Ostaggi in zona di guerra: trattare per la loro liberazione o no?

decapitazioneLa polemica divampa sulla liberazione delle due cooperanti raggiungendo livelli di una bassezza inaudita tipica ormai di uno pseudo giornalismo italiano.

Oltre a discutere sul loro stato fisico, (stanno troppo bene, sono ingrassate)  si è arrivati a parlare della possibilità che durante la loro prigionia possano aver avuto rapporti sessuali con i rapitori. Qualcuno pià erudito ha citato sindrome di Stoccolma.

Un ciarpame di informazioni che sono degne di giornali scandalistici di infimo livello.

Una cosa è chiara, le due cooperanti sono partite volontariamente per la Siria, grazie ai contatti che molti rifugiati, o profughi siriani residenti in Italia hanno ancora nel loro paese.

Proprio sulla Siria Le stesse Nazioni Unite, in un rapporto del 14 novembre 2014 hanno dichiarato l’ISIS colpevole di crimine contro l’umanità.

Quindi una zona di guerra che come ormai tutti sanno, dove i livelli di brutalità, e di violenza contro le popolazioni civili sono fuori da ogni controllo. Secondo l’Alto Commissariato  ONU per i Diritti Umani, le cifre dei  morti accertati avrebbe superato il numero di centomila tra questi migliaia di bambini.

Una vera catastrofe umanitaria  di cui i primi responsabili sono i paesi occidentali e la loro miopia politica.

Se tanto allarme e curiosità hanno acceso i “foreign fighters” cioè i combattenti che dall’Europa, si muovono verso quelle zone per combattere a fianco dell’ISIS, ci si stupisce perche due ragazzine decidano di andare come cooperanti umanitarie nelle zone di guerra.

Certo il loro apporto può sembrare inutile, lo schierarsi con una delle parti in causa, ne elimina la “neutralità” che deve rispettare qualsiasi aiuto umanitario, ma almeno va riconosciuta la loro buonafede. Certo non sono state mandate li per portare armi, come qualcuno vuol far credere. Per quello ci sono strade molto più sicure, e personaggi molto più pratici ed esperti.

Ritorna a questo punto la domanda se sia stato giusto pagare un riscatto per la loro liberazione. Forse è il caso di capire come si comportano gli altri paesi.

Gli inglesi per bocca del Primo Ministro David Cameron sembrano optare per la linea dura. Nessun riscatto per la liberazione degli ostaggi, proprio per evitare di “finanziare” i gruppi armati.

Gli USA sono sullo stesso tenore. Nessuna trattativa con i sequestratori. Il Dipartimento di Giustizia ha minacciato le Agenzie Private di Security, che operano in diverse parti del mondo anche con il compito di liberare gli ostaggi, di essere accusate di finanziamento al terrorismo, e quindi passibili di processi penali.

Come si sa agli Usa piace mostrare i muscoli, e quindi la liberazione degli americani prigionieri, viene demandata a unità tattiche, i famosi SEALS, ma come è successo negli ultimi casi questo impiego di forze non ha ottenuto i risultati sperati. (vedi il caso Foley).

In netto contrasto con gli Stati Uniti e Regno Unito, si muovono altre nazioni, tra cui Germania, Francia, Italia e Spagna, che optano per una strategia di salvezza dell’ostaggio, instaurando  trattative, anche pagando eventuali riscatti.

Un approccio diverso, questo, evidentemente non solo italiano, ma anche di altri paesi della UE.  La differenza sta nel fatto che, in altri paesi non si scatenano polemiche inutili, insulti da stadio, che non servono a nulla. Si accetta che il cittadino del paese ritorni sano e salvo, anche spendendo un po di soldi.

La trattativa ostaggi è un’attività complessa, difficile, e piena di rischi, per un nonnulla può saltare tutto, anche all’ultimo minuto, quando sembra che il successo sia a portata di mano.  Non funziona, come qualcuno pensa, che basta presentarsi con i soldi e tutto va a posto.

Soprattutto nelle zone di guerra, dove non sono presenti eserciti regolari, in quei casi si chiamerebbero prigionieri di guerra, ma bande armate, spesso anche in contrasto tra loro,  la capacità di trovare interlocutori credibili, evitare tradimenti dell’ultima ora, impedire ad esempio che l’ostaggio “sparisca” venduto forse ad altri gruppi, prevede non solo un grande capacità del negoziatore, ma anche una sua credibilità.

Occorre saper raccogliere le informazioni, proteggere le fonti, conoscere i territorio, gli interlocutori, convincere i sequestratori che chi tratta è credibile, avere alle spalle qualcuno che all’ultimo non si tiri indietro, insomma un lavoro d’intelligence che prevede alta professionalità e notevoli capacità.

Almeno su questo abbiamo dimostrato di avere le carte in regola.

di Gianfranco Marullo

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