La strategia mediatica della morte

sotloffimagesNQHSL3ZTL’ISIS ha ucciso davanti a una telecamera anche il giornalista americano Steven Sotloff, due settimane dopo la morte di James Foley. Stessa scena, stesso esecutore, altro  messaggio contro l’ l’America per il suo intervento militare in Iraq contro il gruppo comandato da Abu Bakr al Baghdadi.  

Una esecuzione attuata come un copione, che fa quasi sospettare che gli omicidi siano stati commessi nello stesso momento.

Alla fine dei quasi tre minuti appare anche l’ostaggio inglese David Cawthorne Haines, il prossimo sulla lista delle uccisioni, come nel messaggio precedente era apparso Sotloff.

Ci si pone una domanda qual è la strategia dell’ISIS? Ma soprattutto perché ha scelto come obiettivo i giornalisti? Quale  è la strategia mediatica considerando che l’ISIS ha una sua capacità ed una organizzazione che dimostra una buona padronanza dell’uso dei mezzi di comunicazione?

Intanto una risposta può essere data. Nei paesi anglosassoni ma soprattutto negli Stati Uniti il potere dei mass media è fortissimo. Si può dire, senza ombra di dubbio, che il problema per il  potere sia economico che politico è come si diceva una volta quello della “carta stampata”,  o come raccontò Orson Welles in uno stupendo film il “Quarto Potere”.

Il potere dei mass media in USA è immenso, che non risparmia nessuno, neanche il Presidente, come successe con Nixon, per il caso Watergate, costringendolo alle dimissioni. Più recentemente anche il Presidente Clinton rischiò di doversi dimettere per una  banale storia di “infedeltà”.

Crediamo quindi che l’uccisione di  un giornalista americano, videoregistrandola,  è una scelta sicuramente strategica,  mirata,  decisa a tavolino. Non a caso nel video vi è un messaggio specifico verso il Presidente Obama, con minacce di più gravi ritorsioni nel caso la politica americana decida ulteriori interventi in Iraq.

Gli stessi colori, il nero colore dell’Islamismo radicale, la Pietra nera della Mecca, e l’arancione della vittima, in riferimento alle divise usate in USA dai  prigionieri, soprattutto a Guantanamo.

Anche l’esecutore, identificato in uno  Jjadista convertito, proveniente dall’Inghilterra non è lasciato al caso. Si vuole affermare che il nemico è all’interno, che ha fatto breccia, nello stesso tessuto culturale e sociale dell’occidente, e che quindi sarà disposto a compiere atti estremi ovunque e comunque.

Ma perché colpire i giornalisti?

La scelta di colpire la stampa statunitense,  significa colpire un elemento vitale della nazione, un potere che ha grande influenza sulla vita politica ed economica degli Stati Uniti in grado, molto di più che in altri paesi, di indirizzare anche la politica del Governo.

Come tutti gli atti di terrorismo il primo obiettivo è quello di incutere paura. Una minaccia verso la stampa, verso quei giornalisti corrispondenti di guerra che tentano di conoscere quello che succede nelle aree di guerra, fornire informazioni, valutare la reale consistenza delle minacce, è fondamentale.

Ridurre la loro presenza o incanalarli solo all’interno di informazioni che si vuole che escano è sicuramente un punto di forza.

Un secondo aspetto è più strategico, perché pone diversi scenari.

Colpire la stampa può essere un elemento fondamentale per influenzare le scelte dell’amministrazione americana.

Come sempre ci sarà chi prenderà posizione per un non intervento degli USA in una altra guerra in Iraq.

E qui le ragioni sono molte, dal grande dispendio di risorse economiche per le precedenti guerre, che hanno influito pesantemente sull’economia americana, agli alti costi di vite umane per i militari deceduti, ma anche per quelli tornati con gravi ferite,  non solo fisiche ma anche psicologiche, che avranno bisogno di cure per lunghi anni. In USA il problema dei “reduci” è un problema molto sentito.

Al contrario ci sarà chi vede  nella morte di un cittadino statunitense un attacco alla nazione, a cui bisogna assolutamente rispondere.

Su questo gli americani sono assolutamente convinti. Colpire un cittadino americano in qualsiasi parte del mondo è colpire l’America e quindi occorre dare una risposta.

Figuriamoci poi se questo cittadino è un giornalista, che svolge il suo lavoro, che negli USA è protetto dalla  Costituzione.  Da questo lato è sicura quindi una richiesta di intervento.

La somma di questi due elementi alla fine rende l’Amministrazione Obama bloccata, non tanto da un punto di vista strategico-tattico,  ma soprattutto da un punto di vista politico.

Barack Obama è alla fine del suo mandato, nel linguaggio politico statunitense, il presidente viene definito come ”lame duck”, (anatra zoppa),  nel senso che ha ancora le sue prerogative, ma ovviamente sono molto inferiori a quelle di inizio mandato.

Non va dimenticato come in questo periodo iniziano le grandi manovre per la scelta del candidato alla prossima Presidenza.

I democratici al momento sembrano puntare su Hillary Clinton, su cui pende però il grave errore della morte del diplomatico americano a Bengasi, e questo potrà indebolirla molto durante la sua possibile corsa alla Presidenza.

Si può anche ipotizzare che Barack Obama non voglia lasciare in eredità, ad un futuro presidente proveniente dal suo partito,  un conflitto sanguinoso che può non avere soluzione nel breve periodo.

I repubblicani al momento tacciono, anche se non negano il loro appoggio al Congresso sulla decisione dei raid aerei. Ma è anche vero che proprio sotto la presidenza dei Bush, gli USA si sono infilati nelle guerre senza fine in Iraq e Afganistan. Come si dice, attendono gli eventi.

Parlando della situazione dello Stato islamico in Iraq e in Siria, il presidente americano Barack Obama ha ammesso: “Non abbiamo ancora una strategia”.  Questa ammissione dimostra senza ombra di dubbio la debolezza degli Stati Uniti, ma anche dei suoi alleati.

Su questa debolezza si muove l’ISIS che comunque vada sembra uscirne vincitore.

Un intervento militare a terra rinsalderebbe il fronte islamico anti USA e anti occidente.  Se gli USA rinunciano a intervenire, dimostrano la loro debolezza e quindi per l’ISIS è un risultato ancora più importante, perché  possono affermare che la loro forza rende gli USA deboli.

In tutti e due i casi, per come si prospetta la situazione l’ISIS si accredita sempre di più come  punto di riferimento ideologico religioso, il Califfato  e quindi raggiungere una grande fascia di adepti in tutto il mondo.

Una breve nota. Quando ci fu l’attacco alle Torri gemelle nel 2001, si sono fatte molte  teorie più o meno complottiste, su chi potesse aver organizzato o supportato l’attentato. Ma una cosa fu evidente.

Chi preparò nei dettagli l’attacco, conosceva bene i sistemi di allarme aereo dei voli civili americani, dando un giusto margine di tempo, per dirottare gli aerei e puntarli sugli obiettivi, prima che scattasse l’allarme dalle torri di controllo.

Possiamo azzardare che chi organizza gli omicidi in diretta dei giornalisti, non sia qualcuno che conosce approfonditamente, non solo le strategie di impatto mediatico dell’atto terroristico, ma anche come questo, portato contro i giornalisti coinvolga in prima persona il sistema dei mass media e in modo tale da influenzare la politica USA?

di Gianfranco Marullo 

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