Primo round alle banche vs la Regione Piemonte

293241_palazzo lascaris regione_piemonteGiunge il primo verdetto nel contenzioso tra Regione Piemonte contro Dexia e Intesasanpaolo iniziato nel 2012 dalla giunta di Roberto Cota, che aveva annullato d’ufficio i contratti con gli istituti bancari, posti in essere dalla precedente giunta di Mercedes Bresso, perseguendo la via dell’annullamento dei contratti in autotutela.

La vicenda risale al 2006 quando l’Ente aveva emesso un prestito obbligazionario trentennale da 1,85 miliardi sul quale aveva costruito diversi contratti derivati con tre banche: Dexia, IntesaSanpaolo e Merril Lynch. Quest’ultima sfilatasi di recente dalla querelle chiudendo la transazione e versando, pare, circa 8mln di euro alla Regione, ma i dettagli sono rimasti strettamente riservati.

Dexia e Intesa rimangono invece sulle loro posizioni.

Si arriva così alla sentenza della Court of Justice di Londra di ieri con la quale si è stabilito che la Regione dovrà versare alle banche 36 mln di euro (circa 16 a Dexia e 20 a Intesa) che rappresentano le rate di ammortamento scadute e non più pagate.

Sicuramente è una sentenza che crea un importante precedente e che fa capire come la giustizia inglese, che ha completamente capovolto il teorema accusatorio, si muova secondo logiche totalmente diverse da quelle italiane. Innanzi tutto il giudice Henry Eder ha confermato la competenza della giurisprudenza ordinaria inglese in materia, come previsto dalla contrattualistica ISDA firmata dalle parti.

Non andremo nei dettagli tecnici di come si struttura un derivato e quali sono le componenti che ne determinano il valore, è importante però identificare i punti su cui si fondava l’accusa mossa dalla Regione.

Il primo riguarda i “costi occulti”, non dichiarati, insiti nella struttura del derivato e, secondo l’accusa, superiori ai 50 mln di euro. Il secondo punto fa riferimento alla presunta incompetenza dello staff della Regione in materia di derivati, con l’aggravante di aver <<compreso poco dei contratti firmati poiché scritti in lingua inglese>>. Motivazioni che la Corte di Londra ha rispedito al mittente definendole <<vaghe e oscure>>. I non addetti ai lavori, che non hanno certo voglia di capire come si determini il cosiddetto fair value del derivato e attraverso quale meccanismo di pricing, si pongono una serie di domande molto più semplici e banali: se lo staff della Regione non aveva le competenze per capire ciò che si apprestava a firmare perché ha stipulato i contratti in questione?

Supponiamo di voler acquistare un auto. Il processo d’acquisto del mezzo riguarda l’analisi di una serie di caratteristiche che possono corrispondere ai nostri desideri, ma certamente non entriamo nel merito del costo dei singoli componenti dell’autovettura ad esempio. Ipotizziamo che ci sia un valore aggiunto derivante dall’assemblaggio della componentistica, motore, telaio e rifiniture varie; infine valutiamo l’acquisto in base il prezzo e alla nostra capacità d’acquisto. Il prezzo di un derivato, commenta la Corte di Londra, è rappresentato dallo spread, elemento fondamentale per valutare se quell’operazione può essere o meno presa in considerazione.

Il ragionamento non punta certo alla difesa delle banche (e neanche dei produttori e/o rivenditori d’auto), però è singolare contestare un Istituto bancario perché ha portato a termine un operazione con un profitto, cioè l’utile del derivato, anche se non esplicitato. Nel 2006 non esisteva alcun obbligo normativo che imponesse di evidenziare gli utili generati dalle operazioni in derivati. Il costo per l’Ente è rappresentato dallo spread dell’emissione obbligazionaria con annesso derivato, così come abbiamo il prezzo proposto dal rivenditore per l’acquisto dell’auto.

L’altra domanda che sorge ai non addetti ai lavori è: ma era utile per la Regione Piemonte sottoscrivere contratti per operazioni in derivati? È un po’ come chiedersi se l’acquisto di un auto nuova è strettamente necessario. La differenza salta subito all’attenzione, nel secondo caso si spende il denaro proprio, nel primo si spende il denaro dei cittadini.

Non si vuole certo sostenere che operare in derivati da parte di un Ente significhi per forza sperperare denaro pubblico, se la finalità è quella di coprirsi dal rischio di tasso d’interesse, come nel caso in questione, allora siamo nella situazione opposta a quella della speculazione, in pratica si cerca di gestire il rischio. Se ne desume che non esistono derivati buoni o cattivi, dipende come tali strumenti vengono utilizzati. E’ un po’ come assicurare la nostra famosa auto dal rischio di furto, pago un premio ma non so se effettivamente mi ruberanno mai l’auto. Assicurarsi contro il rischio di rialzo dei tassi d’interesse, pagando un premio per il derivato, porta un certo beneficio solo se si verifica l’effettivo rialzo dei tassi, altrimenti è come pagare il premio per l’assicurazione dell’auto senza mai subire il furto.

Le considerazioni sulla vicenda sono tante e se ne discuterà ancora visto che è ben lontana dal vedere la parola Fine. I vertici della Regione si sono detti intenzionati ad impugnare la sentenza, per cui questa lunga battaglia, che ha visto fino ad ora il coinvolgimento di studi legali, consulenti tecnici e periti, andrà comunque avanti, ed è giusto che sia così se la Regione ritiene in qualche modo di essere stata truffata. Il tutto ovviamente con l’auspicio che questa truffa, se esiste, venga effettivamente dimostrata, altrimenti gli enormi costi di una battaglia di principio inutile quanto pretestuosa ricadranno, tanto per cambiare, sull’ignaro cittadino che al massimo è interessato ai derivati del latte.

di Aurum

foto: Torino Oggi Notizie

1 risposta

  1. cristiana

    insomma le solite figuracce degli italiani all’estero, se non capisci che cosa c’è scritto su un contratto (in inglese) non lo firmi!

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