Panama Leaks: cos’è?

l_110475_035607_updatesIl primo ministro islandese Sigmundur Gunnlaugsson è stato costretto a dimettersi per il suo coinvolgimento nello scandalo Panama papers, a seguito di una grande manifestazione di popolo, – inusuale nella tranquilla isola nordeuropea – che, davanti al Parlamento di Reykjawick ha richiesto a gran voce le sue dimissioni.  Panama Leaks: cos’è di preciso?

 Vi siete mai chiesti perché tutte la grandi navi da crociera battono bandiera panamense o bahamense o delle Isole Bermude (ad eccezione della italianissima Costa Crociere) e perché i più grandi campioni tennis o di automobilismo o di motociclismo sono residenti nel Principato di Monaco, piuttosto che in Svizzera o nel Lichtenstein? Sherlock Holmes risponderebbe: “Elementare, Watson!” le tasse!

I “paradisi fiscali”, sulla faccia della terra sono tanti. Oltre a Panama, alle Isole Bahamas e alle Bermuda, ci sono anche le Isole Vergini, il Belize, le isolette caraibiche come Aruba e Santa Lucia; in Europa, oltre a Montecarlo e al Liechtenstein, c’è anche la Svizzera, Malta, il Lussemburgo e, nel resto del mondo, chi più ne ha, più ne metta. Lo abbiamo sempre saputo, ma chiudevamo tutti e due gli occhi.

Sinché il giornale tedesco Suddeitsche Zeitung, alcuni giorni fa, tramite un informatore anonimo, è venuto in possesso di oltre 11 milioni di documenti – i “Panama Papers” – dello studio Mossack Fonseca & Co., un’azienda avente lo scopo sociale di creare società fittizie a disposizione di clienti miliardari, aventi sede in questi “paradisi fiscali”, come contenitori di consistenti quote del patrimonio di questi VIP.

Tra costoro, il premier islandese che avrebbe investito alcuni milioni di dollari in una società di cui, poi, ha ceduto il 50% per un solo dollaro alla moglie, che ne ha intascato il capitale, senza colpo ferire. Ciò che stupisce maggiormente il lettore italiano è che le proteste del popolo islandese non siano dovute al fatto in sé – perfettamente legale per le norme della piccola democrazia nord-europea – ma alla circostanza che il premier non avrebbe dichiarato al Parlamento tutta l’operazione.

Il dimissionario premier islandese, tuttavia, non è il solo ad essere incappato nella fuga di notizie circa i propri conti all’estero. Negli elenchi del Panama Leaks ci sarebbero altri 11 capi di stato e di governo, di cui cinque ancora in attività, 128 politici con incarichi di varia responsabilità, 29 miliardari tra i 500 più ricchi del mondo e 33 soggetti in affari con organizzazioni terroristiche e cartelli della droga, secondo il governo degli Stati Uniti.

Tra costoro  – udite udite! – niente meno che il Primo ministro russo Vladimir Putin, il padre dell’attuale premier britannico David Cameron (scomparso nel 2010), l’attuale commissario europeo per l’energia e i cambiamenti climatici ed ex ministro spagnolo Miguel Arias con la moglie, l’amministratore delegato della società estrattiva portoghese Lusitania Group, già coinvolto nella recente inchiesta brasiliana sulle presunte tangenti incassate dai presidenti brasiliani Dilma Roussef e Ignacio Lula, nonché la sorella dell’ex Re di Spagna Juan Carlos di Borbone e altri leader di Paesi africani e sud americani.

Mossack Fonseca inoltre, aveva come clienti anche numerose banche europee e mondiali di primaria importanza, tra cui ben 28 istituti tedeschi (inclusa Deutsche Bank), cinque svizzere (tra cui Credit Suisse), quattro lussemburghesi, la Royal Bank of Scotland e la nostra Unicredit. Per tutte quante l’istituto aveva creato società fittizie con sede in uno dei piccoli Stati di cui sopra.

Ma tutto ciò che è emerso è solo la punta di un iceberg. Mossack Fonseca, infatti, è solo una delle innumerevoli società aventi scopo analogo, tutte impegnate a creare e a finanziare, per conto dei propri clienti eccellenti, società off-shore in cui nascondere tesori al fisco. Capitali che, poi, al momento opportuno, tornano sul mercato per realizzare enormi profitti, speculando su un debito sovrano o scommettendo sul fallimento di questa o di quella impresa e, infine, tornare indietro nel loro rifugio off-shore.

Tuttavia, la normativa applicabile a tutte queste discutibili operazioni è quella dello Stato ove hanno sede queste società fittizie; una normativa, cioè, largamente inesistente e che non prescrive alcun obbligo di trasparenza delle operazioni a livello internazionale.

Quindi, nonostante il clamore, al fine per la quasi totalità delle operazioni, il risultato, a livello giudiziario internazionale, sarà uno solo: “tutto regolare!”.

di Federico Bardanzellu

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