Sposare umiltà e amore

Quando si viene al mondo, soprattutto quando si riceve il Battesimo, Dio consegna all’uomo la missione da svolgere nella vita. Con amore di Padre tenerissimo, Egli ci consegna un fine particolare, un programma di vita bello, buono, vero, orientato solo al bene del genere umano e della creazione. Siamo tutti coscienti però, che l’uomo è una creatura dotata di intelligenza e volontà ed in quanto tale libera nelle sue scelte; libera di accogliere questo disegno o di rifiutarlo. Allo stesso modo ognuno sa che viene da Dio ed è solo per Lui. In questo progetto d’amore siamo chiamati a realizzare la nostra esistenza qui, su questa terra, sempre orientati alla vita nuova di lassù. Siamo per Lui se giorno dopo giorno sappiamo vivere nel posto che Lui ha deciso per noi fin dall’eternità e se come Gesù sappiamo farci prossimo nei confronti di chi ha bisogno e di chi ci considera nemici. Carissimi, la liturgia di questa domenica estiva, ci presenta la virtù dell’umiltà, atteggiamento assunto in primis da Gesù per portare a compimento la missione affidatagli dal Padre: Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce, con questi termini Paolo parla di Gesù agli abitanti di Filippi. Nella prima lettura il libro del Siracide aggiunge qualche altra pennellata al quadro dell’umiltà e a quello della lotta all’arroganza e alla presunzione. La presunzione, la durezza del cuore, la superbia sono una cattiva radice che fa crescere l’albero del male che dà solo frutti malvagi. La condanna dell’orgoglio è netta e reiterata e richiama il passo di Paolo ai Romani: “Non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi” (Rm 12,16). Anche Gesù nel Vangelo di Matteo si presenterà come “mite ed umile di cuore”, in quello di Giovanni come “l’Agnello condotto al macello” e ancor prima il Salmo 131 canta il fedele come “un bimbo in braccio a sua madre, che non va in cerca di cose grandi e superiori alle proprie forze”, quasi a sfidare Dio, ma questi si abbandona in fiduciosa serenità. “Quanto più sei grande, tanto più fatti umile e troverai grazia davanti al Signore” (Sir 3, 18), proprio qui è racchiuso il segreto della predilezione di Dio nei nostri confronti. “Il Signore ha guardato all’umiltà della sua serva”, canta Maria nel Magnificat ed è stata proprio questa sua umiltà a renderla preziosa e cara agli occhi del Signore, tanto cara e prediletta che Dio l’ha scelta tra tutte le donne ad essere la Madre di Dio. Come i grandi testimoni del passato anche i cristiani devono tenere fisso lo sguardo verso la meta da raggiungere, correndo, senza gli impacci del peccato, sulla via della fede. La meta è rappresentata da Cristo, Colui che è insieme pienezza e sorgente della fede. La seconda lettura ci parla della vocazione del cristiano che ha chiari riferimenti a quella dell’antico popolo di Dio, segnata dall’incombere terribile del Signore e da uno spettacolo terrificante descritto in termini apocalittici. I cristiani invece, sono i membri del popolo di Dio che stipulano con Lui una nuova alleanza, il cui Mediatore e Sommo Sacerdote è Cristo ed il suo sangue. Essa è un’alleanza nuova che rende l’uomo “signore del sabato” e non viceversa, come accadeva purtroppo nell’antico Israele. E Gesù nel Vangelo si reca a pranzo da un fariseo proprio nel giorno di Sabato. Egli è capace di narrare l’agire di Dio proprio a partire dagli avvenimenti più ordinari, semplici, quasi impercettibili, come per es. uno sguardo o un gesto. Nella parabola che Egli racconta ai commensali smaschera la smània del primeggiare a tutti i costi, del protagonismo spudorato e ad ogni prezzo. Il Maestro ammonisce anche noi: rimaniamo obbedienti, ciascuno al proprio posto, quello che Dio ha assegnato a ciascuno di noi. Se proprio è necessario scegliere si preferisca l’ultimo posto, proprio come ha fatto Lui stesso perché «Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato». Giorno dopo giorno però, scopriamo come sia difficile vivere quest’ umiltà. Proseguendo nel racconto della parabola Gesù rivela la follia di Dio, che nel banchetto del Regno chiama i poveri ad occupare i posti migliori. Dietro questa immagine si cela un messaggio ben preciso: chi vuole essere suo discepolo non può sposare la logica del «contraccambio» e della «reciprocità». Gesù l’ha combattuta in prima persona e così facendo a coloro che erano trascurati da tutti, agli ultimi, Egli ha accordato un privilegio per narrare loro la vicinanza di un Dio che soccorre il bisognoso, proprio come scrive Isaia, «Io, il Signore, sono il primo e io stesso sono con gli ultimi» (Is 41,4). Già Paolo VI tanti anni fa annunciava la rovina dell’uomo contemporaneo; l’egoismo e l’orgoglio, è vero, sono i due mali del nostro tempo – diceva. Con essi la creatura si fa creatore, si fa primo, unico. L’uomo si riposiziona al centro del mondo, tutto deve ruotare attorno a lui, pensa solo a se stesso e a sottomettere l’altro. Se vogliamo, tutti i grandi disordini politici e sociali hanno alla base l’egoismo e l’orgoglio; i comportamenti umani in questi casi non conoscono l’amore, anzi lo uccidono. Di più, l’amore perde la sua cristiana caratteristica, l’universalità e perciò si fatica molto a discernere, a conoscere, a scoprire, a servire autenticamente le sofferenze degli altri. Preghiamo perché umiltà ed amore possano sposarsi tra di loro affinchè si possa garantire al mondo intero l’autentico esercizio dell’autorità (che è servizio), la diffusione del bene comune, unico anelito che deve caratterizzare il nostro agire sociale, che ha caratteristica ed impronta cristiana. Solo così vivere con Gesù e come Gesù sarà la nostra unica gioia beata.

Fra Frisina

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