La parola “giusta” per spiegare l’orrore di Napoli

L'arresto dell'uomo armato di un fucile a pompa che ha sparato da un balcone uccidendo diverse persone nel quartiere Secondigliano. Napoli, 15 Maggio 2015. ANSA/CESARE ABBATE

Ieri a Napoli si è sparato. Non c’entrano la camorra e la criminalità, ieri a Napoli a sparare è stato Giulio Murolo, una persona perbene. 

Giulio aiuta le persone, allevia le loro sofferenze in una corsia d’ospedale, somministra farmaci, sistema cuscini, ascolta lamenti e gemiti, sorride e svolge il suo lavoro con passione. Tiene in vita corpi malati, lotta contro il male, sfida la malattia, prova a riportare alla vita. Vive la sua quotidianità ma parla poco, la sua balbuzie lo rende timido e introverso, preferisce tenere il suo mondo lontano dal luogo di lavoro, non racconta di sé.

Ama le armi e ama sparare per uccidere le sue prede durante le battute di caccia, l’arsenale a casa sua racconta della sua passione. L’arma che sceglie in quel venerdì nero non è per una preda da portare in tavola, il fucile a pompa gli serve per causare dolore e morte a persone ignare del suo intento, alla sua stessa famiglia, a chi ha la sfortuna di passare sotto il suo balcone.

Giulio spara e uccide, ha buona mira, non sbaglia. Spara ancora e ancora causando la morte di quattro persone e il ferimento di altre sei, chiunque ha cercato di fermarlo è stato colpito a sangue freddo e con precisione. Ha generato orrore e sapeva di farlo, colpo dopo colpo, vittima dopo vittima.

Quando è stato arrestato ha pregato di non essere ucciso. In quel momento ha pensato al valore della vita? Della sua vita dopo l’orrore della morte vile e violenta che ha procurato?

Ed eccole le parole per spiegare l’accaduto: raptus, follia, perdita di coscienza, odio. La parola giusta però non viene menzionata, la parola giusta, a mio avviso, è: disamore. Disamore verso i legami e i sentimenti, verso la famiglia e il valore dell’esistenza. Disamore che Giulio ha manifestato fuori dall’ambiente di lavoro, perché libero dal vincolo contrattuale che lo obbliga a dover essere amorevole verso i pazienti e giusto e corretto nei confronti dei colleghi.

Disamore ai legami di sangue, al futuro, alla giustizia, alla società, alla responsabilità, alla volontà di creare un domani migliore. Disamore verso sé stesso, verso la persone che sarebbe potuto diventare se fosse stato educato ai valori ed ai sentimenti, disamore nell’esprimere il proprio disagio, disamore verso la fiducia che avrebbe riposto negli altri confidando il proprio male di vivere, disamore nell’affrontare la difficoltà.

E allora Giulio spara. E’ un attimo, non costa la fatica dell’essere uomo forte e coraggioso che affronta l’impegno di sradicare il male, di mostrarsi debole e bisognoso d’aiuto. Di quello stesso aiuto che offre, per contratto.

di Deborah Capasso de Angelis

foto: Ansa

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