Leonard Peltier

leonard-peltier-to-be-released-from-prison-after-37-years-feature1In una giornata come questa, in cui in Italia si festeggia la nascita della Repubblica, dall’altro capo del mondo c’è un uomo che non festeggia affatto il suo paese, poiché esso, secondo quanto affermano i suoi sostenitori, lo relega in prigione ingiustamente.

Parliamo dell’attivista statunitense Leonard Peltier, uomo di origine chippewa, lakota e francese,che ha fatto della lotta per i diritti dei nativi americani un vessillo. Leonard è stato infatti, uno dei fondatori del movimento degli Indiani d’America, organizzazione nata per offrire sostegno sociale e legale ai discendenti delle antiche tribù e ben presto è diventata un’icona della loro lotta sociale.
L’uomo nel 1976, mentre indagava su una serie di delitti avvenuti tra gli indiani della riserva di Pine Ridge, nel South Dakota, fu ingiustamente accusato di omicidio e condannato all’ergastolo e da allora governi e associazioni di tutto il mondo chiedono la revisione del processo, che però non è ancora avvenuta.

 Ma ecco come si sono svolti i fatti.
Peltier, che oggi ha 70 anni , venne arrestato nel 1975 per l’omicidio degli agenti dell’Fbi Ronald A.Williams e Jack R.Coler, morti durante una sparatoria nella Riserva indiana di Pine Ridge.
Secondo le ricostruzioni, gli agenti cercavano un certo Jimmy Eagle, che si sarebbe nascosto all’interno della riserva, dopo aver rapinato due ranch locali ( su di lui pendeva pure l’accusa di tentato omicidio nei confronti di un poliziotto fuori servizio di Milwaukee).
Il fuggiasco fu visto all’interno di un furgone, dove si trovavano Peltier ed altri giovani armati. Gli agenti avvertirono da subito il loro comando di trovarsi nell’impossibilità di rispondere al fuoco, così l’FBI, il BIA e la polizia locale passarono buona parte del pomeriggio sulla Highway 18, in attesa di rinforzi, finchè alle 2:30 di pomeriggio, un fuciliere della BIA colpì uno dei tiratori, Joe Stuntz, uccidendolo, mentre gli altri scapparono. Alle 4:30 furono trovati i cadaveri di Williams, Coler e di Stuntz con addosso la giacca da federale di Coler.
Il 5 settembre, la pistola dell’agente Williams e i proiettili furono trovati in un auto vicina alla casa di un certo Darrelle Butler, che venne subito arrestato, mentre cinque giorni dopo, una station wagon esplose vicino a Wichita e un fucile d’assalto Ar-15 fu rinvenuto, insieme al fucile calibro 308 di Coler. Nel veicolo c’erano, Robert Robideau, Norman Charles, e Michael Anderson, ovvero i presunti complici di Peltier.
Ebbene, il giorno prima Peltier aveva acquistato una station wagon in Colorado e l’Fbi diramò subito la descrizione di tale veicolo nella speranza di poter acciuffare Peltier e complici. Poi in Oregon un agente fermò un veicolo sospetto e ordinò al pilota di uscire, ma questi, dopo un breve conflitto a fuoco riuscì a fuggire. Secondo l’Fbi, l’uomo era Peltier e le sue impronte digitali vennero trovate all’interno della vettura, così come la pistola di Coler. Peltier trovò rifugio in Canada, nell’abitazione di un amico dove fu successivamente catturato dal Royal Canadian Mounted police.
Durante il processo tenutosi alla corte distrettuale a Fargo, nel Nord Dakota, Peltier fu dichiarato colpevole degli omicidi degli agenti e la sentenza fu confermata nel 1977: la pena prevedeva due ergastoli, eppure state ravvisate irregolarità processuali che nessuno ha mai preso in debita considerazione.
Ecco in cosa consisterebbero tali irregolarità:

• L’ agente dell’FBI che testimoniò che gli agenti seguivano un pickup sulla scena del crimine, non dunque la station wagon di Peltier, fu accusato di aver cambiato la sua versione per descrivere un furgone bianco e rosso, un veicolo simile a quello che Peltier guidava.
• La giuria di Fargo, che condannò Peltier, era formata da bianchi, storicamente anti-indiani ed il processo fu presieduto da un giudice noto per il suo razzismo.
• Dopo cinque anni, gli esami balistici stabilirono che i colpi che uccisero i due agenti non provenivano dall’arma di Leonard, e molti dei testimoni che lo accusarono ritirarono le loro dichiarazioni, confessando di essere stati minacciati dall’FBI.

