Pensare “secondo Dio” dà alle relazioni umane un nuovo orizzonte

Osho_Circle_School_OIC_event_03Il Vangelo di Matteo che stiamo leggendo in queste domeniche ci presenta una lunga sezione in cui Gesù espone un’interessante catechesi sul significato di “Chiesa”.

In questa stessa catechesi, inoltre, Gesù precisa cosa si chieda a Pietro per essere “pietra” e come debbano vivere i discepoli perché siano la vera comunità riunita dalla forza della sua Parola. Una catechesi che può essere sintetizzata se guardiamo alla missione salvifica di Gesù.

Con l’ingresso di Cristo nel mondo, infatti, il regno di Dio fa irruzione nella storia e Gesù diventa l’immagine di un Dio che ogni giorno si fa nostro compagno di viaggio per amarci veramente e per fare dell’umanità dispersa una sola grande famiglia, appunto la chiesa. Come a Pietro, anche a noi il Maestro chiede di “pensare secondo Dio e non secondo gli uomini”; ciò non si riferisce ad un Dio forte che vince sempre o che offre agli uomini solo ricchezza e potere.

Per Gesù, pensare “secondo Dio” significa discendere, farsi “minimo”, uomo, per condividere la nostra stessa povertà ed amarla. Il brano evangelico di questa domenica (Mt 20, 1-16) dà alle relazioni umane un nuovo orizzonte, quello della fede, quello di Cristo. La liturgia ci fa leggere questa pagina evangelica per provocarci e per farci condurre per mano dal Maestro alle sorgenti della nostra coscienza, là dove nascono le tante domande, la maggior parte delle quali rimangono, purtroppo, senza risposta. La fede è anche mistero, per questo “il regno dei cieli è simile ad un padrone di casa”, quindi, ad un uomo”.

Quando Gesù parla di “regno dei cieli” indica una realtà concreta, parla di un Dio che abita la storia per riconsegnarle un nuovo significato. “è simile ad un uomo, responsabile della casa, che uscì all’alba”. Il Vangelo ci apre all’esperienza di un Dio che è presente nella storia, di un Dio appassionato delle creature e che non rimane chiuso nella sua casa, ma “esce” in cerca di operai che lavorino per la sua vigna: un’immagine molto espressiva questa, che ci comunica la bellezza dell’amore trinitario; un amore cioè, che si apre, che si abbassa a favore della sua vigna, che siamo noi. E Dio esce spesso: alle nove, a mezzogiorno, alle tre, alle cinque.

Quello annunziato da Gesù è davvero un Dio “preoccupato” che impara a vivere con gli uomini, che parla con loro, che supera gli schemi umani, che conosce le tante povertà, le innumerevoli delusioni e che impara ad essere un Dio che solamente dona e si dona, che rimane fedele all’amore, che non abbandona chi è solo, che chiama chi nessuno interpella, che cambia il mondo con chi sembra non contar nulla, che salva il mondo con chi il mondo lo mette solo in croce. Un Dio davvero “strano” quello di Gesù; tuttavia, l’esperienza di Dio che il Vangelo ci propone è quella di un Dio che si mostra infinitamente “buono” e non “ingiusto”, un Dio che in Gesù ci mostra chiaramente che cosa significhi questa “follia di Dio”, che continua a chiamare “amico” chi invece fa della bontà un motivo per ostentare invidia.

Il regno dei cieli è simile a un uomo”: ciò non è utopia, ma realtà vera e concreta. Ciò che la pagina evangelica ci narra è simile a ciò che accade oggi: Gesù continua ad edificare la sua Chiesa sulla debolezza umana perchè è di questa debolezza che il Maestro ha bisogno per fare grandi cose. Alla guida della chiesa, infatti, non ci sono sapienti o illustri luminari; i grandi Santi sono coloro che non hanno avuto rivendicazioni da fare, non hanno avuto paura della propria fragilità; essi sono stati coloro che davanti al mondo non contavano niente e che hanno custodito sempre gli occhi di bambino, vivendo solo di Cristo e per Cristo, come ci esorta la seconda lettura. Nella Lettera ai Filippesi si conserva un antichissimo inno a Cristo che sin dai primi anni del cristianesimo conteneva già una sintesi completa del mistero di Cristo, cioè della kenosi, l’umiliazione di Gesù fino alla morte in croce. Dobbiamo considerare che Paolo scrive questa lettera quando sono trascorsi circa vent’anni dalla risurrezione di Gesù. Questo grande mistero si è amalgamato mirabilmente con la vita di S. Paolo che, intanto, scrive ai Filippesi mentre si trova in prigione.

Egli afferma: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). È una nuova vita quella proposta da Paolo, una nuova esistenza umana che consiste nella comunione piena con Gesù Cristo, il quale non è morto ma è il Vivente. Il suo mistero di morte e risurrezione è la Buona Notizia, quella che partendo da Gerusalemme vuole raggiungere tutti i popoli della terra e che con l’aiuto dello Spirito vuole trasformare dall’interno tutte le culture, aprendole ad una fondamentale verità: Dio è essenzialmente amore, si è fatto uomo in Gesù e con il suo sacrificio ha liberato l’umanità dalla schiavitù del male, consegnandole una speranza affidabile. San Paolo era un uomo che sintetizzava tre culture: quella ebraica, greca e romana. Non a caso, Dio gli affidò la missione di portare il Vangelo a tutte le genti, gettando un ponte che avrebbe accompagnato così il Cristianesimo fino agli estremi confini della terra, senza non poche difficoltà.

Carissimi, stiamo vivendo la nuova evangelizzazione. Consideriamo che il Vangelo ha avuto il potere di trasformare il mondo e ancora lo sta trasformando, come quel fiumiciattolo che pian piano si fa strada da solo, irrigando così un immenso campo. Rivolgiamoci a Maria perché in tutta la Chiesa maturino vocazioni sacerdotali, religiose e laicali per questo servizio instancabile alla nuova evangelizzazione. Urge questa preghiera, soprattutto oggi: innalziamola con fede certi che il Signore ascolterà anche questa forte necessità.

di P. Franncesco M. Trebisonda, o.m.

Basilica_di_Sant’Andrea_delle_Fratte

Santuario-Madonna-del-Miracolo-SantAndrea-delle-Fratte

foto: oshocircleschool.com

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