Pornografia: dal simbolismo originario al vuoto contenutistico

pornografia

La parola pornografia, derivante dal greco porniprostituta” e grapheinscrivere“, originariamente  definiva qualsiasi opera d’arte o letteratura raffigurante la vita delle prostitute.

Dai seni ingrossati delle statue di fertilità, alle forme falliche raffigurate in ogni luogo nell’antichità, fino alle immagini esplicite sui siti pornografici, l’obiettivo del materiale pornografico è sempre stato lo stesso: evocare le emozioni, idee e sensazioni radicate nel profondo della nostra psiche e del nostro l’essere carnale più interiore, che risuonano con i nostri istinti di base.

Ad ogni modo, che ci piaccia o no, la pornografia ci colpisce e sollecita sempre una risposta quando la vediamo.

In questo articolo ripercorreremo alcune tappe della pornografia e delle sue manifestazioni nel mondo dell’arte e della società.

La Venere di Willendorf

La più antica espressione di pornografia giunta fino a noi, risale a circa 28mila anni fa: parliamo della Venere di Willendorf. 

La minuscola scultura (11 centimetri) ritrae una donna piuttosto voluttuosa. 

Questa figura è stata probabilmente usata per riti di fertilità o forse come forma di intrattenimento orgiastico in età preistorica, durante le rituali “feste del sesso”.

Altri reperti storici dell’epoca sono purtroppo andati distrutti, ma è ipotizzabile che siano stati realizzati numerosi manufatti a sfondo erotico anche precedentemente.

I petroglifi Kangjiashimenji

I petroglifi (incisioni rupestri) risalgono a 4.000 anni fa e sono stati ritrovati nella Cina settentrionale nei primi anni ‘80.

A guardarle superficialmente, si tratterebbe di dieci figure erette, con le braccia posizionate in modi piuttosto insoliti, come per salutarsi l’un l’altro. 

Ma, esaminandole più da vicino, vediamo che puntano tutte verso una figura a sinistra: un uomo con un pene eretto. 

La forma arrotondata, suggerisce che le altre figure siano donne, e l’uomo le saluterebbe con entrambe le mani, aspettando che lo intrattengano sessualmente. 

Babilonia: la prima rappresentazione del sesso anale

Per gli antichi babilonesi il sesso era una pratica altamente religiosa, una sorte di “ponte arcobaleno” per comunicare con le loro divinità. In pratica, l’orgasmo era considerato il momento massimo di avvicinamento alla divinità.

Nei templi, le prostitute facevano sesso in onore degli dei ed esistevano persino delle celebrazioni sessuali annuali in cui quasi nulla era vietato: il Festival del fuoco babilonese di Uruk ne è un esempio.

Per l’occasione si celebrava Nusku, Dio del fuoco e della luce del pantheon babilonese e assiro, messaggero di Enlil e intermediario fra gli uomini e gli dei.

A raccontare della loro passione per il sesso fu, tra gli altri, lo storico greco Erodoto di Alicarnasso o di Thuri (484 a.C.  425 a.C.), che nelle Storie ci racconta con dovizia di particolari delle loro pratiche promiscue, spudorate e disinibite.

Era lecito ad esempio fare sesso in pubblico, sul tetto di un edificio e, stando ai suoi racconti, gli uomini si divertivano molto a farsi urinare.

Esistevano inoltre dei mercati del sesso conosciuti in tutto il mondo. 

Fra gli oggetti pornografici rinvenuti, sono abbastanza eloquenti i frammenti di una scultura che ha almeno 4.000 anni.

Si tratta di una targa fatta di terracotta che è riuscita a sopravvivere e che oggi si può visitare al Museo di Israele.

Essa rappresenta una donna piegata che scivola all’indietro fino a raggiungere l’area genitale di un uomo.

Il maschio è ritratto nell’atto di afferrarla per i capelli e per i fianchi con le mani. 

I babilonesi, civiltà all’avanguardia, avevano già imparato che la penetrazione vaginale poteva causare la gravidanza. Di conseguenza praticavano regolarmente il sesso anale.

Sebbene la targa non mostri alcuna penetrazione, gli studiosi ritengono che questa sia la prima rappresentazione conosciuta del sesso anale nella storia della pornografia.

La maestria greca

Gli antichi greci, superbi praticamente in ogni disciplina, erano famosi nel mondo per le loro ceramiche e i loro artigiani hanno lasciato bellissime illustrazioni relative all’atto sessuale.