Ciò che è peggio è che in tutti questi anni Peltier è stato dimenticato dall’opinione pubblica, eppure ancora uno stuolo di fedeli sostenitori si ritrova ogni giovedì a Barcellona, davanti al consolato Usa per chiedere la liberazione del prigioniero politico, che da oltre 14.000 giorni e notti vive rinchiuso nel carcere di Coleman in Florida. Negli altri Paesi invece, a parte qualche sprazzo di memoria, il silenzio è diventata regola aurea.

A seguire, il discorso di Bill Means, Lakota, che ha operato attivamente in seno all’American Indian Movement per decenni con suo fratello, Russell Means.
Durante il suo intervento, Means ha perorato la causa per la liberazione di Leonard Peltier, che è stato imprigionato 38 anni sotto l’accusa di aver ucciso due agenti dell’FBI a Oglala. Peltier è considerato un prigioniero di Guerra politico da molti Aborigeni americani dappertutto negli Stati Uniti ed in altri paesi del mondo. Lungo il corso degli anni, fra i sostenitori di Peltier si sono aggiunti il Dalai Lama, Madre Teresa ed il Vescovo Desmond Tutu, fra altri nomi di spicco.

Questo è il testo del suo intervento:
Grazie Signora Presidentessa.
Signora Presidentessa, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni soffre molto a causa dell’effettiva attuazione degli Stati. Lo stesso Forum Permanente sui problemi indigeni, come il Meccanismo Esperto sui Diritti degli Aborigeni, il Rapporteur Speciale, tutti ricevono quasi quotidianamente dei rapporti sulla mancanza di rispetto e applicazione dei nostri ormai riconosciuti diritti.
Questi rapporti sono invariabilmente accompagnati da rapporti sulla persecuzione dei difensori indigeni dei nostri diritti umani. Per l’applicazione effettiva della Dichiarazione, noi dobbiamo proteggere la nostra gente che promuove la tutela dei nostri diritti molte volte di fronte alla persecuzione di stato.
Molti fra i nostri difensori sono uccisi o imprigionati per decenni. Le loro famiglie sono anch’esse vittime di persecuzioni. Noi solleviamo il caso di Leonard Peltier, pietra angolare della nostra unità quali nazioni, culture e popoli, nel cui caso è stato violato il rispetto del principio di diritto. Senza la nostra insistenza sull’obbedienza al principio di diritto, questa istituzione e virtualmente tutte le sue convenzioni e decisioni sono profondamente minacciate.

I Popoli indigeni ovunque al mondo riconoscono che i diritti umani di Leonard Peltier, un fiero uomo Dakota Ojibway, sono stati violati in un modo che ha defraudato ed insultato il procedimento giudiziario, una violazione fondamentale del diritto internazionale.
I popoli indigeni del mondo intero sanno che Leonard Peltier è stato perseguitato e privato della sua libertà sulle basi dell’arma più letale che una nazione possa utilizzare minacciando la pietra angolare dei nostri rapporti equi come popoli sovrani – la presentazione intenzionale di false prove in un tribunale di giustizia.
I tribunali degli Stati Uniti hanno rifiutato di correggere questa ingiustizia, ma l’eredità di mani impure è ancora inquietante. Infatti, il Giudice del circuito maggiore degli Stati Uniti Gerald W. Heaney rifiutò di permettere a Leonard Peltier un nuovo processo di fronte alle molteplici ingiustizie, includendo l’estradizione con frode. Però, durante dieci anni prima della sua morte, il giudice Heaney supplicò pubblicamente le autorità federali di rilasciare Leonard Peltier, tenendo conto delle violazioni dei diritti umani al riguardo della sua incarcerazione, che sono ben documentate negli archivi pubblici.
Ci sono molti Leonard Peltier nel mondo di oggi. Ci sono molti Leonard Peltier in divenire. Chiediamo che il Forum Permanente delle Nazioni Unite sui Problemi Indigeni riaffermi i Diritti dei popoli indigeni, che capisca il bisogno, negli interessi dell’autorità della legge, dell’applicazione della Dichiarazione. Chiediamo che il Forum Permanente faccia uno studio sui difensori dei diritti umani indigeni che sono stati uccisi o che languiscono nelle prigioni, affinché il mondo capisca l’enormità del problema e affinché gli impedimenti reali all’applicazione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti degli indigeni siano interamente compresi.

di Simona Mazza

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