Società dell’informazione e della sorveglianza in 1984 di Orwell

1984

Il romanzo 1984 di Orwell – pietra miliare della narrativa distopica – delinea un tipo di società con cui spesso si definisce quella contemporanea: “società della sorveglianza”. Questa definizione è strettamente connessa a un’altra, ovvero a quella di “società dell’informazione”. Si potrebbe dire, dunque, che la sorveglianza sia un tratto caratteristico della società dell’informazione. Un controllo diffuso che si esercita attraverso le più recenti tecnologie (Lyon, 2002).

La libertà che dovrebbe derivare dall’uso delle tecnologie, in realtà non sarebbe altro che una schiavitù, nascosta dietro uno schermo, una pagina scritta e un linguaggio costruito.

Partendo dalla visione di Orwell, e quindi in generale dalla narrativa distopica, si cercherà di analizzare come la comunicazione possa esercitare, attraverso l’uso delle tecnologie, una forma di controllo sulla società.

La comunicazione come persuasione in 1984

Come posso fare a meno di vedere quello che ho davanti agli occhi? Due più due fa quattro.
A volte, Winston. Altre volte fa cinque, a volte tre. A volte fa cinque, quattro e tre contemporaneamente […].

Nel romanzo di Orwell, accanto al potere coercitivo – le vicende avvengono sotto un ferreo regime totalitario -, vi è una forma particolare di potere incarnata dalla comunicazione, quella del soft power. Questo assume, dunque, nella narrativa distopica, il ruolo di potere occulto, esercitato con il consenso inconsapevole di chi la subisce, divenendo una vera e propria violenza simbolica (Bourdieu).

Vi sono tre meccanismi di adesione al soft power:

  • la compiacenza, che si evidenzia nel momento in cui il soggetto risponde all’azione dell’influente per mera opportunità;
  • l’identificazione, che si manifesta nel momento in cui il soggetto decide di condividere scelte dell’influente;
  • l’interiorizzazione, che è la forma più profonda di influenza e ha a che vedere con la completa acquisizione delle credenze dell’influente da parte dell’influenzato, che da quel momento li fa propri (Kelman, 1958).

Nella maggior parte dei testi appartenenti alla narrativa distopica, gli individui rispondono alla comunicazione dei diversi regimi con una completa interiorizzazione delle idee e dei dettami del dittatore di turno, e nel caso specifico di 1984, riescono a far propri slogan politici come: “la guerra è pace”, “la liberà è schiavitù” e “l’ignoranza è forza”.

La comunicazione come controllo

La comunicazione, oltre ad essere una forma di potere, diviene anche un mezzo di controllo della popolazione e dei valori stessi della società, tanto da essere esplicitata sottoforma di “linguaggio costruito”. In questo modo, essendo disponibili solo un certo tipo e numero di parole, si tenderà a rendere centrali solamente alcuni temi piuttosto che altri, per il semplice fatto di poterli esprimere servendosi di vocaboli più specifici.

Infine, non bisogna dimenticare che la capacità persuasiva della comunicazione viene amplificata in modo notevole dalle tecnologie.

La tecnologia come medium

Il teleschermo riceveva e trasmetteva contemporaneamente. Se Winston avesse emesso un suono anche appena appena più forte di un bisbiglio, il teleschermo lo avrebbe captato; inoltre, finché fosse rimasto nel campo visivo controllato dalla placca metallica, avrebbe potuto essere sia visto che sentito.

Come ben dimostrato dalla narrativa distopica, e purtroppo anche delle vicende storiche, i regimi dittatoriali tendono a servirsi largamente delle più sofisticate tecnologie per tenere sotto il proprio controllo le azioni e i pensieri degli individui.

Si potrebbe citare a tal proposito il teleschermo presente in 1984 che avendo il compito di emanare la voce del Grande Fratello – il dittatore dello Stato totalitario descritto nel romanzo -, svolge, senza ombra di dubbio, un ruolo di controllo e prefigura la diffusione della televisione stessa e del potere nascosto dei mass media, che limita la libertà di pensiero tenendo l’individuo in una situazione di schiavitù.

Le tecnologie divengono, quindi, nell’ottica distopica, dei mezzi con i quali, non si cerca di aumentare il benessere delle persone, ma di limitarne le capacità espressive. Estremizzando questo concetto, come fa Orwell, si arriva al paradosso secondo il quale il progresso tecnologico stesso si ferma perché fonte di forti squilibri strutturali. Questo vale per tutti i campi di ricerca ad eccezione di quelli che riguardano le discipline sociali, quindi anche psicologiche, dal momento che forniscono i presupposti per il controllo del pensiero.

