Leonardo da Vinci: la misteriosa sepoltura in terra di Francia

Maniero di ClouxTutti sappiamo che Leonardo da Vinci morì in Francia, ospite di Francesco I nel maniero di Amboise, ma nessuno è in grado di sapere con certezza dove siano le sue spoglie mortali. Una fine misteriosa assolutamente perfetta per uno dei più grandi genî di tutti i tempi, che nel mistero ha spesso avvolto la sua stessa arte attraverso indizi e particolari, sui quali ancora oggi si costruiscono storie fantasiose ed affascinanti.

L’addio a Roma nemica

L’ultimo soggiorno romano di Leonardo non è tra i più favorevoli. Il suo carattere non lo rende simpatico; le sue opere continuano a sollevare ammirazione ed invidia di pari intensità; la sua passione per i fossili di Monte Mario suscita curiosità morbosa; i suoi studi di anatomia generano critiche; i suoi progetti ingegneristici, viepiù, fanno gola agli emissari di affaristi senza scrupoli, che, tuttavia, s’incagliano sistematicamente nelle sabbie mobili della crittografia leonardiana, nella quale solo il Maestro sa riordinar le idee. L’ostilità nei suoi confronti è in costante aumento: sicuramente quella della cerchia di artisti che ruotano attorno a Michelangelo; ma anche quella di un suo nemico di vecchia data, tal Pier Soderini, il quale, tornato nelle grazie dei Medici, ha abbandonato il proprio esilio. Ai nemici dichiarati, poi, si affiancano i falsi amici, come Giovanni degli Specchi, artiere tedesco, ed il suo compare Giorgio, interessati a carpire i segreti della macchina cui Leonardo sta lavorando, la c.d. centina. Chiacchiere e false accuse minano la sua figura, dunque; il suo riottoso silenzio, la sua chiusura caratteriale peggiorano le cose. Si dà largo credito ai suoi nemici ed i favori di cui aveva sino ad allora goduto prendono a scemare. Leone X gli nega la pratica della dissezione dei cadaveri in quel di Santo Spirito; le commissioni si fanno sempre più esigue; nel 1514, alla morte di Bramante, capo della fabbrica di S. Pietro, la sua candidatura non viene presa in considerazione alcuna e viene scelto Raffaello Sanzio, che, in architettura, è sicuramente meno preparato di Leonardo e di Michelangelo, l’altro candidato. Tali e tante pressioni lo inducono ad abbandonare Roma.

Nel 1515 Francesco I di Francia scende in Italia, annientando le difese degli Sforza. Il Papa decide di accoglierlo a Bologna, nella speranza di tessere accordi favorevoli. E’ presente anche Leonardo, che aveva seguito, da ingegnere militare, il suo amico Giuliano de’ Medici, figlio del Magnifico, nella campagna bellica appena conclusa. E’ qui che riceve un primo invito a stabilirsi in Francia. L’idea lo solletica, ma non abbandonerebbe mai Giuliano. Tuttavia, quando il suo amico, novello sposo di Filiberta di Savoia, viene stroncato dalla lunga malattia che lo aveva colpito già da tempo, Leonardo non ha più alcuna remora a partire; tanto più che, senza Giuliano, è venuta meno anche la protezione di cui godeva. Fiaccato dalla gotta, dunque, ed afflitto dall’isolamento cui Roma lo ha costretto, decide di accettare l’invito di Francesco I.

Parte per la Francia con al suo seguito il suo fido servitore Battista de Villanis ed i suoi allievi Francesco Melzi e Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì, il quale, però, si ferma in Lombardia, dove Leonardo stesso gli concede di edificare un suo terreno messo a vigne. E’ autunno. I viaggiatori passano dalla Lombardia al Piemonte e di qui alla Savoia. Il tratto alpino è già battuto da un’aria frizzante e le cime più alte sono imbiancate di neve. L’occhio leonardesco, esperto d’arte e di scienza, si bea di tanto spettacolo e vorrebbe tirar fuori tele e pennelli, ma il cammino è lungo e non può permettersi soste fuori programma.

Gli ultimi giorni dell’uomo e dell’artista

Leonardo da Vinci e l’uomo Vitruviano

Leonardo da Vinci e l’uomo Vitruviano

Il maniero di Cloux, nella parte meridionale di Amboise, dove Leonardo trascorrerà l’ultima parte della sua vita, è una dimora principesca affacciata sulla dolce campagna della Turenna. Guardare l’orizzonte dalla finestra significa possedere una parte incantevole di mondo e Leonardo non se la fa, certo, sfuggire, sebbene mai l’abbandoni la nostalgia della patria, della campagna altrettanto dolce, odorosa e brillante della sua Toscana, pur non altrettanto quieta.

