Solo vibrazioni positive con The Elder Statesman

Senza essere oltremodo hippy, lo spirito libero di TES – acronimo di The Elder Statesman -, investe di vibrazioni positive ogni linea in calendario. 

Il brand nasce nel 2007 dall’idea di Greg Chait

Dopo la vittoria del CDFA/Vogue Fashion Found (2012) e l’apertura del primo store a West Hollywood (2014), il brand californiano fondato nel 2007 da Greg Chait continua la sua ascesa; soprattutto in un momento come questo, in cui il vestire comodo, colorato e meno impattante possibile, collima con esigenze sempre più condivise a livello quotidiano e globale. L’amore per materiali di alta gamma, e il fascino per le coperte calde e avvolgenti, fanno da imprinting per il giovane designer, già quando passeggiando per Venice Beach con l’idea chiara di acquistare una coperta in cachemire, non trovandola, decide di farsela da solo. Infatti, dopo aver contribuito al lancio di Ksubi, marchio australiano di denim unisex, è proprio realizzando due coperte che Greg Chait, appoggiandosi nel garage del suo vicino di casa, inizia la sua avventura con The Elder Statesman. 

Non si direbbe, ma l’idea per un nome così istituzionale, al creativo arriva dalla politica britannica; da William Pitt The Elder e da William Pitt The Younger, rispettivamente padre e figlio, che nel XVIII secolo si succedono nel ruolo di primo ministro. Anche se in quel nome, come rivelerà nel lontano 2013, prima di tutto c’è l’omaggio al fratello maggiore, scomparso diversi anni prima: “The Elder Statesman si riferisce a qualcuno che detiene un alto rango nella società, generalmente venerato da tutti. I suoi amici lo chiamavano il sindaco, e mi sembrava davvero appropriato per nominare l’azienda in suo onore”.

Alla base del design TES c’è uno spirito vagabondo e pragmatico

Alla base del design TES c’è uno spirito vagabondo e pragmatico, che si conferma anche nella selezione dei materiali (cotone, cachemire, lana) recuperati attraverso una filiera di artigiani sparsi in tutto il globo: Italia, Mongolia, Afghanistan, Kenya sono solo alcune delle mete citate. Mentre una fabbricazione locale e artigianale, e lo sviluppo di tecniche creative sempre nuove, sono segni distintivi che fanno ben piantare i piedi di Chait nella sua stimolante La La Land. “La creatività, la lavorazione a maglia, la tintura, il ricamo, la produzione, le vendite e le operazioni avvengono sotto lo stesso tetto” dichiara in una nota il creativo, che dal suo amato laboratorio in quel di Los Angeles ammette di avvalersi, cotidie, di un team esperto di tintori, ricamatori, knit designer, non mancando frizzanti collaborazioni esterne con artisti pronti a interpretare l’effluvio delle sue ispirazioni. 

Oggi il brand vanta un’ampia offerta: abbigliamento uomo e donna, accessori in maglia, articoli per la casa e per i bambini, prodotti disponibili in più di 75 negozi distribuiti su scala internazionale. Uno dei successi del team TES, è la combinazione di 30% cachemire e 70% lana, che si rivela particolarmente morbida e leggera, malgrado l’aspetto rugoso della maglieria che spesso suggerisce il contrario. 

I capi dunque, sono apprezzati per le particolari miscele, che facilmente si tramutano in coloratissimi tie-dye o stampe vibranti con simpatici simbolismi e chiari riferimenti alla cosmologia. “Non realizzo mai moodboard” rivela Greg Chait a Vogue quando per la SS 2015 si ispira a una famiglia immaginaria della California settentrionale. Accanto al pregiato mix propone il cachemire di seta, e il denim trattato con macchinari vintage; tela bianca per una serie di stampe con grandi cerchi al posto di fiori – realizzate dall’artista Jonathan Zawada -, in una versione fresca e delicata della classica camicia californiana. 

TES come promotore di lifestyle: tra arte, cultura e folclore americano

Ogni collezione tocca spesso il desiderio di autorealizzazione, il viaggio, la spiritualità, una sorta di evoluzione interiore e a colori che trova il suo humus nei tessuti e nel design. Con l’intento di creare abiti unici che durano nel tempo, ciò che interessa promuovere a Chait è l’individualità. Un’espressione libera e consapevole che permette di distinguersi dall’omologazione vestimentaria, e che insieme alla curiosità, non si sa mai quale scoperta possa portare ad abbracciare. 

