La cultura finanziaria. Il salvavita dei risparmiatori

RisparmioUno studio condotto recentemente da un’importante università americana, rivela che gli Stati Uniti sono al quattordicesimo posto nel mondo per cultura finanziaria. Lo stesso studio colloca il nostro paese cinquanta posti più in basso, ma mentre in America questo fatto ha suscitato un importante dibattito, da noi pochissimi sono a conoscenza di questo preoccupante dato.

All’indomani del crac che ha coinvolto le 4 banche “locali”, si preferisce intraprendere la strada della resa dei conti tra bande piuttosto che interrogarsi su come evitare che quanto accaduto abbia a ripetersi.

Il Governo ha intrapreso la strada, corretta a nostro modo di vedere, di affidare gli arbitrati che dovranno stabilire anzitutto cosa è esattamente accaduto e individuare, ove vi siano, precise responsabilità individuali rispetto a casi specifici, all’Autorità Nazionale Anticorruzione che ha già al proprio interno una Camera Arbitrale (che istituzionalmente si occupa di altro).

Questa scelta del Governo ci appare sensata e, a nostro avviso, non delegittima, come pure è stato sostenuto, le istituzioni, ma, al contrario, crea un forte momento di discontinuità rispetto a quanto accaduto e restituisce, nei limiti del possibile fiducia nei confronti di un sistema che, di fatto, ha dato l’impressione di non essere pienamente in grado di proteggere i risparmiatori.

Per voce dei suoi massimi organi la Banca d’Italia ha più volte riaffermato che nel corso di questi anni ha operato secondo quanto era nei suoi poteri del tempo, si è confrontata con l’altro organismo di vigilanza, la Consob, e ha adottato ogni provvedimento utile e lecito. Fare di più e andare oltre avrebbe travalicato i suoi poteri e non vi è la certezza che si sarebbero ottenuti risultati migliori date le condizioni in essere.

Sarebbe stato più utile diffondere notizie che avrebbero indotto il panico e scatenato magari anche la speculazione? Negli anni passati, dal 2011 al 2013 a fronte della crisi, prima finanziaria e poi economica venutasi a creare già alla fine del 2008, i paesi europei che, nel rispetto delle regole all’epoca vigenti, hanno potuto intervenire a sostegno del proprio sistema bancario lo hanno fatto.

Per citare solo alcuni casi, la Germania ha immesso risorse a supporto delle proprie banche per 247 miliardi di Euro. Per importi diversi sono intervenuti nei confronti dei rispettivi sistemi anche Francia, Olanda, Belgio e Inghilterra. La Spagna invece, nel 2012, ha utilizzato circa 40 miliardi di fondi europei per il salvataggio del suo sistema bancario.

Avrebbe l’Italia potuto fare altrettanto per mettere in sicurezza anche il nostro? Paradossalmente, per ragioni anche storiche e culturali legate al tipo di struttura e alle attività dei nostri istituti di credito, il nostro sistema bancario era e rimane, tutto sommato, solido soprattutto dal punto di vista della capitalizzazione. Non vi sarebbero state quindi particolari ragioni per intervenire, ma, soprattutto, non ci sarebbero stati soldi per farlo.

Oltre a ciò, va detto, non vi erano neppure ragioni di convenienza politica. A novembre 2011 lo spread sul Bund tedesco aveva raggiunto la soglia record di 574 punti base e il rendimento del BTP era schizzato al 7,47%. A luglio 2012, nonostante il cambio di governo e di linea politica, lo spread era tornato sopra i 500 punti base. Interventi di ricapitalizzazione del nostro sistema bancario a spese della collettività sarebbero stati davvero troppo.

Dal 2013 gli interventi “pubblici” a sostegno delle banche sono considerati “aiuti di stato“ e quindi non più ammessi.

Tornando all’operato della Banca d’Italia, considerando che solo nel 2015 gli sono stati concessi maggiori poteri di intervento, riteniamo che nella stragrande maggioranza dei casi operi ed abbia ben operato. Si parla ora di queste quattro banche, ma non si parla degli altri interventi che la Vigilanza della banca d’Italia opera da anni nel sistema e che, in alcuni casi, ha prevenuto o scongiurato crisi ed ha anche determinato il risanamento di alcuni istituti. Se è vero che, trattandosi per lo più di banche di dimensioni nazionali o locali dedite prevalente ad attività “tradizionali”, molte delle nostre banche hanno sofferto meno di altre al tempo della crisi finanziaria, non così è stato per la conseguente crisi economica che ne è derivata.

Attualmente il 14 % dei crediti delle banche è in sofferenza e questo dato non può sorprendere se si riflette che negli ultimi anni il nostro paese ha perso 9 punti percentuali di PIL ed il 25% della produttività industriale. Di ciò hanno sofferto prevalentemente le banche più piccole sulle quali, prevalentemente, si sono scaricate le maggiori tensioni economiche.

Un ministro della Repubblica, certamente colto e benestante, ha sostenuto che con la cultura non si mangia, ma una corretta cultura finanziaria contribuisce a sopravvivere, quando non addirittura, come nel drammatico caso del pensionato di Civitavecchia, a non morire.

Per questo, senza volersi addentrare in complessi discorsi di contenuto finanziario, valgano solo poche regole di buon senso: 1) le banche sono imprese come le altre e come tutte le imprese possono “fallire”, 2) non esistono investimenti privi di rischio ( gli stessi investimenti in titoli di stato non sono esenti da rischi), 3) a maggior rendimento corrisponde un maggior rischio, 4) occorre sempre diffidare di chi promette rendimenti superiori (di molto superiori) ai rendimenti medi di mercato, 5) mai concentrare tutti i propri risparmi su di un solo investimento (è indispensabile diversificare gli investimenti e i rischi conseguenti).

Non pretendiamo di dare insegnamenti a nessuno, ma semplicemente richiamare l’attenzione su semplici principi di buon senso. Rammentando che le banche sono per legge tenute al rispetto di precisi obblighi di correttezza, diligenza, professionalità, al dovere di fornire adeguate informazioni, a rispettare le regole in tema conflitto d’interessi, ove viene meno l’auto responsabilità e la buona fede che pure dovrebbe presiedere il loro operato (dei loro amministratori, dirigenti fino ai semplici impiegati), solo la consapevolezza del rischio che si assume compiendo una qualunque operazione finanziaria ci può venire in soccorso. Aiutati perché non è affatto detto che la banca ti aiuti.

di Marco Bartolomei

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