La giornata della memoria: non solo evento commemorativo ma educativo

Holos, “tutto intero” e Kaiō,“brucio”: dal greco, holòkaustos, “bruciato interamente”. 

Il 27 gennaio di ogni anno si celebra la Giornata della Memoria, ricorrenza internazionale volta a commemorare le vittime dell’Olocausto. 60 anni prima, esattamente nello stesso giorno, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa abbattevano i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz,divenuto ormai simbolo universale della tragedia ebraica,liberando così i pochi superstiti.

Più della metà degli ebrei presenti in Europa tra il 1933 e il 1945 vennero eliminati ad opera del regime Nazista e dei suoi alleati. La maggior parte degli storici accettano la cifra approssimativa di 6 milioni di vittime di fede giudaica. Tuttavia  la follia razziale  non interessò solo gli ebrei, sebbene ne furono il principale bersaglio, bensì anche tutte quelle “categorie”, che Hitler considerava inferiori alla razza ariana. Per questo, oggi nel termine Olocausto si tende a far rientrare anche le restanti circa 5 milioni di vittime: oppositori politici, omosessuali, malati di mente, disabili, rom, Sinti, Jenish, testimoni di Geova e Slavi. Tutti coloro i quali potessero in qualche modo limitare il suo ‘spazio vitale’ e che andavano dunque sterminati, affinché non contaminassero la purezza della razza superiore. Si parla pertanto di circa 11 milioni di vittime per mano del Nazional-Socialismo (Nazismo), del Fascismo e dell’Olocausto.

Le prime strutture destinate ad imprigionare e poi eliminare i “nemici” furono costruite a partire dal 1933. Questi campi furono usati per diversi scopi: lavori forzati, detenzione, eliminazione dei prigionieri. Alla metà di marzo del 1942, circa il 75 per cento di tutte le future vittime dell’Olocausto era ancora in vita. L’apice fu raggiunto undici mesi dopo, con una intensa ondata di massacri che ebbe come centro la Polonia, dove, data la numerosa presenza di popolazione ebraica,  i nazisti costruirono diversi campi di sterminio, 

I sopravvissuti all’Olocausto sono scampati alla morte, ma non al suo orrore indicibile. Nel tempo aumentano le testimonianze di coloro che trovano la forza di raccontare, storie che danno un volto ed un nome a quelli che per troppo tempo sono stati solo dei numeri e delle “vite indegne”. Tra le migliaia: Denis Avey, soldato inglese che entrò volontariamente ad Auschwitz sostituendosi ad un detenuto ebreo, per raccontarne l’orrore (n. 220543); Primo Levi (n. 174517), che attraverso le sue opere memorialistiche è riuscito a far immedesimare il mondo nella vita di un uomo “che muore per un si o per un no” e che forse non può più essere chiamato tale; Enzo Camerino, arrestato all’età di 14 anni, si tratta del più giovane fra i soli sedici sopravvissuti del rastrellamento del ghetto di Roma a fare ritorno a casa; Alexander Altmann (n. A10567), 14 anni, trova nella sfida di domare il cavallo del comandante di Auschwitz, la speranza di sopravvivere; Smulez Rozental, aveva solo 8 anni quando fu deportato, sopravvissuto a dieci campi; Marta Ascoli, triestina, neppure ebrea ma il suo cognome si, non ha mai cercato di nascondere il numero tatuato sul braccio sinistro, perché “ho sempre pensato che la vergogna di averci marchiato doveva ricadere su chi ce l’aveva imposto”. E molti, molti altri ancora, nonni, bisnonni, “i senza nome”, e tutti coloro i quali hanno scoperto come fosse più sicuro, durante quei terribili anni, non essere nessuno piuttosto che avere un nome o un’identità. 

La giornata della memoria non è solo un evento commemorativo, ma educativo. Un’educazione per cui innocenti hanno pagato con la propria vita e per cui la storia si è macchiata di una pagina che non può essere strappata. E allora insegniamola, educhiamo alla memoria, educhiamo a non dimenticare. Perché è tutta qui “La banalità del male”, nell’odio e nella paura, che pur avendo radici diverse possono condurre alle stesse tragiche conseguenze. In una distorta visione del mondo che considerava la storia come una lotta razziale. Nella storia di quegli “Uomini comuni”e delle loro vite “normali”, fatte di esecuzioni ed eccidi.

E se le ferite del corpo si rimarginano con il tempo, quelle dello spirito mai. Allora raccontare forse diventa terapeutico. “Tu che sei tornato, racconta, se puoi”, perché, abbiamo il dovere morale di ricordare, come anche le parole del presidente Mattarella esortano a fare: “Quel male alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, a distruggere, appena se ne ripresentino le condizioni”.

Fonte foto: tpi.it

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