‘Merica, ‘Merica. Sguardi italiani in Brasile

Dalla Italia noi siamo partiti / Siamo partiti col nostro onore / Trentasei giorni in macchina e vapore / e nella Merica noi siamo arriva.

“Merica, Merica”, di Angelo Giusti, è una delle più importanti canzoni dei migranti veneti che andavano a cercar fortuna in Brasile; dal 2005 è inno ufficiale della colonizzazione italiana nel Rio Grande do Sul, stato dell’estrema parte meridionale della nazione.

“Fazer a America”

Nel sud del Brasile, le origini dell’agricoltura familiare hanno radici europee.

Durante il XIX secolo, il governo imperiale incentivò l’immigrazione degli europei, poiché interessato a colonizzare le regioni disabitate nel sud. Le terre donate o vendute agli immigrati erano considerate deserte, nei fatti si trattava di terre abitate da indigeni Kaingang.

Il Brasile, che allora abbisognava di mano d’opera, in particolare per la raccolta nelle piantagioni di caffè, offriva terra a un prezzo buono e conveniente. L’offerta brasiliana incontrava, dall’altra parte dell’oceano, una realtà italiana in parte distrutta dalla crisi agricola che aveva colpito il territorio nel 1880. La crisi, infatti, che rendeva la produzione dei piccoli agricoltori poco competitiva rispetto a quella di altri paesi, costrinse molte famiglie italiane sul lastrico; le loro terre furono confiscate. La  diffusione di malattie, la mancanza di un apparato statale e di una struttura sociale adeguata lasciarono migliaia di famiglie senza la speranza di una vita migliore. Per molti italiani il “Nuovo Mondo” passò ad essere l’alternativa più gettonata. A migliaia partirono alla volta delle “giovani nazioni”, nel tentativo di “fazer a America” – “fare l’America” – sperando, un giorno, di fare ritorno in terra natia.

Lo sbiancamento della razza

Fazer a America” sarebbe un’espressione dalla duplice valenza. Essa indicava, da un lato, il desiderio per i migranti italiani di ricostruirsi una vita in un luogo lontano e sconosciuto; dall’altro, essa rappresentava la sintesi pertinente di un progetto in linea con il pensiero dell’epoca, dove gli ideali della “civilizzazione” incontravano il modo di essere degli immigrati bianchi, europei, considerati potenziali portatori del progresso.

I modelli di colonizzazione che il governo brasiliano privilegiò nel meridione avevano pertanto obiettivi sociali ed economici: popolare anzitutto le vaste zone vergini – per meglio dire scarsamente abitate – di individui di razza bianca, provenienti dal nord Europa, allo scopo di bilanciare la presenza di indigeni e afroamericani già presenti nell’area; altro obiettivo era la costituzione di uno strato sociale intermedio a base rurale e di piccoli proprietari terrieri e la formazione di una classe proletaria pronta a lavorare nelle nascenti fabbriche e nelle grandi proprietà (fazendas).

Lo “sbiancamento della razza” è la manifestazione di una politica razziale che mira a far scomparire la popolazone nera dal territorio brasiliano, significativamente interessato dalla presenza di afroamericani che lavoreranno come schiavi nelle piantagioni e nelle colonie fino al 1888 (anno dell’abolizione della schiavitù). La politica d’immigrazione prende piede alla fine del XIX secolo e si conclude, almeno formalmente, nel 1930. Nota anche come teoria del branqueamento, essa rappresenta l’applicazione diretta di una tesi ottimista secondo la quale, grazie ad una valorizzazione del meticciato, la componente nera della popolazione si sarebbe potuta estinguere nell’arco di un secolo.

Città italiane in Brasile

I primi ad arrivare furono i tedeschi, nel 1824: fondarono dapprima basi commerciali, per poi occupare la pianura dello stato e sviluppare l’agricoltura. Gli italiani vi giunsero nel 1875, successivamente alla guerra paraguaiana, ricordata come il più sanguinoso confitto della storia dell’America Latina.

Quasi la metà degli italiani che raggiunsero il Brasile – più di un milione e mezzo –  arrivò  tra il 1886 e il 1914 e si stanziò principalmente tra le regioni di Espirito Santo, São Paulo e il Sud del Brasile. I passaporti si moltiplicarono e con essi i numeri della mano d’opera bianca, soprattutto contadini, artigiani e piccoli commercianti. Le terre di cui gli italiani divennero proprietari, nel Rio Grande do Sul, erano terre rimanenti – inoccupate dagli altri popoli europei – e si trattava spesso di terreni meno fertili rispetto ai primi. Inizialmente chiamata come Campo dos Bugres, la prima terra occupata dagli italiani fu battezzata Caxias do Sul, nel 1877; i migranti italiani provenivano in maggioranza da città del nord come Treviso, Padova, Tirolo, Mantova. A partire dal 1884, Caxias diede origine a tre nuove colonie: Sao Marcos, Nova Padua e Antonio Prado.

Lavoro, persistenza e saggezza: l’eredità che gli immigranti italiani lasciarono ai figli e nipoti brasiliani.

Fonte foto: ilgazzettino.it

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