Leviathan: spaccato impietoso della società russa contemporanea

leviathan-005È da poco uscito in Italia Leviathan, vincitore del Golden Globe 2015 come miglior film straniero, del regista russo Andrey Zvyagintsev, già premiato a Venezia col Leone d’oro nel 2003 per Il ritorno.

Il protagonista Kolia vive in un paesino rurale nel nord ovest della Russia, sul Mare di Barents, con la giovane seconda moglie (è vedovo) e col figlio adolescente Roma. Possiede un’officina e di lavoro fa il meccanico, è contento della sua vita semplice e del posto in cui vive, ma ancora non ha fatto i conti col sindaco del posto, che vuole il terreno dove si trova la sua casa. Kolia, che non ha intenzione di farsi indennizzare per trasferirsi altrove – quello è il paese della sua famiglia, degli affetti e della memoria – intraprende una guerra legale aiutato dall’amico avvocato Dimitri, nel tentativo di fermare questo abuso, che porterà al contrattacco spietato del sindaco.

Il titolo fa riferimento non solo al terribile mostro marino biblico, citato nel libro di Giobbe, ma anche più metaforicamente al trattato politico del ‘600 di Hobbes, in cui l’intero corpo del mostruoso Leviatano è lo Stato, mentre le singole membra che lo compongono sono i cittadini-sudditi. Il Leviatano diventa quindi il mostro nato dal patto diabolico stretto tra lo stato e l’uomo, che, per evitare la guerra civile, si priva di parte della sua libertà personale, trasformandosi in pratica nel suo schiavo. In questa chiave si può comprendere al meglio la valenza allegorica del film: storia di una lotta titanica e impossibile tra un piccolo uomo comune e un potere che lo sovrasta. È uno spaccato impietoso della società russa contemporanea, denuncia sconvolgente dello sviluppo e della deriva post-comunista. L’arroganza del potere non riguarda solo le grandi città, le metropoli come Mosca, ma si infiltra anche nei paesini più sperduti e apparentemente più vivibili: potere temporale (il sindaco malfattore), esecutivo e giudiziario (polizia e giudici corrotti) e potere spirituale (chiesa ortodossa collusa, nella figura diabolica del Vescovo amico-confidente del sindaco).

Il clima desolato ma affascinante della remota località di mare contribuisce a creare un’atmosfera di racconto quotidiano, di spaccato di vita realistico, girato con i tempi e le pause che la fotografia naturalistica richiede per apprezzarne al meglio tutti gli aspetti nascosti.

Questo racconto lento è intervallato da accelerazioni improvvise, lampi di satira caustica sulla corruzione e le contraddizioni della Russia putiniana, che riescono a mescolare il dramma della storia di Kolia con l’ironia, alternando tragica sofferenza e sfortuna a situazioni da commedia nera.

Il protagonista – il bravo attore Aleksei Serebryakov (foto a destra) leviathan-20150312135745184331-360x0– è l’eroe tragico che lotta contro il destino, di dostoevskijana memoria: è una guerra impari che lascia solo un senso di impotenza e sfiducia nella società; questo malessere trova il suo sfogo nell’alcol (molti i riferimenti alla vodka come unica via d’uscita) con la conseguente disgregazione del nucleo familiare (la moglie che abbandonerà Kolia e quest’ultimo che verrà pure accusato di omicidio).

La bellezza del paesaggio conferisce al film un’epicità che stride con la semplice piccolezza dei suoi abitanti, lasciando indefinito il passaggio tra crime story, pamphlet politico, black comedy satirico-grottesca e tragedia di impegno civile. Persino nel bucolico quotidiano si possono trovare quegli elementi di vita tragica che annullano ogni possibilità di salvezza e mettono in dubbio l’esistenza di un Dio. I piccoli uomini sono incastrati nel meccanismo del sistema, lo Stato invece di tutelarli li divora come il leggendario Leviatano che inghiottisce tutto intorno a sé.

di Fabio Rossi

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.