La scrittura come atto di rivoluzione

Spesso nella narrativa distopica, vi è una tecnologia che viene bandita: la scrittura. Questa è stata, secondo alcuni grandi studiosi, la tecnologia più importante inventata dall’uomo poiché ha la capacità di trasformare i pensieri e di creare un senso di appartenenza a quello che McLuhan definiva villaggio globale.

Questi aspetti terrorizzano i regimi totalitari della narrativa distopica, tanto che in 1984, il primo reato che Orwell fa commettere a Winston – il protagonista – è la stesura di un diario in cui il protagonista annota tutte le azioni proibite che aveva commesso.

La società come conformismo

Lo sai che cos’ha fatto la mia piccolina sabato scorso, quando è andata in gita a Berkhamstead con la sua squadra? Ha convinto altre due bambine a seguirla, se la sono svignata dal gruppo e si sono messe per l’intero pomeriggio alle calcagna di un tizio che ai loro occhi aveva un atteggiamento strano. Lo hanno pedinato per due ore, seguendolo anche nei boschi, e poi, una volta arrivati a Marsham, lo hanno consegnato alla pattuglia.

La società descritta nella narrativa distopica, è composta per lo più da individui eterodiretti, cioè diretti/controllati da altri, e questo è dovuto al fatto che le agenzie di socializzazione primaria – quali la famiglia, la scuola, etc. – indirizzano i nuovi membri della società verso una forma estremizzata del processo di socializzazione: l’ultrasocializzazione (Wrong, 1961).

Questa forma di socializzazione descrive tutti coloro che hanno interiorizzato in maniera eccessiva le regole. Un’eccessiva aderenza alle norme porta al conformismo e alla ritualità. Comportamenti che tutti i regimi totalitari e distopici si augurano. 

La famiglia nella tradizione distopica di 1984

Si può portare a tal proposito l’esempio della visione della famiglia nel romanzo di Orwell. La famiglia è un ostacolo al corretto funzionamento della società, ma non potendo eliminarla materialmente, si insegnava – attraverso agenzie di socializzazione come la scuola – ai figli a denunciare l’operato dei genitori. La famiglia è considerata quindi come una sottosezione della Psicopolizia.

Nella tradizione distopica a cui appartiene 1984, la società è fortemente gerarchizzata e non permette neanche la minima mobilitazione sociale (Iozzia, 2015). Di tanto in tanto, in questo genere di società, emergono dei soggetti – quasi sempre i protagonisti del racconto – che cercano di sovvertire il regime vigente, divenendo dei veri e propri elementi di disturbo per il potere centrale.

Purtoppo, nella maggior parte dei casi, i protagonisti vengono eliminati o costretti – attraverso pratiche di tortura o di lavaggio del cervello – a ribaltare completamente i valori per i quali si sono battuti nel corso di tutta la storia.

Cosa insegna 1984 di Orwell

Avendo approfondito nei paragrafi precedenti quali ruoli siano occupati dalla comunicazione, dalle tecnologie e dalla società nella narrativa distopica, si può ora concludere che, in questa tradizione letteraria, la comunicazione, esercitando una persuasione costante sugli individui, per mezzo di strumenti, quali le più sofisticate tecnologie, arrivi a controllare completamente una società eterodiretta e conformista.

Non va dimenticato che i romanzi distopici sono ambientati in società non troppo lontane cronologicamente da quella contemporanea, per tanto si dovrebbe partire da questi per fare in modo che la denominazione della nostra società come società dell’informazione non sia sostituito definitivamente da quello di società della sorveglianza.

Bibliografia

G. Orwell, edizione italiana del 2011, 1984, Milano, Mondadori.
D. Lyon, 2002, La società sorvegliata. Tecnologie di controllo della vita quotidiana, Milano, Feltrinelli.
H. C. Kelman, 1958, Compliance, identification and intemalization. Three process of attitude change, Journal of conflict resolution.
F. Mattioli, 2015, La comunicazione sociologica (nuova edizione), Roma, Aracne.
D. Wrong, 1961, The oversocialized conception of Man in modern sociology, American sociological review, vol. 2, 26.
D. Iozzia, La forma dei desideri rovesciati. Su alcuni temi della distopia russa e angloamericana, in “404”, 17 marzo 2015, disponibile al sito: quattrocentoquattro.com .

Foto di Gordon Johnson da Pixabay

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