Reyhaneh Jabbari era veramente colpevole?

Reyhaneh2L’Iran ha ignorato una campagna internazionale per salvare la vita di una donna di 26 anni, condannata per omicidio mediante impiccagione all’alba del 25 ottobre.  

L’Iran è dopo la Cina il paese con più esecuzioni capitali, al mondo. Il governo iraniano afferma che questo è dovuto al fatto che molti dei condannati siano criminali, dediti al traffico di droga con l’Afghanistan.

Le organizzazioni dei Diritti umani contestano questa affermazione, dicendo che in realtà non sono chiari i motivi di tante esecuzioni, e il sospetto è che molti dei condannati alla pena capitale siano solamente degli oppositori politici.

In questo caso a subire la pena capitale, è stata una ragazza Reyhaneh Jabbari, accusata di un omicidio commesso nei confronti di un uomo, che come lei ha deposto in tribunale, avrebbe tentato di violentarla.

Per quello che si è potuto capire il caso è stato piuttosto complesso, e considerandolo da un punto di vista investigativo, lascia molti dubbi.

Intanto secondo alcune fonti, la ragazza dopo l’aver accoltellato il suo presunto aggressore, sarebbe stata arrestata, e tenuta prigioniera per un lungo periodo, senza poter avere contatti ne con la famiglia ne con i propri legali.

Questo ha sicuramente influito sulla regolarità del processo e nei diritti della difesa tanto da far richiedere ad Amnesty International ma soprattutto all’ufficio dell’ONI per i Diritti Umani la riapertura del processo.

Reyhaneh Jabbari era una decoratrice d’interni e sarebbe stata contattata da un cliente che gli avrebbe proposto di andare presso un appartamento di sua proprietà, proprio per valutare un modo per arredarlo.

La vittima si chiamava Morteza Abdolali Sarbandi, era un medico, ma anche un alto funzionario dell’”intelligence “ del Ministero dell’Interno iraniano.

Facendo una ricostruzione utilizzando, le poche fonti giornalistiche, sembrerebbe quindi che il funzionario abbia invitato la donna nel suo appartamento con la scusa di studiare l’arredamento, e abbia tentato di violentarla. A quel punto la donna si sarebbe vendicata accoltellandolo alla schiena.

Durante il processo però, sempre che i racconti siano veritieri, si sarebbe appurato che la donna aveva comprato il coltello due giorni prima.

Ancora più strano è il fatto che Reyhaneh Jabbari, nella sua deposizione in tribunale, abbia affermato che in quell’appartamento c’era anche un altro uomo di cui però non ha mai voluto fare il nome.

Quindi la corte non ha creduto alla donna, accusandola di omicidio premeditato e condannandola alla pena capitale.

La legge iraniana nei casi di pena capitale, prevede una formula di perdono e risarcimento.

E’ previsto infatti che la famiglia della vittima possa intercedere sulla pena, ovvero, fare in modo che a seconda del tipo di reato sia accettabile un risarcimento, oppure, nei casi più gravi come quelli di una pena capitale trasformare questa pena in una sentenza che preveda solo la prigione, sempre che l’accusato chieda perdono.

L’incontro tra la famiglia della ragazza e quella della vittima è avvenuto, ma secondo quanto riferito, Il figlio della vittima è stato inflessibile nel chiedere che la Reyhaneh smentisse di aver subito un tentativo di stupro, unica condizione alla quale sarebbe stato disposto a concedere il perdono.

Il figlio della vittima ha insistito soprattutto, sul fatto che, come aveva testimoniato la ragazza iraniana un uomo era presente nell’appartamento in cui suo padre è stato ucciso, ma si era rifiutata di rivelare la sua identità. Il figlio su questo punto è stato irremovibile. Avrebbe concesso il perdono solo quando sarebbero state chiare le responsabilità della ragazza e del suo possibile testimone o complice.

Purtroppo questo non è avvenuto e quindi la Corte Iraniana ha ordinato l’esecuzione, disinteressandosi completamente delle richieste di clemenza arrivate da tutto il mondo.

Dopo l’esecuzione, l’ufficio dello stato del procuratore di Teheran ha rilasciato una dichiarazione, secondo alcuni diretta a minare la credibilità della Jabbari.

Il procuratore afferma infatti che la Jabbari “aveva più volte confessato di aver commesso un omicidio premeditato, poi cercò di giustificarsi con l’accusa di stupro.

Sempre secondo l’ufficio del Procuratore tutti i suoi sforzi di dimostrare la propria innocenza si sono dimostrati vani. Le prove erano evidenti. Lei aveva informato un amico tramite messaggio SMS della sua intenzione di uccidere Sarbandi. E ‘stato accertato che aveva acquistato l’arma del delitto, un coltello da cucina, due giorni prima di commettere un omicidio.

Il caso purtroppo si è risolto con l’esecuzione della Jabbari lasciando molti troppi dubbi.

Secondo la stessa imputata nell’appartamento c’era un altro uomo di cui però lei non dice il nome, o forse non lo sa. Perché allora parlarne? Ma sopratutto che ruolo ha avuto in questa vicenda questo personaggio? Perché lei avrebbe comprato il coltello due giorni prima?

Sono molte le domande che in questo processo non trovano risposta.

E’ stata Reyhaneh Jabbari a uccidere Sarbandi oppure qualcun altro? E chi era il misterioso personaggio nell’appartamento? Se non è stata lei perché se ne presa la colpa fino alla morte?

Purtroppo la giustizia ha seguito il suo corso nel modo peggiore con una sentenza di morte. La pena capitale è inumana, anche se trova la sua giustificazione nei testi religiosi, ma soprattutto, perché, non da la possibilità di correggere un errore umano soprattutto in un ambito complesso come quello dell’applicazione giustizia.

Se tra qualche anno si scoprirà che Reyhaneh Jabbari era innocente o che le cose non erano andate in quel modo chi pagherà?

di Gianfranco Marullo 

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