Vive nell’agio. Dal Tesoro Reale percepisce una pensione di tutto rispetto, pari a settecento scudi all’anno. La dimora, dal passato glorioso, trasuda buon gusto, eleganza ed opulenza artistica; vi si trova, inoltre, una biblioteca meravigliosa. Leonardo si sente finalmente protetto e sereno. Non disdegna, peraltro, la venerazione che, per lui, prova il Sovrano, il quale si duole solo di non poter stare sempre al fianco del grande Artista per abbeverarsi alla sua inesauribile fonte di sapere. E non solo il Sovrano ambisce a stargli accanto. Molti illustri personaggi, passando da Amboise, si recano a fargli visita, partecipando alle feste ed alle parate che spesso egli organizza. E’ tanta l’ammirazione che suscita in nobili e plebei che molti adottano il suo stile, vestendo come lui e facendosi crescere capelli e barba. La sua vena narcisistica d’artista è paga.

La salute, però, rapidamente peggiora e gli anni sono con lui inclementi: ne ha sessantacinque, ma ne dimostra molti di più. Continua a dipingere e, soprattutto, a disegnare, sebbene una paralisi gli abbia colpito il braccio destro ed abbia bisogno del costante aiuto del suo allievo Melzi; inoltre si dedica a scrivere non pochi trattati. A questo periodo risalgono un Bacco, che certa critica ritiene di attribuzione incerta, ed un S. Giovanni, entrambi espressione dell’androgino neoplatonico proiettato nell’universo di misteri sempre cari all’Artista: una sorta di testamento artistico. Non l’unico testamento di quei suoi ultimi giorni. Anche sotto il profilo giuridico Leonardo sente di dover mettere ordine nella sua vita, una vita che gli sta sfuggendo.

Nella primavera del 1518 due eventi particolarmente lieti vengono festeggiati ad Amboise: il battesimo del Delfino ed il matrimonio di Lorenzo de’ Medici, nipote di papa Leone X. Festeggiamenti che si protraggono per giorni e che investono Leonardo di una gaiezza tale da allontanare, per un po’, i fantasmi della malattia, della vecchiezza e della morte, in compagnia della quale passa sempre più spesso i suoi giorni solitari.

Le ultime parole

Lapide di Leonardo

Lapide di Leonardo

Fine aprile 1519. Sabato Santo. Leonardo fa chiamare al suo capezzale il notaio Guglielmo Boreau per dettare testamento, alla presenza di Melzi e di sei testimoni ecclesiastici. Lascia quattrocento scudi ai suoi fratelli, dai quali, avendogli costoro negato l’eredità paterna, lo aveva diviso una lunga lite finita in tribunale; lascia metà del vigneto milanese al suo discepolo Salaì, che già lo stava occupando, e l’altra metà al suo servitore de Villanis. Aver diviso il vigneto tra i due è una punizione per Salaì, al quale sottrae metà di un proprietà che gli avrebbe lasciato intera se questi non si fosse distaccato da lui, scegliendo di non andare in Francia. Al Melzi va tutto il resto. Nulla è lasciato al caso. Dà precise disposizione anche su come si sarebbe dovuto svolgere il funerale e sul luogo di sepoltura, ossia la cappella reale della chiesa di S. Fiorentino ad Amboise. Fiorentino è un nome che deve evocargli ben più d’un pensiero religioso. Nato a Vinci, comune della città metropolitana di Firenze, Leonardo è stato ed è ancora, in quel momento, radicalmente fiorentino, mai dimentico della sua patria. Lascia, inoltre, i soldi per le candele e per le trenta messe basse e le tre alte che vuole siano celebrate in suo suffragio.

Viene, quindi, lasciato solo con frate Guglielmo Croisant, suo amico di vecchia data: vuole confessarsi e fare la comunione, ma insiste per ricevere il sacramento in ginocchio e devono, dunque, rientrare nella stanza il Melzi ed il de Villanis per aiutarlo. Si aggrappa alle loro braccia e si comunica, sciogliendo nelle lacrime la consapevolezza non tanto della morte vicina, che a quel punto sente amica, quanto dell’ormai lontana immagine dell’uomo forte ed energico che era stato.

Negli otto giorni successivi resta nel suo letto in un sonno continuo, interrotto solo da brevi deliri. Il Melzi, che lo veglia notte e giorno, non riferirà mai quelle sue ultime sporadiche parole, ormai sepolte nei secoli. Il 2 maggio, nella costernazione di chi lo circonda, sulla voce sommessa di frate Guglielmo, chiamato al suo capezzale per la preghiera degli agonizzanti, Leonardo, il grande Leonardo, esala l’anima. Dalla voce di Melzi, spezzata dal dolore, s’ode l’unico epitaffio tramandato ai posteri: “Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire”.

