Nel PD è arrivato il tempo di fare chiarezza

La sinistra in Europa è in profonda crisi di identità. In Francia, dopo la presidenza sbiadita di Francois Hollande e l’arrivo di Emmanuel Macron, è praticamente scomparsa. In Spagna il PSOE, partito socialista operaio, con il ritorno di Pedro Sánchez ha recuperato consensi, ma non al punto da mettere in pericolo, per il momento almeno, la supremazia  del centrodestra. Il governo in carica, guidato da Mariano Rajoy, dopo la non brillante fase iniziale  del contrasto alla questione separatista catalana, sembra aver guadagnato consensi anche a Barcellona. In Germania a capo della SPD, partito socialdemocratico, è stata recentemente nominata una donna, Andrea Nahles, prima volta nella storia del partito.

La Nahles ha preso il posto di Martin Schulz il cui comportamento durante le negoziazioni per la formazione del governo insieme ai cristiano-democratici della Merkel era stato opaco e altalenante. In Gran Bretagna i problemi della Teresa May, dovuti alla politica di austerità e alla poco convincente gestione delle trattative Brexit, non sono bastati a far riemergere, a livello locale, i laburisti guidati da Jeremy Corbyn. Nel resto dell’Europa la sinistra è praticamente assente.

Il vuoto è stato occupato saldamente da governi populisti e nazionalisti, persino anti-europeisti, il che non mancherà di farsi sentire in occasione delle prossime elezioni europee. Anche l’Italia rischia di dare un contributo in tal senso. Per il momento, lo stallo della politica è totale e ad esso non è mancato il contributo del Partito Democratico.

La possibilità di un accordo tra M5S e PD è tramontata prima di poterne verificare la fattibilità. Il responsabile del fallimento ha un nome e cognome: Matteo Renzi. Domenica 29 aprile, durante la trasmissione “Che tempo che fa”, Renzi ha escluso ogni possibilità di accordo con i pentastellati. A che titolo lo abbia fatto, visto che si è dimesso da segretario del partito non è dato capire. Così facendo Renzi ha scavalcato Maurizio Martina, segretario reggente del PD a seguito delle sue dimissioni. Martina aveva invece dato segnali di apertura in merito alla possibilità di iniziare una trattativa con i pentastellati.
L’intervento di Renzi ha scatenato molte critiche sia all’esterno che all’interno del partito. Ma non solo Renzi ha sbagliato. Prima e più di lui hanno sbagliato la Rai e Fabio Fazio in qualità di conduttore della trasmissione. Se la Rai fa servizio pubblico, dovrebbe fare attenzione a non interferire con la politica, almeno quella istituzionale, almeno in fasi delicate come quella attuale. Il neopresidente della Camera Roberto Fico aveva parlato di un “esito positivo” dell’incontro col PD e con Martina.
E Martina aveva già fissato per il 3 maggio una riunione del direttivo in cui trattare la questione se e come iniziare a parlare con i 5 stelle. La Rai avrebbe dovuto rispettare il calendario politico deciso dal presidente della Camera in forza del mandato ricevuto dal Capo dello Stato ed è strano che nessuno abbia opportunamente rimarcato il comportamento scorretto della televisione pubblica.

Sarebbe stato interessante vedere se e come sarebbe stata impostata la trattativa tra M5S e PD, se essa avesse attinto all’esperienza tedesca, lunga e laboriosa, passata al vaglio di ben due verifiche interne, quella dei 600 delegati di partito (21 gennaio a Colonia) e quella della votazione del quasi mezzo milione di iscritti (il cui risultato è stato reso noto il 4 marzo).
Con il suo show televisivo Renzi, da ex-segretario, ha fatto in mezz’ora il contrario di quello che in Germania un intero partito, la SPD, ha fatto in due mesi di intenso dibattito. E solo dopo aver ricevuto il mandato della base, i leader della SPD hanno potuto discutere – e lo hanno fatto per tre settimane, quello sì che è stato un conclave – con l’Unione CDU-CSU scrivendo il contratto di governo. 200 pagine di linee guida dal titolo: una nuova partenza per l’Europa. Poteva essere un esempio per l’Italia? Il PD non accettando la sfida di mettere in piedi un dialogo con i pentastellati non ha forse tradito le istanze di tanti suoi ex-elettori confluiti nel M5S?

Dario Franceschini, ministro dei beni culturali ancora in carica nella sua pagina Facebook ha affermato: “E’ arrivato nel PD il tempo di fare chiarezza. Dalle sue dimissioni Renzi si è trasformato in un Signornò, disertando ogni discussione collegiale e smontando quello che il suo partito stava cercando di costruire. Un vero leader rispetta una comunità anche quando non la guida più”. Condividiamo queste parole.
Una verifica interna al PD è quantomai necessaria. Solo cinque anni fa, alle europee, aveva ottenuto il 40% dei consensi. Ed è abbastanza singolare che il PD sia uscito perdente dalle urne nonostante nella passata legislatura abbia avviato una stagione di importanti riforme, molte delle quali realizzate. Peraltro il PD con Renzi in qualità di capo del governo avrebbe voluto attuare, non dimentichiamolo, anche la riforma costituzionale per l’abolizione del Senato e del sistema bicamerale. Se oggi non abbiamo un efficiente assetto istituzionale, compresa la legge elettorale che tale assetto dovrebbe produrre, lo dobbiamo anche a quella mancata riforma.

Torniamo al presente. Col suo intervento Renzi ha di fatto riconsegnato a Mattarella la palla. Di Maio, evidentemente non più interessato ad un accordo col PD, ha chiesto al Capo dello Stato di indire nuove elezioni entro luglio. Salvini invece si è detto pronto a sondare nuovamente il terreno per un accordo con il M5S. E non è improbabile che, per sciogliere il nodo della premiership, rinunci alla carica proponendo al suo posto il nome di Giancarlo Giorgetti, suo braccio destro e numero due della Lega.
Lunedì 7 maggio Sergio Mattarella inizierà un nuovo giro di consultazioni, il terzo. Sarà un  estremo tentativo di dare un governo al paese, un governo, cosiddetto “di scopo”, che si dedichi ad alcuni selezionati compiti prioritari, compreso quello di approvare una nuova legge elettorale che garantisca la governabilità del paese. E’ quello che alcuni chiamano governo del Presidente, altri chiamano governo di tregua. Non è improbabile che alla guida di tale governo di transizione vedremo Paolo Gentiloni, persona apprezzata in Europa, dotata di buon senso e di grandi qualità di mediazione. Ciò non eviterà che la neonata XVIII legislatura abbia vita corta.

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