Cina: la fine del laojiao

CHINA_LAOGAI_2_(448_x_294)Secondo il South China Morning Post, giornale di Hong Kong, il capo della commissione Affari Legali del partito comunista cinese, Meng Jianzhu, avrebbe annunciato la fine del Laodong Jiao (abbreviato in laojiao), ovvero il sistema di “rieducazione attraverso il lavoro” in vigore nel paese.

Non si tratta della condanna penale ai lavori forzati che è rimasta in vigore fino al 1997, ma di una pena amministrativa che può essere comminata senza processo alla quale, secondo il Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite, sono attualmente sottoposte circa 190mila persone (60 mila secondo i media ufficiali).

I condannati al laojiao conservano i propri diritti civili e percepiscono un modesto salario, la possibilità di condanna senza processo rende tuttavia il sistema molto arbitrario se si considera l’utilità di questo tipo di lavoratori per le amministrazioni locali e se si aggiungono le mazzette pagate dai familiari per addolcire la pena dei propri congiunti.

Nei campi, sebbene sia proibito utilizzare questo termine per i centri di reclusione del laojiao, vengono rinchiusi sia i piccoli criminali, sia i dissidenti, i cittadini “petizionisti” che da tutta la Cina si recano a Pechino a reclamare i propri diritti e denunciare gli abusi subiti, ed i praticanti delle religioni censurate dal governo Cinese. Tra questi ultimi spiccano gli appartenenti al movimento del Falun Dafa, una pratica per purificare corpo e mente attraverso esercizi di meditazione ed i cui praticanti sostengono i principi di verità, benevolenza e tolleranza diffondendo la pratica attraverso il passaparola. La pratica è libera e gratuita e tutti si considerano discepoli. Nonostante ciò il governo cinese si è sentito minacciato dal numero crescente di appartenenti al movimento iniziandone la vera e propria repressione a partire dal 1999.

Proprio gli adepti del Falun Dafa sono oggi tra i maggiori accusatori della pratica del laojiao in Cina, sul loro sito ufficiale, www.clearwisdom.net, vengono da tempo denunciate le condizioni disumane cui vengono sottoposti i prigionieri, e si denuncia l’utilizzo dei prigionieri come donatori involontari di organi, cosa della quale tutt’oggi non esistono prove certe.

Negli anni molti governi nazionali ed organizzazioni internazionali si sono apertamente espressi contro il laojiao e contro i metodi usati al suo interno, in particolare il Parlamento Europeo nel 2006 ha approvato una risoluzione secondo cui  il parlamento condanna l’esistenza dei campi di lavoro Laogai sparsi nel paese, nei quali la Repubblica Popolare Cinese detiene attivisti favorevoli alla democrazia ed ai sindacati e membri di minoranze senza un giusto processo, costringendoli a lavorare in terribili condizioni e senza cure mediche. Su ogni bene esportato la Cina deve dare garanzia scritta che non è prodotto nei Laogai e, in mancanza di quest’assicurazione, la Commissione deve proibirne l’importazione nell’UE”.

La riforma si pone nell’ambito del tentativo di accreditamento della nuova leadership cinese, che già ha fatto discutere di sé per la decisione di inasprire i controlli sul web, e sicuramente troverà l’opposizione dei potenti locali.

di Claudia Durantini

foto: asianews.it

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