La quantità e la qualità degli atti sessuali dettagliatamente raffigurati, sono davvero notevoli. 

Il sesso era rappresentato ovunque, anche negli oggetti di uso quotidiano, quali ad esempio i recipienti per trasportare l’olio.

Ed è proprio sulle pentole che venivano impresse le scene più pornografiche di tutti i tempi.

Troviamo pertanto immagini di sesso orgiastiche, sesso omosessuale, immagini falliche e posizioni che solo gli antichi greci avrebbero potuto sognare.

Tra le creazioni, magistrale un vaso in cui un uomo solleva il suo partner sessuale in aria, come un semidio greco-romano.

Le Mura di Pompei: pornografia a cielo aperto

Anche l’Impero Romano cercò di emulare i fasti dell’antica Grecia

I reperti più interessanti si trovano nella città di Pompei, ben conservata dopo l’eruzione del vulcano del 79 d.C.,che ha incastonato la città nella cenere vulcanica e l’ha racchiusa nella pietra. 

Pompei era la degna erede di Sodoma e Gomorra dell’Impero Romano.

I bagni in cui si praticava apertamente il sesso erano davvero numerosi. Inoltre, sulle pareti di moltissime botteghe erano dipinte scene esplicite di pornografia.

Oltre a essere incredibilmente dettagliate, le immagini danno la percezione della profondità, cosa inconsueta per l’epoca. 

Fra i dipinti, si possono vedere donne che “cavalcano” degli uomini e distinguere i capezzoli, i peli pubici, le singole ciocche di capelli e i muscoli, finemente ombreggiati e incisi nei corpi carnosi.

Le raffigurazioni falliche poi erano una vera ossessione: si trovano ovunque nelle mura e nelle strade di Pompei.

Riguardo all’obiettivo, probabilmente queste scene erano state progettate per scatenare un’ondata erotica nei loro spettatori.

Questo fa desumere che Pompei fosse il paradiso degli amanti del porno.

L’imperatore Tiberio: il re del porno 

A Roma, la palmares del porno spetta all’imperatore Tiberio (regnò dal 4 al 37 d.C.).

Secondo il suo biografo Gaio Svetonio Tranquillo (Vite dei Cesari), in età avanzata Tiberio si fece costruire un centro porno a Capri. Lì, i giovani si scatenavano nell’erotismo più sfrenato e l’imperatore di volta in volta era voyeur e partecipante. Inoltre, nelle sue piscine, venivano “addestrati dei fanciulli di tenerissima età, che chiamava i suoi “pesciolini, a scherzare tra le sue gambe mentre nuotava e a risvegliare i suoi sensi con baci e morsi”.

Interessante pure il celebre manuale erotico, Ars amatoria (Arte dell’amore) del poeta romano Publio Ovidio Nasone (43 a.C.-17 d.C.), un trattato sull’arte della seduzione, dell’intrigo e dell’eccitazione sensuale.

I vasi pornografici della cultura Moche

Centinaia di anni dopo, mentre l’Impero Romano era in forte declino, un’altra cultura irrompeva sulla scena con un desiderio apparentemente infinito di creare oggetti pornografici sotto forma di vasi di terracotta: i Moche del Perù.

La cultura Moche visse un periodo di splendore nel Sud America all’incirca dal 1 D.C. fino all’800 A.C.

Proprio come i ceramisti greci dell’antichità, anche i Moche realizzavano vasi statuari raffiguranti scene audaci di tutti i tipi di sesso: scene di sesso con bambini nella stanza mentre una donna fa sesso orale con un uomo, scene di sesso in cui gli uomini sono intenti a masturbarsi e soprattutto sesso anale.

Il Medioevo: sfatiamo qualche mito

Contrariamente a quanto si pensi, nel Medioevo, non solo la pornografia esisteva, ma era un fenomeno di costume dilagante.

La Chiesa esercitava ormai la sua egemonia da diversi secoli ma soprattutto in Germania e Portogallo, monaci, monache e altri religiosi consumavano segretamente del materiale considerato pornografico. 

Per contrappasso, più la morsa della Chiesa si faceva stretta, più si diffondevano pratiche sessuali perverse e persino sadiche.

Anche alcune delle 100 storie del Decameron (composto tra il 1349 e il 1353), del poeta medievale italiano Giovanni Boccaccio (1313), sono di natura licenziosa. Tra i temi principali della pornografia medievale, il più sentito era quello che trattava della depravazione sessuale, inclusa l’ipocrisia dei monaci e di altri chierici.

