L’mprevisto nella favola boccacciana: Lisabetta da Messina e l’idillio dell’amore dolente

lisabetta

Dante Alighieri chiudeva la Divina Commedia con la frase celeberrima L’amor che move il sole e l’altre stelle. L’amore infatti, nelle sue infinite declinazioni, è il punto di partenza di ogni storia, sia reale che d’invenzione. Il concetto resta valido anche se restringiamo il campo all’amore romantico. Da sempre motore di sospiri e grandi gesta, più è difficile da realizzare più la vicenda a cui dà vita sarà tortuosa e appassionante, ricca di imprevisti e di sorprese. Tra i tantissimi autori che hanno parlato d’amore non poteva certamente mancare Giovanni Boccaccio. Nell’universo vario e multiforme del suo Decameron troviamo ben due giornate dedicate a questo sentimento: la quarta (amori a epilogo tragico) e la quinta (amori a lieto fine). 

Le convenzioni del mondo borghese-mercantile

Un amore particolarmente difficile e doloroso è quello di Lisabetta da Messina, protagonista della quinta novella della IV giornata. La storia viene narrata da Filomena, che la introduce dicendo: «La mia novella, graziose donne, non sarà di genti di sì alta condizione, come costoro furono de’ quali Elissa ha raccontato, ma ella per avventura non sarà men pietosa: e a ricordarmi di quella mi tira Messina poco innanzi ricordata, dove l’accidente avvenne». Accidente: caso fortuito, imprevisto. Una parola non usata a caso per indicare una storia di passione e di violenza che si consuma come un’anomalia nel freddo e razionale mondo mercantile.

I tre fratelli di Lisabetta incarnano perfettamente le caratteristiche negative della classe borghese: l’egoismo, la freddezza, la determinazione che li porta anche a usare mezzi scellerati pur di arrivare al fine sperato. È per questo che una volta scoperta la relazione  sconveniente tra la sorella Lisabetta e il giovane Lorenzo — collocato decisamente troppo in basso nella scala sociale rispetto alla donna — non si fanno scrupoli a mettervi la parola fine. Lo fanno nel modo più atroce, uccidendo il ragazzo. Sono uomini d’azione che utilizzano le loro forze per impedire la rottura delle convenzioni. L’esatto contrario della sorella.

Lisabetta, la passione, l’evasione

Lisabetta è una donna remissiva, «costumata», che parla poco e si esprime per lo più attraverso lunghi silenzi. Intrecciando una relazione con Lorenzo compie un atto proibito, ma senza alcun intento ribelle. È l’amore il grande imprevisto che la spinge a evadere dalla campana di vetro in cui i fratelli la tengono prigioniera. Un sentimento eccezionale nella realtà borghese e feudale del racconto. Riflessiva molto più che attiva, Lisabetta è l’unico personaggio della novella di cui Boccaccio approfondisce la psicologia. Troppo debole per affrontare i fratelli a viso aperto, agisce nell’ombra e nel silenzio. Da sola ritrova il cadavere di Lorenzo. Affronta il dolore della perdita dell’amato trasferendolo sulla sua testa mozzata (unica parte che riesce a conservare del suo cadavere). Quando anche questa le verrà tolta sceglierà di ricorrere all’evasione estrema: la morte. 

«[A casa] con la sua testa nella camera richiusasi, sopra essa lungamente e amaramente pianse, tanto che tutta con le sue lagrime la lavò, mille basci dandole in ogni parte. Poi prese un grande e un bel testo […] e dentro la vi mise fasciata in un bel drappo; e poi messovi su la terra, su vi piantò parecchi piedi di bellissimo bassilico salernetano, e quegli di niuna altra acqua che o rosata o di fior d’aranci, o delle sue lagrime non innaffiava giammai». Questo passaggio, insieme al momento della decapitazione del corpo di Lorenzo, è uno dei più macabri della novella, ma anche uno dei più esplicativi di quanto profondo e ossessivo sia l’amore di Lisabetta. 

Il macabro, la favola, l’amore

La decapitazione non serve a mutilare, ma in qualche modo a riparare il gesto violento dei fratelli. La conservazione della testa invece è un atto sacrale. Per la donna il capo di Lorenzo è una reliquia, che custodita e curata con amore dà vita a basilico «bellissimo e odorifero molto». Ma la cosa più sorprendente è che Boccaccio narra tutto questo come se fosse una favola. Colloca la vicenda in un’atmosfera irreale, che mescola note dolenti a particolari surreali. Si pensi al sogno di Lisabetta in cui Lorenzo le confessa di essere stato ucciso e le indica il luogo in cui si trova il suo cadavere. La presenza del favoloso controbilancia le tinte fosche della trama e dà vita a una sorta di idillio celebrativo di un grande amore. 

La grande passione amorosa di Lisabetta è l’unica vera protagonista della storia e il macabro è solo un mezzo che le consente di manifestarsi in tutta la sua potenza. Una potenza quasi mitologica. Come dice Luigi Russo nel suo saggio Lisabetta da Messina : «Il Boccaccio ci ha trasferito in un mondo irreale, in una fiaba amorosa, in un idillio fuori dalla storia, in cui il poeta vuole solo celebrare la tenerezza, la fedeltà, la dolcezza di un amore che non ha termine. Lisabetta non è più una donna terrena, è solo una mitologica ninfa innamorata, battuta e dolente». Una ninfa con un mondo interiore molto troppo grande per restare confinato alla piccola e gretta realtà mercantile. Capace di un amore che sopravvive anche all’oggetto a cui si rivolge il sentimento. Di una passione che persiste in un «vagheggiamento della mente, una innocente demenza, un patetico e sommesso gemito e canto».

Foto di Susan Cipriano da Pixabay

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.