Nuova via della seta o “Belt and Road Initiative”, l’Italia è pronta alla firma

Tra poche settimane Italia e Cina potrebbero sottoscrivere un apposito memorandum per l’iniziativa cinese Belt and Road o “nuova via della seta”. Ciò avverrà, probabilmente, tra il 21 e il 23 marzo prossimi, tra il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e il presidente cinese Xi Jin-ping, in occasione della visita ufficiale di quest’ultimo in Italia.

L’accordo riguarda settori come infrastrutture, energia, telecomunicazioni, aviazione civile ed e-commerce. Negli ambiti di cooperazione previsti dal memorandum, è un’occasione per l’Italia di ricoprire un ruolo manageriale, anche in ambito Ue e nel resto del modo occidentale, per la penetrazione dei prodotti cinesi. Inoltre, sarebbe un’occasione per veicolare il made in Italy in mezzo mondo, fruendo della road in senso contrario.

Perché l’Italia, con la nuova via della seta, guarda alla Cina

Non siamo stati noi a cercare Pechino. Tuttavia, mai come oggi, negli ultimi centocinquant’anni, stringere relazioni commerciali più strette con il gigante cinese, rappresenta una via d’uscita per la congiuntura economica del nostro paese che, diversamente, potrebbe veramente toccare livelli patologici.

Quando furono sottoscritti i Trattati di Roma, infatti, noi eravamo i “poveri”, in termini di Pil pro capite. Tra gli Stati fondatori, infatti, eravamo quelli che beneficiavano maggiormente dei contributi europei, soprattutto al sud. Con l’allargamento dell’Unione alla Grecia, a Cipro e ai Paesi dell’Est, ci siamo ritrovati tra i “ricchi”, in quanto il nostro Pil pro-capite, soprattutto al nord, è diventato superiore alla media europea. Per questo siamo diventati anche noi contribuenti netti.

Secondo e più importante imperativo. La geografia ci impone di guardare all’Europa centrale e settentrionale, quale sbocco per i nostri prodotti ma di non trascurare il Mediterraneo. Questo perché siamo un ponte che collega geograficamente l’Europa all’Africa e al Medio Oriente. Gli interessi italiani nel Mediterraneo, tuttavia, hanno sempre trovato indifferenti i nostri alleati europei e non. Fu per anche per tale motivo che, più di un secolo fa, l’Italia inaugurò la politica dei “giri di valzer” e poi abbandonò la Triplice Alleanza.

Cos’è la nuova via della seta

La cosiddetta Via della Seta non nasce oggi. Nei fatti, già almeno l’85% delle nostre importazioni industriali giungono in Italia dall’Oriente, su navi containers, attraverso il Canale di Suez. Con il suo rafforzamento, Pechino si pone l’obiettivo di dare sbocchi alla sua sovra produzione industriale, di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico (gas, petrolio  e uranio) e l’accesso alle materie prime fondamentali per il suo sviluppo tecnologico. 

Il progetto ha coinvolto sinora soprattutto i paesi del sud-est asiatico (Cambogia, Myanmar e Thailandia) in grandi progetti infrastrutturali. In Thailandia Pechino ha in progetto di costruire un canale, attraverso l’istmo di terra che unisce l’Asia continentale alla Malesia, onde evitare ai propri convogli il passaggio obbligato di Singapore. Nell’Oceano Indiano, sta coinvolgendo Sri Lanka e il Pakistan, dove ha in corso di realizzazione il porto di Gwadar.

Nel Mar Rosso, la Cina ha allestito la sua prima base militare estera, a Gibuti e, con l’Egitto, si è accordata per realizzare un secondo, più grande, Canale di Suez. Approfittando della crisi economica di Atene, si è già comprata il porto del Pireo ma – fortunatamente per noi – si è accorta che, nel Mediterraneo, altri porti (Trieste, Genova e – perché no – di Gioia Tauro) possono rappresentare il punto di arrivo della sua strategia. Inoltre, la guerra dei dazi scatenata dal presidente USA Donald Trump (“America first”) hanno stimolato i cinesi a cercare altri mercati all’infuori del Nord America. Così hanno cercato l’Italia.

La nuova via della seta è vista dagli Stati Uniti come il fumo agli occhi

Contemporaneamente, la politica isolazionista del presidente Trump (“America first”) sta spingendo l’Italia (e la Gran Bretagna della brexit) a guardare ad altri mercati. Gli Stati Uniti, infatti, non hanno voluto sottoscrivere con la UE nemmeno un trattato fortemente sbilanciato in loro favore (perché avrebbe consentito la penetrazione in Europa dei prodotti transgenici USA, ora vietati ) come il TTIP. Ciò non toglie che hanno fatto capire di vedere l’accordo italo-cinese come il fumo agli occhi.

La realizzazione della nuova via della seta, infatti, rappresenterebbe uno scacco per l’egemonia politico-economica degli Stati Uniti nel mondo occidentale. Così Garrett Marquis uno dei consiglieri del presidente Trump, ha espresso le preoccupazioni degli Stati Uniti al governo italiano, non lasciando insensibili alcuni esponenti della Lega. Il premier Conte, invece, ha gettato ancora una volta acqua sul fuoco, assicurando agli alleati NATO che l’accordo non muta la collocazione euro atlantica dell’Italia. Ma questo lo si sapeva.

Fonte foto: Informa Trieste

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