Populismo, la fine della mediazione politica

Populismo

Il populismo è la personificazione del capo che tende a operare senza mediazione. Quest’ultimo si presenta come interprete autentico del sentire comune, dal momento che ha ricevuto l’incarico direttamente dal popolo con il voto (Huntington).

Le considerazioni teoriche

Se si porta questo discorso all’estremo si parla di utopia populista in cui il capo risponde solo ed esclusivamente agli elettori – si va sempre più verso la fine della mediazione politica:

Possono essere definite populiste quelle formule politiche per le quali fonte precipua d’ispirazione e termine costante di riferimento è il popolo, considerato come aggregato sociale omogeneo e come depositario esclusivo di valori positivi, specifici e permanenti.

N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2006, p. 89.

Come suggerisce Calise,

La fioritura recente e crescente di movimenti populisti è dovuta principalmente alla capacità di adattarsi al nuovo ambiente comunicativo globale, fondato sulla liquidità, flessibilità, volatilità di orientamenti ed appartenenze. E sulla conseguente trasformazione dei vertici decisionali all’insegna della personalizzazione. Se, agli albori, il leader carismatico era sembrato rientrare nel retaggio simbolico ed identitario delle comunità tradizionali, i capi populisti attuali devono la loro influenza soprattutto alla capacità di interagire ed egemonizzare lo spazio di vecchi e nuovi media. Rivolgendosi agli individui che ne sono protagonisti, con le loro opinioni e pulsioni, fragili quanto – spesso – violente” .

Citazione tratta da M. Pucciarelli, Anatomia di un populista. La vera storia di Matteo Salvini, Milano, Feltrinelli Editore, 2016, p. 158.

Le tipologie di populisimo

Si possono distinguere diversi tipi di populismo:

  1. il populismo dall’alto che salta la mediazione e chiede direttamente al popolo. Si manifesta quando i vecchi partiti cercano di salvare la spinta antipolitica con un linguaggio anch’esso antipolitico;
  2. il populismo dal basso, quello che nasce dagli strati della gente comune, tipico della Lega;
  3. quello dal centro che presenta un’impronta tecnica;
  4. il populismo dell’estraneità, infine, che dà voce ai disagi “alla Grillo”.

In tutte le campagne elettorali è presente un minimo di populismo che incarna tutto ciò che si trasgredisce, una parola di censura, uno stile e un atteggiamento della comunicazione.

Parlando di populismo ci si può riferire ad esso come l’insieme di due indirizzi teorici:

  1. quello di Marx, il quale teorizzò il cosiddetto cesarismo moderno in cui si ha un capo che parla col popolo con strumenti referendari – dialogo continuo tra il capo e la massa;
  2. quello di Huntington, secondo il quale il populismo è un atteggiamento proprio del leader politico che si presenta direttamente al popolo.

Il populismo mantiene la rappresentanza, ma al tempo stesso la sacrifica. Il capo si relaziona alle masse contro il Parlamento. Rosanvallon parla del populismo dei giorni nostri come di una “patologia della democrazia elettorale-rappresentativa” e come di una “patologia della contro-democrazia”.

In questo senso, il linguaggio della transizione ha saputo farsi portatore del messaggio della fine della democrazia e del passaggio a quella che è stata definita post-democrazia.

Il linguaggio di questo periodo è stato definito del nuovismo, perché scombina completamente i contenuti che erano utilizzati dai partiti della Prima Repubblica – culto per il nuovo assoluto che genera una politica senza radici. Oggi la neolingua si colloca nella sfera antipolitica della neodestra.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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