di un’epoca. L’11 maggio scorso, Roma ha dedicato una piazza del Laurentino a Gabriella Ferri.

Foto di Mali Aroesti da Pixabay

3 Risposte

  1. Folklore e festival di musica, un connubio indissolubile a Roma - InLibertà

    […] Quando Roma si percorreva ancora a piedi, la canzone popolare era concepita sotto l’inevitabile influenza dialettale. Aveva una missione evasiva, ma era soprattutto un formidabile strumento di coesione sociale. Col tempo, purtroppo, la tradizionale festa di San Giovanni perse quasi del tutto la sua antica importanza. La comunicazione sonora stravolse letteralmente la storica tradizione sconfinando nel caratteristico gorgheggio. […]

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