Pornografia nipponica a scopo educativo

Il Giappone possedeva una cultura dell’erotismo visivo molto sviluppata.

Nel XVII secolo iniziarono a diffondersi rappresentazioni grafiche, piuttosto esplicite, di rapporti sessuali. Le immagini erano state ideate per fornire educazione sessuale a professionisti medici, cortigiane e coppie sposate.

A quest’ultima categoria erano destinate le Makura-e (immagini di cuscini). 

L’ interesse per la pornografia raggiunse il suo apice durante il periodo Tokugawa (1603-1867), quando, con l’avvento della stampa xilografica a colori, iniziarono a circolare stampe erotiche, comunemente descritte come shungaimmagini di primavera“. 

Nel XVIII secolo, il governo iniziò a emettere editti ufficiali contro questi materiali, e seguirono alcuni arresti e procedimenti giudiziari. Tuttavia, l’erotismo giapponese continuò a prosperare e le stampe di artisti come Suzuki Harunobu (c. 1725-1770) da allora hanno raggiunto fama mondiale.

Letteratura erotica nella prima Francia moderna

La storia moderna della pornografia occidentale inizia con l‘Illuminismo (XVIII secolo), quando la tecnologia di stampa era oramai talmente avanzata, da consentire una vasta produzione di materiali scritti e visivi per ogni gusto e ceto sociale.

In Inghilterra, fiorì un piccolo traffico sotterraneo che divulgava opere a sfondo pornografico.

Un classico di questo periodo fu il diffusissimo Fanny Hill- Memorie di una donna di piacere (1748–49) di John Cleland. All’incirca in questo periodo, l’arte grafica erotica iniziò ad essere ampiamente prodotta a Parigi, arrivando infine ad essere conosciuta nel mondo anglofono come “cartoline francesi“.

Un capolavoro assoluto dell’arte erotica del XVIII secolo, fu scritto dal marchese de Sade, autore di  “Le120 giornate dopo Sodoma” (bellissimo anche Justine 1791).

Il Marchese divenne popolare per le sue descrizioni sessuali in cui l’abuso, la depravazione e il sadismo, erano i protagonisti.

Incitava inoltre a praticare abitudini sessuali quali: l’omosessualità tra uomini, la sodomizzazione delle donne, puntando l’accento sul piacere di soffocare e frustare i suoi servi sessuali.

Gli scritti mossero contro di lui accuse di molestie sessuali, che lo condussero in un sanatorio dove sarebbe rimasto fino alla morte.

Oggi, “Le 120 giornate di Sodoma” sono un elemento fondamentale nella letteratura pornografica.

Pornografia in epoca vittoriana 

Quando la regina Vittoria salì al trono in Gran Bretagna nel 1837, esistevano più di 50 negozi pornografici in Holywell Street a Londra

Nonostante fosse considerata un tabù, la pornografia continuò a prosperare durante l’età vittoriana in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.

L’anonima autobiografia “My Secret Life” (1890) fu una delle opere più controverse del periodo.

Lo scritto, era sia un resoconto dettagliato della continua ricerca della gratificazione sessuale da parte di un gentiluomo inglese, sia una cronaca sociale delle pruderie represse di una società puritana

Un importante periodico dell’epoca fu “The Pearl” (1879-1880), che includeva romanzi a puntate, racconti, barzellette crude, poesie e ballate contenenti descrizioni grafiche dell’attività sessuale.

E oggi? Cosa vuol dire pornografia?

Oggi la pornografia è a portata di tutti. Si è svuotata di pathos.

Non appartiene più al regno della notte, al mondo del sacro, del rito e non ha più uno scopo educativo come avveniva ad esempio in Giappone

Abbiamo applicato alla passione per la notte, la legge del giorno, che conosce solo il tempo, il denaro, il mercato.

Di conseguenza, viviamo in una sovrabbondanza di immagini sessuali che pullulano sulle strade, sugli schermi e sulla carta stampata, svuotate di ogni significato simbolico.

La vera padrona della pornografia è la pubblicità, che vorrebbe far desiderare un prodotto con la stessa intensità con cui si desidera il sesso.

Laddove il simbolo (συμβάλλω) significa unire nella forma transitiva, e in quella intransitiva significa riconoscersi, il potere simbolico della pornografia ha estinto il suo potenzialmente creativo: il sesso ormai è solo una delle tante merci sottoposte alle regole del mercato.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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