Primarie, PD e il moltiplicatore democratico

primarieIeri è stato giorno di primarie, la cui retorica post votazioni mette in evidenza che la precedente impostazione di Renzi e del PD non sembra destinata a cambiare. Ma prima una premessa. Un sistema di democrazia rappresentativa, come ha dimostrato Arrow facendo ricorso al bagaglio della logica e della matematica, è difficile da realizzare. Senza entrare nei dettagli tecnici, egli mostra che, partendo da una serie di criteri a cui deve sottostare un sistema di voto, almeno uno di questi requisiti non può essere mai soddisfatto. Il sistema deve essere universale, ovverosia determinare un insieme di preferenze collettive completo a partire da quelle individuali, non impositivo, non dittatoriale (ovverosia tale da soddisfare le preferenze di un gruppo ristretto). Oltre ad altre che omettiamo per semplicità.

Bene: la democrazia rappresentativa è imperfetta. Ma questo, intuitivamente, lo abbiamo sempre saputo. Tuttavia, ci sono sistemi o, meglio, prassi che sembrano più imperfette di altre. Mi concentrerei sulla dittatorialità, ovverosia quella condizione in cui la scelta collettiva segue quella di un ristretto gruppo di individui. La prassi politica, al di là del meccanismo elettorale, per essere equa dovrebbe pesare i risultati conseguiti dal partito o coalizione vincente con l’universo politico di riferimento. In altri termini, per evitare la deriva dittatoriale, anche se i meccanismi elettorali tramite generosi premi di maggioranza lo consentissero, si dovrebbero fare i conti col reale consenso ottenuto. In altri termini, se questo fosse al minimo sindacale per usufruire della fiondata maggioritaria, occorrerebbe comunque che si mediasse con i rappresentanti, e quindi con le posizioni di coloro i quali, grazie a questo perverso meccanismo, venissero completamente spinti fuori dal governo del paese.

Vi è infine da dire che anche i partiti politici non sono blocchi monolitici: in esso coesistono correnti che esprimono sistemi di preferenze individuali, le quali differiscono tra loro anche in modo significativo.

E veniamo al PD. L’ascesa renziana, ancora una volta, vuole affermarsi in due step: la presa di possesso della segreteria e la vittoria alle elezioni politiche. Partiamo dal primo passaggio, ormai concluso, e facciamo due conti. In media, contiamo cinquanta milioni di elettori (un po’ meno al Senato, ma conta poco). Se applicassimo come buona approssimazione i dati dei sondaggi più recenti, avremmo un 40% di astenuti e un 27% circa di votanti il Partito Democratico. Questo porta a un bacino di elettori pari a circa 8,2 milioni di potenziali elettori. Alle primarie hanno votato in due milioni: uno su quattro; circa il 70% ha votato Renzi, quindi grosso modo il 18% dell’elettorato potenziale. E qui, se come accaduto in passato, si assisterà probabilmente al processo dittatoriale, ovverosia la cancellazione di ogni dialettica interna, di ogni mediazione con il resto del partito.

Secondo step: le elezioni. Se assumiamo il solito 40% di astenuti (ipotizzando che un altro 17% di indecisi si distribuisca proporzionalmente) e consideriamo che al PD vada il 51% nel contesto di un purissimo sistema proporzionale, il loro consenso si collocherebbe, sul totale degli aventi diritto, a poco meno di un terzo. Se a questo punto considerassimo la proporzione dei non renziani su quel 51%, ci accorgeremmo che egli sarebbe libero di imporre la propria volontà facendo grazie a un consenso quantificabile con il 21% del totale degli elettori.

Ora, in questo meccanismo c’è qualcosa che non funziona. Qualcuno, a leggere queste semplici riflessioni, sarà tentato di fare dei parallelismi con il partito di “plastica” ai tempi della golden age berlusconiana. Certo, quello non era un esempio di democrazia, né interna né in seno alle istituzioni (dove non passava un emendamento della minoranza, come ora del resto, neanche per sbaglio). Tuttavia, per usare una famosa metafora evangelica, un lupo è tale e ben riconoscibile. Qui siamo di fronte a un lupo travestito da pecora, perché alla fine è sempre la democrazia che paga.

Il problema reale, per chi non lo avesse ancora capito, è che in un mondo che viaggia dietro a un pensiero unico globale, a parte qualche marginale caso di resistenza ma che è tutto sommato ininfluente, la conseguenza è che il governo deve essere forte per imporre le politiche che da quel pensiero unico derivano. Anche nelle democrazie parlamentari. E allora, chi si propone come “assennato partito di governo” – assennato perché allineato a quel pensiero – non può che ridurre, in un paese con una costituzione come la nostra, la mediazione, la centralità del parlamento e gli spazi democratici. Qualcuno lo ha fatto apertamente, qualcun altro ricorrendo a sotterfugi, ovverosia travestendo la pecora da lupo. Ironia della sorte, il lupo travestito da pecora ha passato vent’anni a gridare “al lupo!!!”

di Joe Di Baggio

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