Royal baby ed Alfie Evans: l’altalena della vita

E’ Nato! Finalmente, il terzo royal baby è tra noi. È un maschietto di 8 lb  e 7oz, al cambio 3,9 chili, un bel pupo, il più grande, alla nascita, dei tre fratelli.

Di lui sappiamo già molte cose, tante tranne il nome che, per protocollo, verrà annunciato nei giorni seguenti. Mi sono sempre chiesta se, in questo periodo, i familiari sappiano come si chiamerà il loro pargolo o se, nel frattempo, anche per loro il nome sia un mistero e siano costretti a chiamarlo Coso, Cosetto, Ultimo, Terzo.

Comunque sia, Cosetto Reale è già famoso in tutto il mondo, ha ricevuto la visita dei fratelli ed è stato fotografato in braccio alla mamma, apparsa raggiante in vestitino rosso e colletto di pizzo bianco, omaggio a Lady D che, ricordano i cronisti, vestiva un abito rosso alla nascita di Harry.

Non c’è da stupirsi se, a poche ore dal parto, Kate è già in piedi, décolleté tacco 5 di rigore, a salutare la folla assiepata davanti all’ospedale: in Inghilterra ti dimettono dopo circa sei ore se il parto è stato regolare, e Kate, ormai lo sappiamo tutti, soffre di nausee all’inizio della gravidanza ma partorisce con regale eleganza e rapidità.

La famiglia reale è già tornata a casa e, pare, discuteranno con nonna Elizabeth il nome da dare a Cosetto: in pole position Arthur, James, Philip and Albert.

Per un bimbo che arriva, un altro si spegne.

Alfie Evans non è stato, durante gli ultimi mesi dei sui quasi due anni, meno famoso di Cosetto Reale ma, purtroppo, molto meno fortunato.

Alfie è nato a Liverpool ma a casa con i suoi giovani genitori ci è potuto rimanere molto poco; qualche mese dopo la nascita, una malattia neurologica degenerativa lo ha ridotto, in breve tempo, in stato semi vegetativo. Alfie non può mangiare e bere da solo; Alfie sembra non possa nemmeno respirare autonomamente. 

A vederne le foto, Alfie è un bel bambino biondo che dorme, le ciglia lunghe ed i capelli sottili, ed il solo segno della malattia è il tubicino nel suo naso. 

Alfie non sa di trovarsi in un lettino di ospedale, non sa che i medici hanno detto che non può sopravvivere, non sa che i suoi genitori hanno tanto combattuto e continuano a combattere per lui, non sa che i tribunali hanno dato loro torto. Alfie non soffre. Alfie non sa che morirà.

La battaglia legale, attorno al bambino, è stata molto accesa: il contrasto tra la volontà dei genitori ed il parere dei medici è stato risolto dai giudici i quali, in tutti i gradi di giudizio, si sono espressi accogliendo le richieste dell’Alder Hey Children’s Hospital di spegnere le macchine che tengono in vita il piccolo. Niente più cibo e acqua, niente più aria. E Alfie sarebbe morto in pochi minuti.

I genitori di Alfie hanno poco più di vent’anni ma l’amore rende grandi e forti e tanto hanno fatto che la vicenda di Alfie è diventata nota in tutto il mondo e quando è arrivata anche alle nostre orecchie italiane, noi che parliamo ad alta voce, noi che siamo maleducati, noi che non rispettiamo le regole ed evadiamo le tasse, noi che diciamo parolacce ma noi che un cuore come il nostro lo hanno in pochi, Noi ci siamo offerti, senza perdere tempo, di accogliere Alfie e la sua famiglia. Ospedali pediatrici come il Gaslini di Genova ed il Bambin Gesù di Roma, eccellenze nel campo della pediatria, hanno mandato i loro medici a visitare il piccolo ed hanno dato la piena disponibilità ad accoglierlo. Ma non era abbastanza per le Corti dei britannici. Allora abbiamo fatto di più: con un procedimento che più veloce di così mai più nella nostra vita, abbiamo concesso la cittadinanza italiana ad Alfie: ora Alfie è un cittadino italiano e noi avremmo anche il diritto ad accoglierlo in patria.

Ma neppure questo è bastato.

Dieci ore fa le macchine che tenevano in vita Alfie sono state staccate.

L’amore rende grandi e rende forti, dicevamo, e l’amore che Alfie ha sentito attorno a sè e il suo amore per la vita devono essere così forti che, contro ogni previsione medica, Alfie ha respirato da solo per tutta la notte, per tutte queste lunghissime dieci ore, senza cibo, senza acqua.

Mentre scrivo, Alfie è ancora vivo; vivo come può esserlo un bimbo nel suo stato, ma vivo come un bimbo che respira da solo, vivo con i suoi genitori accanto, vivo in un paese che ha deciso per lui, che ha deciso contro di lui.

Io non so cosa sia giusto o cosa sia sbagliato, però so cosa fa male: togliere la speranza, fa male.

Lasciare Alfie alle nostre cure forse non lo salverebbe ma lascerebbe sperare. 

Ed è tutto quello che i suoi genitori e chi gli sta accanto vorrebbe: poter sperare.

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