Mank, il dietro le quinte di un classico del cinema

Prodotto e uscito in streaming su Netflix dopo solo un mese di distribuzione nei cinema, l’ultimo film di David Fincher (SevenFight clubZodiacThe social NetworkIl curioso caso di Benjamin Button) esce a sei anni distanza da “L’amore bugiardo – Gone girl” e rappresenta per il regista americano la realizzazione di un progetto iniziato quasi trenta anni prima. Sviluppato infatti da una vecchia sceneggiatura degli anni ’90 del padre Jack, giornalista e appassionato di cinema, scomparso nel 2003, si racconta di come il giornalista e scrittore Herman J. Mankiewicz detto Mank (un Gary Oldman nuovamente da Oscar) abbia ideato e scritto in pochi mesi la sceneggiatura del capolavoro senza tempo di Orson Welles, Quarto potere.

Il film alterna momenti in tempo reale nel 1940 con Mank costretto a letto per un incidente stradale e intento a dettare alla segretaria la sceneggiatura di Quarto potere, e numerosi flashback con il passato del giovane Mank apprezzato scrittore, sceneggiatore, umorista e amico di molti personaggi importanti della Hollywood degli anni ’30: conosce autori, sceneggiatori, produttori (William Hearst, il magnate che in parte ispirò la figura del protagonista di Quarto potere), attori e attrici (come Marion Davis, la giovane amante di Hearst), politici e uomini di potere. Mank a poco più di 40 anni è già uno sceneggiatore affermato ma la sua tendenza all’autodistruzione lo trascina tra le spire dell’alcolismo in modo inesorabile. In una delle migliori sequenze del film, Mank, invitato al lussuoso pranzo da Hearst, completamente ubriaco, come un novello don Chisciotte, cita il protagonista di Cervantes in un monologo che ha il suo climax finale in una lunga vomitata davanti agli sbigottiti ospiti.

Il perfetto bianco nero della fotografia ci riporta agli anni ’30 anche grazie alla cura maniacale di costumi, suoni, inquadrature, movimenti di macchina tipici di quell’epoca. Fincher non vuole raccontarci la storia di Mankiewicz, ma, attraverso frammenti di un periodo della sua vita, in 130 minuti riesce a ricreare un pezzo di storia del cinema e della cultura americana, tenendo al centro di interesse il film americano per antonomasia, quel Citizen Kane che nel 1941 cambiò radicalmente il modo di concepire il cinema e fu preso a modello tecnico per tutti i decenni a seguire. Gli appassionati di cinema potranno godersi tutte le citazioni sparse di Quarto potere, perfino alcuni effetti registici volutamente copiati per farci sentire come in un film dentro al film. 

Tutto il cinema di Fincher si ispira in qualche maniera a Welles, così come senza Welles non esisterebbe la maggior parte dei registi d’autore moderni americani, da Coppola a Spielberg, da Kubrick a Scorsese, da Cimino a Mallick. Allo stesso tempo, Fincher toglie un po’ di solennità a Welles e lo tratteggia con carattere più umano, mettendone in risalto anche gli aspetti più presuntuosi. A 25 anni è già una star della radio e del cinema, ha libertà creativa sui suoi lavori e una gran sicurezza di sé e del proprio talento. Sostenendo la teoria alla base del film, la sceneggiatura di Quarto potere sarebbe frutto del lavoro di ideazione e sviluppo unicamente di Mankiewicz, nonostante Welles abbia sempre sostenuto di aver in seguito limato e organizzato meglio il torrenziale script dello sceneggiatore.

Il film di Fincher non è solo una meraviglia visiva, un omaggio di un cinefilo al padre che lo sceneggiò e alla settima arte, ma rappresenta soprattutto un documento metacinematografico su un’epoca considerata d’oro per la vivacità artistica dopo la crisi del ’29 e la fine del muto; è infine uno sguardo inusuale sull’interessante background di un’opera che è ormai considerata un classico di storia del cinema.

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