La rivincita di Allegri e Pioli: quando i nomi non contano

allegri-e-pioliIn quanti si aspettavano una stagione del genere da parte di Juventus e Lazio? Pochi, pochissimi. Forse si poteva ipotizzare il quarto scudetto consecutivo della Juventus, obiettivo comunque per nulla scontato visto le premesse di inizio anno. La Roma che faceva paura, la sensazione di appagamento che si respirava nello spogliatoio e l’addio di Conte non lasciavano presagire nulla di buono nell’ambiente bianconero.

Se poi si pensa che la stagione si è conclusa con la conquista della decima Coppa Italia e il raggiungimento della finale di Champions League, i connotati della stagione diventano leggendari. Discorso simile per la Lazio, dove Pioli è riuscito a portare la sua squadra ad un insperato terzo posto dopo il nono dell’anno scorso. Era difficile, se non impossibile, per i tifosi laziali sperare in un piazzamento del genere. Ancora più difficile pensare che questi traguardi siano stati raggiunti da chi, all’inizio della loro avventura, era stato accolto con freddezza, per usare un eufemismo, da piazza e addetti ai lavori.

IL TECNICO NON VOLUTO – L’avventura di Allegri sulla panchina della Juventus è iniziata in maniera del tutto inaspettata. Era metà Luglio, quando Antonio Conte, attuale c.t. della nazionale italiana, rassegnava le proprie dimissioni da allenatore juventino. Il tecnico pugliese riteneva che non ci fossero più le condizioni per portare avanti il progetto di crescita che aveva condotto egregiamente fino a quel momento. La ragione principale che aveva portato Conte a quella drastica decisione era da attribuire alla poca fiducia che il tecnico riponeva nella società in sede di mercato, non riteneva infatti adeguata la rosa per competere a livello europeo.

Inutile dire quanto sia stato doloroso per i tifosi bianconeri quell’addio così improvviso, l’uomo che aveva portato la Juventus alla conquista di tre scudetti consecutivi li abbandonava per lasciarli in mani ancora ignote. La società bianconera non si fece comunque trovare impreparata e poche ore dopo l’annuncio di Conte ufficializzava l’arrivo sulla panchina della Juventus di Massimiliano Allegri. Quella decisione aveva però scatenato quasi una rivolta popolare tra i tifosi juventini che non ritenevano adatto il tecnico toscano per guidare una squadra così prestigiosa. Nonostante il campionato vinto col Milan, i tifosi imputavano al nuovo tecnico una scarsa esperienza a livello nazionale, ma soprattutto a livello europeo. Sono bastati però solo pochi mesi a Massimiliano Allegri per far ricredere tutti.

L’allenatore si è fatto apprezzare fin da subito dallo spogliatoio riuscendo a sostituire gradualmente l’ingombrante figura di Conte. Intelligentemente non ha imposto da subito i suoi schemi di gioco, ma ha iniziato il campionato col collaudato 3-5-2, schema che ha portato la Juventus a dominare per tre anni in Italia. Dopo le prime convincenti vittorie, si è sentito in diritto di poter importare le sue idee, improntando la squadra su un 4-3-1-2, modulo che ha permesso di sfruttare al meglio le caratteristiche dei suoi uomini. La squadra ha continuato a vincere, e l’ha fatto in modo convincente, nulla di così sbalorditivo se si pensa alla rosa della Juventus, ma il vero salto di qualità la quadra l’aveva fatto nella mentalità, requisito fondamentale per sperare di poter far bene nelle competizioni europee. Allegri è riuscito là dove Conte non aveva osato arrivare, ha regalato alla sua squadra una dimensione europea. Ha vinto campionato, Coppa Italia ed è arrivato in finale di Champions League, che a prescindere dal risultato è già di per sé un risultato straordinario. Ora Agnelli e Marotta possono esultare, la loro Juventus, grazie soprattutto al loro allenatore, si è seduta a quel tanto agognato tavolo da 100 euro e sperano di poterci rimane ancora per molto tempo.

L’OCCASIONE DI PIOLI – Discorso analogo va fatto per Stefano Pioli. Il tecnico parmense dopo le esperienze con Chievo Verona, Palermo e Bologna, nel Giugno di quest’anno si accingeva ad affrontare l’esperienza più importante della sua carriera, e lo faceva in una delle piazze più calde e umorali d’Italia, quella della Lazio. Dopo il nono posto dell’anno prima, i tifosi laziali auspicavano la venuta di un allenatore di caratura internazionale per tentare di aprire un nuovo ciclo vincente. Il nome di Pioli non aveva però suscitato grande entusiasmo nell’ambiente laziale che non riteneva il nuovo allenatore in grado di reggere la pressione della piazza romana.

Anche in questo caso Pioli è riuscito a far ricredere i suoi detrattori, anzi, è andato oltre, è riuscito a riunire “un popolo”, come ha definito lui stesso la tifoseria laziale. Ha ricucito un rapporto ormai logoro tra tifosi e dirigenza, e l’ha fatto attraverso le prestazioni della sua squadra. Calcio offensivo e attaccamento alla maglia, questi gli ingredienti che hanno permesso alla Lazio di raggiungere il terzo posto esprimendo un calcio propositivo e divertente. Un altro merito da attribuire a Pioli è quello di aver rivalutato un “patrimonio” come Felipe Anderson. Il talento di Brasilia all’inizio della sua avventura laziale era visto come un oggetto misterioso, al suo primo anno, anche a causa di un infortunio che gli aveva fatto saltare la preparazione, era stato utilizzato col contagocce da Reja col rischio di bruciarlo. A dire il vero anche Pioli al suo arrivo è stato restìo nel schierarlo titolare, ma complice l’infortunio di Candreva, il tecnico laziale è stato bravo a dargli la fiducia giusta per permettergli di esprimere il suo potenziale. Lotito gongola, il brasiliano ora vale almeno 30 milioni, ma per il momento non ha nessuna intenzione di cederlo perché vuole provare a portare la Lazio ancora più in alto, e vuole farlo insieme al suo allenatore.

di Giacomo Chiuchiolo

foto: calciomercatonews.com

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