Medio Oriente: Guerra infinita in continua evoluzione

guerramedioorienteAvevamo previsto che il conflitto di Gaza tra Hamas e Israele si sarebbe alla fine risolto con una sorta di tregua con la mediazione dell’Egitto.  

Non è chiaro se Israele sia uscito vincitore o sconfitto. La stessa cosa si può dire per Hamas che alla fine ha visto la sua leadership nelle zone diminuire fortemente anche se alla fine la sua presenza nelle zone di Gaza rimane.

L’immagine di Israele a livello mondiale ne esce ampiamente distrutta, accusato di aver bombardato indiscriminatamente le popolazioni civili provocando secondo la stampa internazionale migliaia di morti. Israele risponde a queste accuse affermando che le strutture di attacco, i famosi tunnel sotterranei costruiti da Hamas, sono dislocati nei quartieri abitati dalle popolazioni civili in modo tale da nascondere le entrate e farsi scudo dei civili.  

Se nelle precedenti battaglie contro Israele Hamas aveva trovato l’appoggio dell’Egitto e degli altri Stati del Golfo, cosa che secondo molti analisti questa volta non è successo.  

Egitto e le monarchie del Golfo Persico di Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, si sono stranamente trovati alleati con Israele in una comune opposizione all’Iran, una potenza regionale rivale, che ha sempre finanziato e supportato Hamas.  

Con la rinascita in Egitto del governo anti-islamista, sostenuto dai militari, il nuovo governo egiziano e alleati come l’Arabia Saudita, sembrano credere che “il popolo palestinese debba sopportare il dolore per sconfiggere Hamas, perché ad Hamas non può essere consentito di trionfare e nè di emergere come il più potente elettore palestinese” “Abbiamo una responsabilità storica nei confronti dei palestinesi, il che però non significa legare la nostra posizione ad ogni fazione specifica”, ha detto un alto diplomatico egiziano, parlando a condizione di anonimato a causa della delicatezza dei colloqui. “Hamas non è Gaza, e Gaza non è la Palestina.”   

Nel frattempo Obama a fine mandato presidenziale, ha deciso di supportare gli Sciiti dell’Iran contro il Califfato dell’ISIS nelle zone Irakene. I raid americani nel nord dell’Iraq sono per ora poco più di un’operazione psicologica. Rassicurano i curdi e dimostrano che la Casa Bianca è schierata al loro fianco contro l’avanzata dello Stato islamico ed è pronta a intervenire in caso di necessità.  

Per essere efficace una campagna aerea dovrebbe essere più dura e più ampia, non limitata all’Iraq. A giugno lo Stato islamico ha catturato l’equipaggiamento di tre divisioni irachene nell’area di Mosul e Tikrit. Circa 500 blindati Humvee, una cinquantina di pezzi d’artiglieria, un numero incerto di veicoli militari più leggeri. Inoltre ci sono i mezzi presi all’esercito siriano: durante il recente assalto alla base 93, vicino a Raqqa, ha preso almeno 20 carri armati T-55 e altri pezzi d’artiglieria. Neutralizzare questo arsenale richiede  ben altro tipo di intervento.  

Inoltre è ormai dimostrato che i raid aerei, sono sostanzialmente inefficaci se non ampiamente supportati da un intervento di terra.

Ma l’esperienza del conflitto in Iraq ha evidenziato come una guerra asimmetrica, ovvero da una parte un esercito regolare e dell’altra gruppi di combattenti che non sono facilmente distinguibili dal resto della popolazione, che si nascondono all’interno delle città, difficili da identificare, che colpiscono, all’interno delle stesse linee del nemico con armi di fortuna, soprattutto esplosive, o facilmente occultabili ma non meno letali, causerebbe una quantità di perdite umane non accettabile per i paesi occidentali.  

Inoltre la garanzia di una pacificazione non è assolutamente certa e quindi si ritornerebbe ad uno stato di guerra senza fine, considerando la presenza di milizie irregolari come quelle che compongono l’ISIS, unite principalmente da elementi religiosi. L’esperienza siriana ha dimostrato come alcuni di questi gruppi che avevano combattuto contro Assad in Siria abbiano poi cambiato fronte alleandosi con chi era un loro nemico.  

Un elemento fondamentale che forse interessa maggiormente le economie mondiali è quello della produzione del petrolio. L’Iraq è uno dei maggiori produttori del petrolio mondiale, e la richiesta mondiale soprattutto dai paesi emergenti come India, Cina è in continuo aumento.

Se si considera che la produzione petrolifera dell’Iraq è dominata da due soli campi petroliferi super-giganti. C’è il campo Rumaila che ha prodotto oltre 14 miliardi di barili dal 1950 nel sud sciita e il campo di Kirkuk, che ha prodotto una quantità simile dal 1920 nella regione curda del nord. Un terzo campo super-giant chiamato The West Qurna si trova anch’esso nel sud sciita e con 44 miliardi di barili di petrolio è il secondo più grande giacimento di petrolio del mondo, e le sue risorse sono ulteriormente sfruttabili.  

Questi dati possono chiarire ulteriormente la gravità del problema nell’area Irachena. Gli Sciiti sono legati all’Iran, i Sunniti sono la minoranza che dopo la caduta di Saddam hanno perso gran parte del potere e quindi grazie alla milizie dell’ISIS tentano di riconquistarlo.  

In questo gioco di specchi si muovono gli altri paesi, le Monarchie del Golfo, la Turchia, il Kurdistan, la Russia, la Cina e con molta lentezza gli USA e l’Unione Europea.  

di Gianfranco Marullo

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