Un esempio è nella linea F/W17, quando stuzzicato da uno spirito nomade e dalla passione per l’arte della tessitura in stile Navajo, coinvolge Melissa Cody, tessitrice nativa americana di quarta generazione. Le trame arcobaleno realizzate dall’artigiana segmentano comodi capi in beige, ma anche il lettering America Nostra Madre; codice testimone della collaborazione segreta tra la tribù dei Navajo e il Corpo dei Marine durante il secondo conflitto mondiale. Scoperta storica e culturale intrecciata prontamente nei motivi preziosi dei filati.

Con una visione flebilmente retro di quello stile californiano, che si lascia spesso impollinare da culture e filosofie orientali, più che un brand di lusso, alle volte TES sembra una promozione multicolor di lifestyle. “A Topanga, ci sono tutti questi ragazzi e ragazze che sembrano guru, ma io sostengo che non devi apparire in un certo modo per meditare” suggerisce il designer presentando la linea F/W18. Nell’occasione, infatti, Chait cita anche Less Than Zero, film drammatico ambientato negli anni 80, tratto dal romanzo di Bret Easton Ellis. La collezione si rivela una commistione di letteratura e simbolismi orientali, grazie anche all’artista Jatinder Singh Durhailay che disegna fiori di loto, mini yogi in tecnicolor e il terzo occhio Ohm; e poi la scritta Meditate a contrasto, pastiche del logo della Malboro, nelle veci di uno spassionato invito a trovare l’equilibrio interiore, al di là delle apparenze. 

Cosmologia e artigianato per un futuro ottimista e sostenibile 

Il folclore americano filtra dal genio creativo del designer, e dalla maestria del suo team pronto a sfornare miscugli di materiali in percentuali e nomenclature sempre originali: dal tessuto Cobra (50% cotone, 25% lana, 20% cachemire, 5% mistero) al divertente intreccio di cachemire e seta, chiamato Boomslang

the elder

Gli arcobaleni tie dye, invece, rappresentano un’allegra e spensierata commistione, di umanità e cultura, anche quando durante la pandemia, Chait sale sulla sua roulotte e gira per la California meridionale lasciandosi ispirare dai suoi collaboratori. Insieme al designer e alla figlia, Dorothy Sue, il team è protagonista on the road della Resort 21. Per accendere le trame di calore e comunanza, il creativo rispolvera i disegni a mano libera di sua nonna Thelma Chait, nota pittrice sudafricana (1918-2009). Trascinanti grafie, con dei codici simbolici liberi di decantare l’umanità con i fiori, il continuum spazio-tempo con tratteggi, il legame con la terra con righe orizzontali e i regni spirituali con quelle verticali. Una miscela di cosmologia e artigianato che, nonostante la pandemia e i tracolli universali, dal suo laboratorio di Los Angeles, Greg Chait pareggia emanando ottimismo e good vibes. 

Per il futuro prossimo, i traguardi di TES sono in termini di sostenibilità, per un impegno serio e certificato, e costi da abbattere, per rendere il marchio sempre più accessibile. E la collezione F/W21, Personal Insulations Systems, girata in Arizona presso il laboratorio Biosphere 2, un ecosistema dove si esaminano gli effetti dei cambiamenti climatici globali, ne conferma le intenzioni. Dal grande impegno di rimettere in circolo gli scarti generati dall’upcycling, donati ai coltivatori di caffè in Guatemala, alla fabbricazione di un nuovo tessuto a spina di pesce, in cotone e cachemire, per plasmare con pochi pezzi quell’idea di lusso e leggerezza. 

In una sorta di simbiosi, scientifica e naturale, piccoli teletubbies, colorati e sostenibili, occupano ciascun bioma della struttura, registrando gli effetti e il comportamento dei capi che indossano; e il cachemire TES, nei suoi inediti mix, è l’unica variabile indipendente capace di rispettare il corpo, e il suo equilibrio interiore ed esteriore.

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