Protesta dei pastori sardi, fiumi di latte sversato per la strade, nei porti e nelle piazze dell’isola

latte

Fiumi di latte versato dai pastori sulle superstrade Cagliari-Sassari-Porto Torres, sulla Cagliari-Nuoro-Olbia, nel Campidano, a Nuoro, a Oristano, perfino al porto di Olbia. Assalti ai camion cisterna, manifestazioni con cori da stadio, striscioni, magliette a tema, con la partecipazione di studenti di ogni ordine e grado e di amministrazioni locali. Tutta la Sardegna protesta per il prezzo del latte di pecora, troppo basso e non remunerativo per i pastori che lo producono.

Secondo Coldiretti un milione di litri di latte di pecora sarebbe andato disperso, «in beneficenza, dato in pasto agli animali o gettato per colpa dell’atteggiamento irresponsabile degli industriali che ha portato i pastori all’esasperazione». La rabbia dei pastori è dovuta al prezzo di vendita del prodotto, definito «da fame». Attualmente si stabilizzato intorno ai 60 centesimi al litro, in base alla legge di mercato della domanda e dell’offerta.

La protesta per la crisi del pecorino romano

La crisi sta costringendo alla chiusura 12mila allevamenti dove si produce il 97% del pecorino romano. Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, ha detto: «compensi inferiori a 60 centesimi sono un insulto. Noi chiediamo non meno di un euro e il commissariamento del Consorzio dei produttori caseari che è responsabile con le sue scelte del crollo del mercato. Vogliamo un magistrato antimafia».

Di certo, non è questa la soluzione. Un magistrato come commissario liquidatore, infatti, non potrebbe far altro che chiudere gli stabilimenti, lasciando i produttori senza offerenti e tutti senza lavoro. L’Assolatte, in rappresentanza degli industriali del settore, ha proposto, invece, un prezzo al litro di 70 centesimi. Un acconto per indurre i pastori a tornare al lavoro. Il prezzo sarebbe stato aggiornato quando il mercato si sarebbe ripreso.

Prima di esaminare gli sviluppi della protesta, cerchiamo di capire le complessità che hanno generato l’attuale situazione di crisi. Allo stato, circa il 70% del latte ovino della Sardegna è trasformato in pecorino romano, la più remunerativa delle tre Dop che rappresentano i formaggi sardi. Con la saturazione dei mercati, soprattutto quelli nordamericani, il prezzo del prodotto è crollato.

Il peso della situazione grava per intero sul pastore, che lavora nelle fasi iniziali della filiera casearia e sopporta quasi per intero il peso della situazione. Ha investito in greggi e tecnologie ma, essendo troppo piccolo, in termini dimensionali, non riesce ad assorbire le fluttuazioni di mercato. Per questo vede come un sopruso le richieste di chi sta al termine della filiera, cioè le centrali d’acquisto.

Solo pochi produttori sono riuniti in cooperativa. Il resto della produzione del pecorino romano è in mano a sole 11 aziende più rilevanti, che lavorano l’80% del latte trasformato. Per la loro dimensione, solo tali aziende riescono ad assorbire le oscillazioni del prezzo e a reggersi finanziariamente. Chi è meno strutturato si trova di fronte a un circolo vizioso: aumentare la produzione, per fare cassa. Poi rivendere a prezzo stracciato, senza essere adeguatamente remunerato.

La protesta giunge nei palazzi romani della politica

Il voto per le elezioni regionali in Sardegna, in calendario il 24 febbraio, ha però smosso i politici. Dopo giorni di proteste drammatiche, il Presidente del consiglio Giuseppe Conte si è così deciso a convocare una riunione tra le parti il 21 febbraio. I pastori sardi però si sono presentati a Roma una settimana prima. Si sono messi a protestare davanti a Montecitorio, togliendo la piazza agli olivicoltori pugliesi messi in ginocchio dall’epidemia di Xylella.

A questo punto, il ministro dell’interno Salvini ha preso l’iniziativa al posto del presidente Conte, sostenendo che ormai la questione era diventata di ordine pubblico. «Non mi alzo dal tavolo sinché il prezzo del latte non raggiunge la quota di un euro al litro!» ha detto il ministro dell’Interno. Poi, considerato il fatto che fissare per legge il prezzo di un prodotto è incostituzionale, a meno che lo Stato non corrisponda la differenza con costi a carico del contribuente, si è alzato ed ha aggiornato la riunione.

Le proposte sul tavolo per far rientrare la protesta

Sul tavolo della trattativa è rimasta un’offerta del Presidente della regione Sardegna Francesco Pigliaru di 49 milioni di euro, tra risorse regionali e nazionali, per ritirare parte del pecorino romano invenduto. In tal modo gli industriali potrebbero essere maggiormente remunerati grazie alla lievitazione del prezzo al dettaglio e pagare di più la materia prima ai pastori. La quantità di pecorino romano in eccedenza, da ritirare dai caseifici, ammonterebbe a 80 mila quintali.

E’ evidente, però, che, alla lunga, è necessario che pastori e caseari trovino un serio accordo di sistema, che raggiunga la capacità produttiva di almeno 30 milioni di litri di latte tale da acquisire una comune forza contrattuale con prospettive di medio e lungo termine. Anche la differenziazione del prodotto, destinando la materia prima non solo alla fabbricazione del pecorino ma anche agli altri Dop dell’isola potrebbe contribuire in tal senso.

Il mercato globale richiede competenze specialistiche che solo il contributo di professionisti qualificati al fianco degli allevatori può dare. È necessario lavorare con competenza e obiettivi chiari per costituire una filiera forte, in modo che l’intero comparto faccia un salto qualitativo.

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