Renato Minore, giornalista, scrittore e critico letterario si racconta a InLibertà

Renato Minore, poeta, critico letterario de Il Messaggero, saggista, autore di due romanzi biografici di successo, uno dedicato a Leopardi e uno a Rimbaud. Curatore di numerosi programmi per la Tv e la radio, soprattutto di divulgazione culturale, autore di film televisivi e conduttore radiofonico. Ha fatto parte della Commissione Teatro del Ministero dello Spettacolo. È stato presidente e componente di giurie quali quelle del Premio Campiello, dello Strega, del Flaiano, del Mondello e del Premio internazionale di letteratura europea. Ha tenuto conferenze e dibattiti negli Istituti di Cultura di diverse capitali europee.

Chi è Renato Minore?

“Conosci te stesso”. E’ l’impresa più difficile, impossibile. Cerco come posso con gli strumenti che ho di conoscere Renato Minore. So che non ci riuscirò, ma so che ci proverò sempre. Scrivere è anche questo sforzo, vano ma necessario, di conoscenza.

Quando e com’è iniziata la tua passione letteraria?

Molto presto. Quando ho capito che leggere lepoesie di Ungaretti o tuffarmi nei vagabondaggi di Pinocchio o anche tremare tra le righe di Ligeia era come aggiungere qualcosa a me stesso: il dolore, la levità della corsa nel mondo, la paura e il desiderio di vivere quel dolore e quella levità. Poi il resto si è aggiunto e si è radicato.

Tre scrittori del passato e tre contemporanei che ritieni imprescindibili.

Una brutale selezione. Ci provo: Musil l’enciclopedia e il labirinto della condizione umana, Petrarca, la continua incessante condizione dello scrivere come strumento e forza di conoscenza.Kafka, il mistero, l’oscuro, l’abisso del nulla e del tutto. Oggi? Mi fermo al Novecento ancora molto contemporaneo: che dici della triade che parte dalla “coscienza” di Svevo, passa per il “ viaggio” di Celine e approda alla “cognizione” di Gadda? Ma mi accorgo che nel primo è come nel secondo caso ci sono almeno due riserve pronte a entrare in gioco: come rinunziare al racconto ragionato e analitico di Montaigne e all’oscurità balenante di Celan.

Insegnare l’italiano sta diventando sempre più difficile, nell’era dei network, della velocità e di videocentrismo. Tu, da critico letterario, che cosa e quanto pensi possa fare la scuola per “rieducare” all’amore per i libri e per la lettura?

Ma non so. Oggi si è praticamente modificata la condizione della lettura, dove e come trovare la cura, l’attenzione, la separazione, l’irrorazione che rende unico l’istante della lettura e irriproducibile il contatto del lettore? Si legge sempre più per passare ad altro, incrociandosi con altro. Mi sembra una modificazione irreversibile anche perché produce una altrettanto profonda modificazione delle nostre strutture percettive e cognitive. Ma ovviamente è lodevole ogni sforzo per “rieducare”: come promozione, proposta alternativa, indicazione di uno sforzo, di un salto in ogni caso salutare.

In questa nostra liquida società quali sono i tuoi punti fermi? 

Accettare tutte le posture, le emozioni, i pensieri, i contatti, la dolorosa dispersione che la liquidità impone.

Hai scritto un libro su Giacomo Leopardi: perché, a tuo giudizio, egli esercita un’intensa attrazione sui giovani?

Forse quella condizione “adolescenziale” protratta che lo (ti) pone di fronte alle grandi domande sulla vita, sull’identità, sul mondo e su queste costruisce (costruisci) un mirabolante telaio di visioni, sogni, pensieri più o meno ossessivi.

Ripensando al discorso di Montale pronunciato nel lontano 1975, reputi che oggi sia ancora possibile la poesia?

La poesia è spesso un alibi, dici poesia e tocchi (pensi di toccare) un livello a priori di comunicazione superiore, garantita dalla marca. Non è così: la poesia come prova, rischio, ricerca costante, continuo riequilibrio del peso specifico della parola anche oggi, come ieri, è sempre qualcosa che, come la lepre delle favole, puoi continuare a inseguire, puoi anche sfiorarla. Ma proprio la corsa con cui la insegui ne segna, con il battito del tuo cuore, la necessaria velocità per non perderla di vista.

Come è la tua giornata tipo? Quanto tempo dedichi alla lettura? Ed alla scrittura?

Anche troppo, ed è un tempo che spesso mescola i due livelli. Si può leggere scrivendo e scrivere leggendo…

Che cosa porteresti con te su un eremo?

Dipende dall’eremo, dai confort ammessi. Credo che l’hi fi ormai non si neghi neppure alle clausure più strette. E allora in fondo potrei avere tutto, o quasi, o il surrogato virtuale di tutto. Ma l’eremo comunque è sempre una privazione, per un maggior arricchimento. Sarà così anche con l’hi fi?

Che cosa vuol fare da grande, Renato Minore?

Fatico ancora a pensarmi quello che sono, grande e ( ahimè ) grandissimo .  Ricordi  “ Palomar ”  di Calvino (ecco un altro imperdibile):   decide che «si metterà a descrivere ogni istante del la sua vita e finché non li avrà descritti tutti non penserà più d’essere morto. In quel momento muore».  Forse è  cosi   anche con i progetti….quelli che  da grande e grandissimo, continuo a immagi narmi, liquidi   inarrestabili  anche   sgangherati;  e guai se quel co mpu to ,  un po’ folle e irrealistico . possa andare  ad  esaurirsi.

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