Morte chiama morte? Il caso Di Lello

fabio_di_lelloVoglio dimenticarmi d’essere un avvocato penalista; voglio ripararmi dietro i pensieri dell’uomo comune che legge questa notizia: Fabio Di Lello, marito felice, perde la moglie ed il figlio che la donna portava in grembo, in un incidente stradale causato dal ventiduenne Italo D’Elisa, il quale aveva attraversato un incrocio nonostante il semaforo rosso, travolgendo lo scooter su cui viaggiava la donna; sette mesi dopo, il lutto di Di Lello esplode nella violenza al punto da uccidere D’Elisa con quattro colpi di pistola.

Ho sentito e letto di tutto: vendetta giustificata; assassinio incomprensibile.

Difficile discernere i tumultuosi sentimenti e risentimenti che si agitano dietro una simile vicenda; di sicuro è difficile, molto difficile, riuscire a capire il dolore: ognuno lo vive in modo diverso. Si può persino impazzire.

A voler dare un voto, la prima insufficienza, in questa storia, la attribuirei al nostro sistema giudiziario, spalmato su tempi biblici di giudizio e sulla più totale incertezza della pena. Gli addetti ai lavori sanno quanto ci vuole ad istruire il processo, sanno cosa aspettarsi, sanno che la legge applicata presenta uno iato forte rispetto a quella scritta e che le pene, tendenzialmente, si aggirano intorno ai minimi edittali. Ma l’uomo comune, che non conosce l’iter procedurale? Cosa pensa nel vedere libero e sorridente colui che gli ha tolto l’amore della vita? Questo non significa che io giustifichi quel gesto estremo, sia inteso. E’ che penso sia troppo facile puntare il dito contro un uomo che la disperazione ha trasformato in “mostro”. Premendo quel grilletto ha messo la parola fine alla sua stessa vita, ormai affidata alla reclusione, al pentimento, al rimorso, al dolore, oltre che alla vita di quel ragazzo. E’ un dramma nel dramma. Non dimentichiamolo.

La seconda insufficienza, invece, la darei alla dilagante inciviltà, alla ineducazione civica, che rendono l’automobile una pistola carica. E’ davvero solo distrazione passare col rosso? Nel mondo del diritto si parla di dolo eventuale, che implica un’intenzionalità, seppur affievolita: adotto un certo comportamento sapendo di poter nuocere a qualcuno e non mi fermo.

In un’intervista, la madre di Di Lello ha detto che la nuora non aveva un osso sano, che era stata travolta in accelerazione e non perché D’Elisa fosse ubriaco o drogato, ma semplicemente perché aveva fretta.

E, qui, torniamo al primo colpevole, il sistema giudiziario. Sono certa, infatti, che, se D’Elisa avesse affrontato il processo, avrebbe avuto, nel peggiore dei casi, una condanna per omicidio colposo a non più di un anno, condanna che la sospensione condizionale della pena avrebbe rese ineseguibile.

Togliere dal mondo un essere umano, per vendetta o per disperazione che sia, non può essere un’espressione di civiltà, ma nemmeno un sistema giudiziario che si rifiuta di punire può esserlo.

Da cittadina, e non da avvocato, mi sento vulnerabile in assenza di uno Stato e di una Magistratura che sappiano porre un freno all’indifferenza per la vita altrui, all’accettazione del rischio di uccidere che, ogni giorno, fa notizia, triste notizia, sulle strade italiane.

di Raffaella Bonsignori

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