Preghiere in diretta e servizi ironici. Quando l’informazione sul virus si trasforma in trash

Che i programmi condotti da Barbara D’Urso non fossero un grande esempio di alta televisione ce ne eravamo accorti da tempo. Del resto, l’intento di quei tipi di format che conduce ormai da diversi anni, che si voglia chiamarli talk show o semplicemente contenitori di intrattenimento, è quello di parlare (o urlare) per ore di argomenti che vanno dalla cronaca al gossip e dai reality show alla chirurgia plastica dei Vip, il tutto trattato spesso con toni e modalità grottesche, allo scopo di suscitare stupore e divertimento nel telespettatore.

Fin qui niente di così sbagliato perché, seppur quella certa programmazione che oggi viene definita da molti come “trash” possa essere discutibile e poco edificante, è anche vero che, in periodi normali, quando una discreta fetta di pubblico televisivo la apprezza, non è poi così scandaloso destinargli uno spazio nel palinsesto, soprattutto se parliamo di Tv privata e se non si superano certi limiti.

Il problema si pone però, se quel determinato modo plateale ed esibizionista di affrontare argomenti e situazioni viene utilizzato anche nel parlare di Coronavirus e tematiche annesse. Sì, perché era stata proprio la stessa D’Urso, quando l’emergenza si affacciava in Italia, a dichiarare fiera che in questo periodo le sue trasmissioni si sarebbero occupate di fare informazione sull’epidemia e di raccontare la vita del Paese. Ecco, in che modo però?

L’esempio forse più eclatante è la preghiera recitata domenica scorsa in diretta, con tanto di mani giunte e sguardo drammatico, insieme a Matteo Salvini (foto), episodio che ha generato (come era prevedibile) enormi polemiche, tanto che nei giorni scorsi è stata lanciata su Change.org una petizione per richiedere la cancellazione dei suoi programmi, firmata ad oggi da quasi 400.000 utenti. La conduttrice, come se non bastasse, per dare ulteriore prova della sua partecipazione emotiva, ha specificato al leader della Lega: “tutte le sere io faccio il rosario. Sono orgogliosa di dirlo”. Appunto. Qualcuno forse avrebbe potuto ricordarle che il luogo giusto per pregare solennemente per le vittime sarebbe casa propria, non una prima serata in diretta su Canale 5.

Fatto sta, che nelle sue trasmissioni serali la D’Urso si collega con medici, politici ed esperti, si confronta con loro su numeri, problemi e soluzioni. Poi, improvvisamente, pubblicità. Al rientro in studio magicamente cambia tutto e si inizia a disquisire sui “tamponi dei Vip” con collegamenti da casa e ospiti in studio che indagano per capire se Valeria Marini ha fatto o no il test per il Coronavirus prima di entrare nella casa del Grande Fratello. Seguono le prevedibili e sterili polemiche qualunquiste sul perché ai ricchi vengono fatti i tamponi e ai poveri no.

Emerge per l’appunto in maniera evidente il modo in cui certi argomenti vengono sviliti e banalizzati, trasformati in folklore popolare, il che, come detto, può essere accettabile quando si affrontano altre tematiche in un altro momento storico, ma non quando si parla di un tema di questo tipo ed in questo periodo.

Anche perché, pur volendo, risulterebbe abbastanza difficile difendere una conduttrice Tv che fa partire un servizio su una canzoncina spagnola sul Coronavirus, sorridendo ed improvvisando un balletto con il suo vestito di paillettes luccicanti, mentre gli ospiti in studio non fanno una piega, forse indifferenti o forse, più plausibilmente, imbarazzati.

Con ciò non si vuole assolutamente dire che il trash televisivo sia da abolire, dato che, piaccia o non piaccia, è un genere che comunque ha un suo pubblico di riferimento, pure discretamente consistente. Il discorso è capire se sia possibile sentire un programma così seguito parlare di questa epidemia come se stesse parlando di un qualunque altro argomento al mondo, costruendoci sopra gesti eclatanti, litigate e gag spiritose.

E francamente in questo caso non funzionerebbe neanche la giustificazione del “bisogna anche sdrammatizzare”, che in genere sta bene su tutto.

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