Per tre giorni i cittadini di Amboise possono visitare la salma, che, inizialmente, viene inumata nell’Orto di S. Fiorentino, non essendo ancora pronta la tomba nella cappella reale. Il 12 agosto la salma viene traslata nella tomba a lui dedicata. Una tomba degna del suo nome, si dice, ma di cui nessuno parla, che nessuno descrive; una tomba che nessuno si preoccupa di visitare, quasi un ingiusto oblio sia destinato a ricoprire non solo le spoglie ma il nome stesso del Maestro. Solo nel XVIII secolo, nello sforzo di ricomporre la sua opera, si cercherà quella tomba.

Risale al Settecento la scoperta del suo testamento, che offre certezza sul luogo della morte e della sepoltura, e, dunque, sul luogo dove cercare. La ricerca, però, è farraginosa: quel luogo non è più quel che era. Nel 1560, infatti, la chiesa di S. Fiorentino era stata devastata ed abbandonata. Lapidi rotte, salme trafugate, suppellettili rubate: la vendetta degli ugonotti dopo il fallito tentativo di sottrarre il Re alle influenze cattoliche dei Guisa. Poche le lapidi ancora inviolate e, tra queste, non figura quella di Leonardo. Ma di profanazioni, S. Fiorentino, ne avrà più d’una. Poco dopo le ricerche settecentesche, esplode la Rivoluzione Francese, che porta nuovi saccheggi, ai quali le stesse mura della chiesa non resistono. Ormai pericolante, viene fatta demolire nel 1808 da Roger Duclos, prefetto napoleonico. Le lastre di marmo delle lapidi vengono riutilizzate altrove ed il piombo delle bare fuso. Tra le macerie, seppellite alla buona, ci sono solo mucchi d’ossa e spigoli di marmo sfuggiti alle ruberie. Nessuno è in grado di verificare se, tra quelle ossa, vi siano quelle di Leonardo da Vinci.

La ricerca più accurata arriva nella seconda metà dell’Ottocento. Il poeta francese Arsène Houssaye chiede ed ottiene il permesso per cercare i resti di Leonardo. Dopo estenuanti classificazioni d’ossa, rinviene uno scheletro composto, dell’altezza di Leonardo, con il teschio appoggiato alla mano. L’animo poetico di Houssaye vede in questa posa il pensatore e si convince che quello sia lo scheletro di Leonardo. Lì accanto, inoltre, nota vasi colmi di incenso e mirra, cosa che presuppone una particolare solennità nell’inumazione, ed una moneta d’argento con l’effige di Francesco I senza barba, ossia come era ai tempi del soggiorno francese di Leonardo. Prove deboli, sinceramente. Nella cappella reale erano stati inumati principi e personaggi illustri. Il particolare corredo funerario di quello scheletro non può, dunque, essere considerato una rarità, in quel contesto. Forse, gli unici elementi veramente indizianti sono tre frammenti di lapide. Nel primo compaiono le lettere INC, nel secondo LEO e nel terzo EO DUS VINC. E’ ben possibile che si tratti della sua lapide, ma da qui a credere che sia suo lo scheletro rinvenuto poco distante, tra migliaia di ossa sparse e d’altri scheletri più o meno completi, ne corre.

Il mistero delle ossa di Leonardo, dunque, ancora oggi permane. Ad Amboise, nella cappella di S. Uberto, una tomba ha inizialmente accolto tutte le ossa ritrovate sotto la demolita S. Fiorentino, ivi comprese quelle, presunte, di Leonardo ed una lapide, nel ricordarle tutte, menzionava il grande Artista: “Sous cette pierre reposent des ossements recueillis dans les fouilles de l’ancienne chapelle royale d’Amboise, parmi lesquels on suppose que se trouve la depouille mortelle de Leonard da Vinci, ne en 1452, mort en 1519”. Successivamente si è voluto inumare lo scheletro a lui attribuito sotto una lapide a parte, che riportasse solo il suo nome. Tuttavia, la certezza che proprio quelle siano le sue spoglie non c’era allora e non c’è oggi. Dobbiamo accettare il fatto che, tra i tanti misteri che ammantano le opere e la vita di Leonardo, ve’è anche quello che riguarda la sua sepoltura: fino all’ultimo enigmatico come il sorriso della sua Gioconda.

di Raffaella Bonsignori

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