Storie dimenticate: quei 2000 carabinieri romani che si opposero ai nazisti

hqdefaultPer 60 anni gli archivi storici dell’Arma dei Carabinieri hanno custodito in silenzio la memoria del concentramento, e della cattura, di oltre 2000 dei suoi uomini presenti nella capitale nel 1943, e della loro deportazione nei campi di internamento il 7 ottobre dello stesso anno.

Dopo tutto questo tempo però la questione è venuta alla luce anche grazie a diari e testimonianze dirette, e alla ricerca della studiosa Anna Maria Casavola che dopo aver indagato su quell’episodio ha pubblicato i risultati nel volume “7 ottobre 1943. La deportazione dei Carabinieri romani nei lager nazisti” (Studium, 2008).

Purtroppo però la vicenda di quei 2000 carabinieri di Roma che si opposero al nazismo e al fascismo è ancora troppo poco conosciuta ai più e scarsamente documentata; vediamo allora cosa successe quel lontano 7 ottobre 1943.

Dieci giorni prima del rastrellamento nazista nel Ghetto di Roma, dove saranno catturati e deportati un migliaio di ebrei, alcuni camion della Werhmacht, scortati da motociclisti, sfrecciano per le strade della città diretti alle stazioni Ostiense e Trastevere. A bordo ci sono oltre 2.000 carabinieri che vengono poi fatti salire sui vagoni merci. Destinazione: i lager.

La deportazione avvenne perché Kappler, ufficiale tedesco delle SS, comandante dell’SD e della Gestapo a Roma, e il comando tedesco non si fidavano dei carabinieri, che avevano già dato prova di aiutare la Resistenza facendo fuggire i prigionieri politici dalle carceri o avvertendo la popolazione di possibili retate delle SS. cara1471

“Eravamo l’unica protezione per le popolazioni avvilite e stanche e decisero di disfarsi di noi” così ricorda quel giorno il maggiore Alfredo Vestuti deportato.

Prima di essere deportati, i carabinieri vennero rastrellati nelle varie caserme, disarmati, e minacciati che se avessero cercato di fuggire o di avvertire le proprie famiglie, i tedeschi si sarebbero vendicati nei confronti di quest’ultime.

“Cominciammo a girovagare per la città e il nostro cuore […] cominciò a battere ancora più forte quando assistemmo, inermi, all’assalto ad un’altra caserma. Ecco questa è la storia”, racconta Peppino Uscidda, carabiniere che all’epoca dei fatti aveva solo 21 anni e per una serie di coincidenze riuscì a scappare dal rastrellamento.

Certo, alcuni ufficiali infangarono la divisa scegliendo invece gli oppressori. Ma persino nei lager, in mezzo alle sofferenze e alle umiliazioni, la gran parte dei carabinieri internati rifiutò di obbedire alla sirena ammaliatrice della repubblica di Salò.

Quando gli alleati avanzarono, i nazisti obbligarono anche i carabinieri alle terribili marce della morte, e tanti vi persero la vita. Un sopravvissuto ricorda che la fame che era stata compagna nel lager, durante le marce raggiungeva dimensioni strazianti e un giorno, vedendo una gallina che stava beccando un pezzettino di crosta di pane, gliela contese e se ne appropriò con grande soddisfazione, quasi fosse stato un lauto pranzo.

Anche il ritorno, a guerra finita, rappresentò una odissea perché nessuno voleva ascoltare i reduci raccontare dei lager.

E poi il mancato o faticoso riconoscimento del loro contributo al «no» al fascismo, poiché per molti italiani i carabinieri erano stati comunque uno strumento dello stato fascista.

Ci sono voluti 60 lunghissimi anni per far conoscere questa storia e ce ne vorranno chissà quanti ancora per far sì che sia ricordata come merita.

“Fare ed osare non qualunque cosa ma la cosa giusta, non restare sospesi nel possibile ma afferrare arditi il reale; non nella fuga dei pensieri ma nell’azione soltanto è libertà”

Dietrich Bonhoeffer

 

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