L’importanza della conoscenza e l’esempio di Fontamara

fontamara

Fontamara di Ignazio Silone è un romanzo che tratta di ingiustizie e di critica politico-sociale, ma soprattutto costituisce un esempio di quanto sia importante la conoscenza anche nella vita dell’uomo più umile. Protagonista della vicenda è il popolo contadino di Fontamara, caratterizzato dalla presenza dei cosiddetti cafoni (che in questo caso non è un’offesa, ma è da intendersi nell’accezione positiva di contadino umile e ingenuo). I cafoni sono condannati oltre che alla povertà, all’ignoranza, la quale non è una colpa ma  — come dice Silone — un «triste destino» su cui i potenti possono giocare per intessere le loro trame.

Siamo in epoca fascista e Fontamara è tutti i piccoli paesi dell’Italia meridionale e nessuno in particolare. Silone lo situa in Marsica, la sua terra natale, e lo utilizza per descrivere il classico circolo vizioso formato da ingiustizia, povertà e arretratezza culturale che porta all’assoggettamento. «Fontamara somiglia  […] per molti lati, a ogni villaggio meridionale il quale sia un po’ fuori mano, tra il piano e la montagna, fuori delle vie del traffico, quindi un po’ più arretrato e misero e abbandonato degli altri. Ma Fontamara ha pure aspetti particolari. Allo stesso modo, i contadini poveri, gli uomini che fanno fruttificare la terra e soffrono la fame, i fellahin i coolies i peones i mugic i cafoni, si somigliano in tutti i paesi del mondo; sono, sulla faccia della terra, nazione a sé razza a sé, chiesa a sé; eppure non si sono ancora visti due poveri in tutto identici».

La miseria come eredità

La miseria per i contadini fontamaresi è una vera e propria eredità. Si trasmette di padre in figlio come un mestiere e non trova nessun riscatto nel lavoro onesto. Anzi, nel tempo la gente di Fontamara si è così assuefatta alla miseria da percepire l’ingiustizia che ne deriva come naturale. Naturale come la pioggia, il vento e la neve, o come il ruotare delle stagioni e l’alternarsi delle fasi di semina, insolfatura, mietitura e vendemmia che scandiscono il lavoro della terra.

«La vita degli uomini, delle bestie e della terra sembrava così racchiusa in un cerchio immobile saldato dalla chiusa morsa delle montagne e dalle vicende del tempo. Saldato in un cerchio naturale, immutabile, come una specie di ergastolo». Ma siccome esiste una legge di natura per cui tutto è destinato a finire, anche la ciclicità della vita fontamarese è destinata a interrompersi. Ed è qui che entra in gioco l’importanza della conoscenza. 

L’imprevisto veste i panni della Legge

L’imprevisto si presenta la sera del 1 giugno di un anno imprecisato tra la fine degli anni ’20 e l’inizio dei ’30. Entra nella cantina di Marietta sotto forma di uomo di città chiamato Cavalier Pelino. Il forestiero si riunisce con un gruppo di contadini da poco rientrati dai campi, ma fatica a farsi capire. Parla in italiano, la lingua della cultura e della legge, mentre i fontamaresi parlano solo in dialetto e non sanno quasi niente di come gira il mondo fuori da Fontamara.

Tutto ciò che sta fuori dal paese non li riguarda se non in termini di tasse, perché queste vanno a intaccare direttamente la loro vita e acuiscono ulteriormente la loro miseria. Così al momento in cui comprendono che il Cav. Pelino sta chiedendo loro solo di aderire a una petizione, declinano il proprio nome e quello di tutti i compaesani. Inconsapevolmente firmano la loro condanna. In realtà la petizione non è altro che un inganno volto a strappare il libero consenso dei fontamaresi per la deviazione del ruscello che irriga i campi e gli orti alle pendici della montagna di Fontamara.

Conoscenza come arma di difesa

L’inganno è stato ordito per volontà del podestà che oltre a essere stato mandato da Roma per sostituire il sindaco è anche il nuovo proprietario del podere verso cui è stato reindirizzato il corso d’acqua. Davanti a quest’ingiustizia i fontamaresi reagiscono. Ma inizialmente si muovono come un gregge di pecore senza padrone, qua e là senza sapere davvero cosa fare e senza capire fino in fondo l’entità dell’ingiustizia che li ha colti e stravolti. Progressivamente i cafoni perderanno tutto. Subiranno saccheggi e ritrosioni, e molti di loro verranno imprigionati e uccisi dalle milizie fasciste. E anche se da tutte queste ingiustizie trarranno a una maturazione politica, sarà comunque troppo tardi. I «fatti strani di quell’estate» travolgeranno Fontamara come una valanga, e pochi saranno i superstiti.

Finiranno per essere dei vinti, come i personaggi di Verga, travolti da un progresso che li ha raggiunti loro malgrado per poi rivelarsi regressione. Tutta colpa del tempo che è insidioso, della spinta al cambiamento che è inarrestabile e prima o poi penetra anche negli angoli di mondo più nascosti, nelle intercapedini delle mura più solide, rompendo equilibri secolari. L’unico strumento per non restare intrappolati sotto le macerie di un mondo tramontato è la conoscenza. Perché si sa, senza conoscenza non c’è possibilità di scelta e senza scelte non c’è libertà. 

Foto di David Mark da Pixabay

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