La scelta di Eveline

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Eveline di James Joyce è uno dei racconti più famosi di Gente di Dublino e tratta in modo significativo un tema che percorre l’intera raccolta: la paralisi. Una paralisi dell’anima che nell’ultima parte della narrazione diventa fisica e neutralizza ogni capacità di scelta. Perché in fondo è proprio la pressione di dover compiere una scelta a paralizzare Eveline. Restare a Dublino per occuparsi della famiglia oppure partire per l’Argentina con il marinaio di cui si è innamorata? La scelta appare scontata.

L’imprevisto e l’occasione

Il padre è violento, la madre è morta e la finestra della sua stanza sa mostrarle solo quanto il prima sia migliore dell’adesso e quanto il fuori sia migliore del dentro. Le costruzioni grandi e anonime che sono sorte di recente non reggono il confronto con il terreno spoglio su cui giocava da bambina; e nemmeno la sua stanza piena di oggetti da spolverare una volta alla settimana sono paragonabili alla casa argentina che il suo Frank le ha promesso:  «Frank era molto gentile, risoluto, di animo aperto. Stava per scappare con lui nel vapore della sera per diventare sua moglie e vivere con lui a Buenos Aires, dove una casa tutta per lei l’aspettava».

L’incontro con Frank rappresenta l’unico vero imprevisto di questo racconto. Non impone a Eveline una svolta, ma le offre un’alternativa. Tocca a lei decidere se cogliere l’opportunità di un destino diverso o meno. Se si affidasse solo alle sensazioni che le suscita la vista non avrebbe dubbi. Tuttavia il senso dominante in questo racconto è l’udito ed è proprio un suono a riportare a galla l’unico ricordo capace di trattenere la ragazza tra le mura domestiche. «Le arrivava all’orecchio il suono di un organetto ambulante che suonava lontano sul viale. Conosceva quel motivo. Strano che fosse capitato proprio quella sera a ricordarle la promessa fatta alla mamma di tenere la casa unita il più possibile». 

L’angosciosa incertezza

Il ricordo dell’ultima preghiera della madre le provoca un moto di terrore, anticamera dell’angoscia profonda che le causerà la paralisi finale. Nell’agitazione Eveline cerca di convincersi che la scelta di seguire Frank sia la più giusta e a seguito di un piccolo salto temporale la vediamo approdare al secondo scenario del racconto: il porto. Finalmente siamo fuori di casa, è il momento dell’azione ma improvvisamente la prospettiva di un futuro luminoso sparisce dietro un presente dai connotati sinistri, quasi violenti. 

La «massa immobile e nera della nave accostata alla banchina», il «lugubre sibilo nella nebbia», il suono del campanello che colpisce il cuore, i marosi che minacciano di annegarla… In realtà è tutto un effetto della «angosciosa incertezza» che le sale da dentro, la stessa che la fa impallidire e le dà la nausea. E allora ecco che la ragazza si aggrappa con tutte e due le mani al parapetto di ferro, rifiuta di scegliere e non scegliendo opta per il non-cambiamento.  

La rinuncia

Fin dall’inizio del racconto Eveline si prospetta come un personaggio fermo. «Stava seduta alla finestra osservando la sera che scendeva sul viale, con la testa appoggiata alle tendine e nelle narici l’odore del crétonne polveroso; si sentiva stanca». Evidentemente è più brava a osservare lo scorrere della vita da dietro il vetro di una finestra che a vivere un’avventura in prima persona. E dato che il racconto — pur essendo in terza persona — è tutto narrato dal punto di vista della ragazza non stupisce che ci siano pochissimi momenti d’azione e tanti momenti contemplativi in cui viene dato libero sfogo alla memoria e alla riflessione. 

Eveline si ripromette di non diventare una donna sottomessa come sua madre, ma alla fine è lei stessa a scegliere di farsi sopraffare dagli eventi. Aggrappata al parapetto, lascia che Frank venga trascinato sulla nave dalla folla e che parta senza di lei. Questo accade un attimo dopo che aveva pregato Dio «che la guidasse, che le indicasse qual era il suo dovere». Rifiutando l’azione la ragazza rifiuta le redini della sua stessa vita, e la sua vicenda non può che chiudersi nel solco dello smarrimento e di una passività senza soluzione: «Lui fu sospinto al di là dei cancelli e le gridò di seguirlo. […] Lei rivolse verso di lui il suo volto impallidito, passivo, come quello di un animale smarrito. I suoi occhi non diedero un segno, né di amore né di addio; non sembravano nemmeno riconoscerlo».

Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

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