L’adolescenza di Giovanna e la faccia di zia Vittoria

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Il passaggio da una stagione all’altra della vita è inevitabile, eppure rappresenta sempre un imprevisto. Il bambino non sa quale adolescente si ritroverà davanti quando un giorno si guarderà allo specchio. Lo stesso vale per l’adolescente quando diventerà adulto. Nel caso di Giovanna — protagonista di La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante — il passaggio dall’infanzia all’adolescenza è segnato da una frase pronunciata dal padre sul suo conto in un momento di rabbia: «L’adolescenza non c’entra: sta facendo la faccia di Vittoria».

Gli adolescenti e la fragilità

Vittoria è la sorella del padre, una donna che i genitori di Giovanna hanno sempre considerato alla stregua dell’origine di ogni male. «Il nome di Vittoria suonava in casa mia come quello di un essere mostruoso che macchia e infetta chiunque lo sfiori». E alle orecchie di una ragazza che si sta affacciando all’adolescenza sta facendo la faccia di Vittoria suona come Giovanna è brutta. Il vedersi brutti è tipico degli adolescenti, li rende ancora più fragili di quanto non siano. Ogni commento esterno sull’aspetto fisico assume nella loro mente  un peso  sproporzionato rispetto a quello effettivo. 

«Qui mi si potrebbe obiettare: forse stai esagerando, tuo padre non disse alla lettera: Giovanna è brutta. […] Ma mi trovavo in un periodo di grande fragilità. Avevo le mestruazioni da quasi un anno, i seni erano fin troppo visibili e me ne vergognavo, temevo di puzzare, mi lavavo in continuazione, andavo a dormire svogliata e mi svegliavo svogliata. L’unico mio conforto, in quel periodo, l’unica mia certezza, era che lui adorava assolutamente tutto di me». Si sa, ogni padre considera bellissima la sua bambina. Ma Giovanna non è più una bambina, i suoi pensieri e le sue opinioni non possono più vivere della luce riflessa di quelli dei suoi genitori, i suoi comportamenti non riescono più a aderire perfettamente al modello educativo che le è sempre stato imposto. 

L’infrazione della regola

Non si può parlare di ribellione, non all’inizio del romanzo almeno. Semplicemente Giovanna non riesce a andare più bene a scuola come un tempo («Studiavo fino allo stremo, ma i risultati continuavano a essere deludenti») e quindi non riesce più a accontentare i genitori («[la loro] scontentezza opacizzava in me ogni cosa»). La bruttezza e l’inettitudine da cui sente di essere affetta non si inquadrano più nel mondo colto, composto e pieno di parole gentili in cui è stata cresciuta. La paura di essere esclusa, di finire davvero per diventare terribile e reietta come zia Vittoria, la spinge a desiderare di vedere con i suoi occhi com’è questa faccia e quanto davvero le somiglia. («Al mattino mi convinsi che, se volevo salvarmi, dovevo andare a vedere com’era realmente la faccia di zia Vittoria»). 

Questa decisione è la prima vera scelta autonoma di Giovanna; il primo atto di disubbidienza fatto alle spalle dei genitori. Assistiamo a una sorta di rito di passaggio, un metaforico taglio del cordone ombelicale. Fino a quel momento la bambina si è accontentata della versione degli adulti. L’ha fatta sua fidandosi ciecamente, senza domandarsi se fosse la verità. Ma quella frase e soprattutto il tono inusualmente sguaiato di suo padre, fanno intravedere all’adolescente un uomo nuovo, molto diverso da quello impeccabile che l’aveva sempre adorata. Un uomo di cui forse — inconsciamente — non si fida più del tutto perché ne intravede le paure, le imperfezioni, i tasti dolenti. 

La ricerca e l’emancipazione

«Mio padre […] viveva in assoluta autonomia, come se si fosse autogenerato», invece ha alle spalle una famiglia di cui non va fiero, con cui ha rapporti tesi per una qualche «storia di torti fatti e ricevuti». Una famiglia — e soprattutto una sorella — che ha cercato di seppellire nel suo passato studiando, laudeandosi, bandendo il dialetto napoletano dalla propria casa, distinguendosi dalla gente del quartiere popolare in cui è cresciuto. Ed è proprio dalla voglia di chiarire mistero che avvolge questa famiglia (e questa sorella) che Giovanna inizia la sua strada verso l’autonomia.  

Cerca zia Vittoria nelle foto di famiglia, il suo numero di telefono nell’elenco, la sua casa sulla cartina topografica di Napoli. La sua determinazione è tale che alla fine i genitori si convincono a fargliela incontrare, e quando finalmente Giovanna si presenta alla porta di sua zia, scopre che è molto diversa da come la immaginava: «Le guardai per pochi secondi il viso senza trucco, poi fissai il pavimento. Vittoria mi sembrò di una bellezza così insopportabile che considerarla brutta diventava una necessità». Nonostante i modi ruvidi, l’adolescente ne resta attratta. E nella sua vita questa attrazione finisce per segnare un punto di svolta e di non ritorno.

Foto di Free-Photos da Pixabay

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