Roma, cosa si cela dietro lo scandalo di affittopoli del centro storico

sfrattiDietro lo scandalo affittopoli si cela l’ennesima operazione speculativa immobiliare finalizzata ad espellere definitivamente gli ultimi esponenti dei ceti poveri ancora residenti nel Centro Storico di Roma. Analogamente, si sta procedendo per le sedi di associazioni culturali o non lucrative e di quelle dei partiti politici e dei sindacati.

All’inizio del XX secolo, l’attuale Centro di Roma comprendeva la totalità dell’abitato cittadino e la sua popolazione ammontava a 500.000 abitanti. Allora, a parte Via del Corso (Corso Umberto I), Corso Vittorio Emanuele e pochissime altre, tutte le strade attraversavano rioni popolari. Era l’epoca in cui Roma aveva un popolo. Poi venne il fascismo e il duce proclamò che dal suo balcone si doveva vedere il Colosseo, come quinta di un Viale dell’Impero percorso dalle sfilate militari; analogamente, concepì una Via del Mare per mettere in comunicazione Piazza Venezia con il Mar Tirreno. In vista dell’Anno Santo del 1950, infine, un altro grande stradone doveva essere messo a disposizione della cattolicità, tra Castel Sant’Angelo e Piazza San Pietro (Via della Conciliazione).

Il risultato furono quei giganteschi sventramenti che, negli anni trenta, privarono centinaia di famiglie della loro casa e alcune migliaia di abitanti dei rioni Monti, Borgo, Campitelli e Ripa furono deportati nelle lontanissime borgate di Primavalle, delle Casette Pater di Acilia o del Quadraro.

L’opera di espulsione dei residenti dal Centro Storico proseguì nel dopoguerra con la speculazione immobiliare. Gli inquilini degli appartamenti privati furono sistematicamente messi sotto sfratto e le loro case acquistate da professionisti, funzionari stranieri, attori ed artisti di grido o sedi di uffici e di grandi società. Molti furono allettati a uscire spontaneamente con sostanziose buonuscite. Il valore degli appartamenti salì alle stelle.

In un trentennio, secondo gli studi di “Italia Nostra”, ben 200.000 abitanti hanno lasciato la loro abitazione nel Centro Storico per trasferirsi in periferia. A metà degli anni settanta, i cittadini residenti all’interno delle mura aureliane erano scesi a soli 130.000, ma quanti di essi erano nati a Roma o figli di romani? E quanti appartenevano ancora alle categorie popolari?

Fortunatamente, resisteva un cospicuo nucleo di alloggi pubblici, di proprietà comunale, dell’IACP o del Pio Istituto di Santo Spirito, non localizzati nella prestigiosa città barocca ma a Testaccio, all’Esquilino, a San Saba e intorno alla Stazione; quasi tutti, però in situazione di fatiscenza, al limite dell’inagibilità. Le giunte di sinistra, sia al Comune che alla Regione, alternatesi in quegli anni, compresero l’importanza della difesa del mantenimento delle residenze nel Centro Storico e finanziarono alcuni interventi-tampone di risanamento edilizio; soprattutto: promossero l’approvazione di norme che fissarono per i ceti meno abbienti un canone “sociale” di ammontare, forse irrisorio, ma comunque sostenibile, perché fuori mercato.

Poi giunse la seconda repubblica berlusconiana: cara “Roma Ladrona”, vuoi i finanziamenti statali per gestire i servizi cittadini? Vendi il tuo patrimonio immobiliare – tu che ne possiedi – e risanati da sola il bilancio! Prendi esempio dal morigerato ministro PDL Tremonti che ha obbligato tutti gli enti previdenziali a mettere sul mercato il proprio patrimonio, sfrattando migliaia di inquilini in tutta Italia, a costo di non finanziare le pensioni dei loro associati!

Contemporaneamente, in Regione, l’allora Presidente Storace obbligò l’IACP di Roma a fare altrettanto e fece approvare una legge grazie alla quale tutto il patrimonio del Pio Istituto fu assorbito dalla Regione per essere messo in vendita sul mercato. Chiaramente, la Regione non operò direttamente ma tramite istituti di credito: le banche non guardarono in faccia nessuno. Famiglie bisognose finirono in mezzo alla strada senza alcuna pietà, perché non in grado di acquistare la casa dove vivevano da decenni.

Anche al Comune di Roma, la Giunta Veltroni fu costretta ad allestire un programma di alienazione dei propri alloggi. Tuttavia, fu concesso agli inquilini il diritto di riscatto ad un prezzo inferiore del 30% a quello di mercato. Inoltre, le famiglie in condizioni disagiate avrebbero potuto continuare a beneficiare del loro alloggio, a canone sociale. Ne rimasero in 574, diluite in 115.000 residenti complessivi del Municipio Centro Storico.

Ora siamo giunti al redde rationem. Il Commissario milanese Tronca si è stracciato le vesti: appartamenti comunali con vista Colosseo affittati a prezzi irrisori? E solo il 20% è in regola con i pagamenti! Come se gli alloggi comunali fossero tutti l’attico dell’ex ministro Scajola o addirittura Palazzo Grazioli. Subito i social e i media hanno puntato il dito contro quelle ultime 574 famiglie di diseredati, molto spesso mononucleari, come se fossero dei privilegiati o dei disonesti profittatori, anziché gli ultimi pellerossa delle riserve indiane. I morosi? Ci sono sì; come quel pensionato di Via del Colosseo, che vive di pensione sociale e che è in arretrato di quattro anni di canone a 94 euro al mese. Eppure, anche quei 94 euro che dovrebbe versare al Comune gli sono essenziali, per non morire di fame.

In realtà, dietro quest’attacco moralizzatore, in nome della legalità, si cela l’ennesima speculazione edilizia. Si cela la volontà dell’amministrazione straordinaria di mettere in mezzo alla strada gli inquilini morosi o senza titolo, per vendere a prezzi di mercato (cioè stratosferici!) gli ultimi immobili comunali del Centro Storico. Perché è ovvio che un appartamento vuoto ha un valore molto superiore a quello di un appartamento occupato.

Fortunatamente il prefetto Gabrielli, diretto superiore di Tronca ha dichiarato che non sia il caso di «passare da una tolleranza assoluta a una tolleranza zero. I furbi devono essere legittimamente puniti, le persone in stato di bisogno legittimamente aiutate». Ma il Commissario straordinario non demorde. Dopo aver passato le carte alla Corte dei Conti e all’Authority anticorruzione ha cominciato a passare al setaccio la situazione dei locali non abitativi. Anche qui ha trovato unità immobiliari affittate ad associazioni culturali o non lucrative e a partiti politici e sindacati: i soggetti che, in base a regolare delibera comunale possono beneficiare dell’abbattimento sino all’85% del canone di mercato. A dire il vero anche qui, in molti casi, la morosità sul rimanente 15% – difficilmente giustificabile – è ampiamente diffusa.

A questo punto, ogni previsione degli esiti di questa nuova affittopoli è aleatoria. Di una cosa siamo certi, se l’operazione moralizzatrice avrà successo, avremo un Centro storico abitato da pochi nababbi e ricchi stranieri, sede di uffici e società per azioni, negozi di lusso e di compro oro ma il paziente – Roma – sarà morto per sempre.

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