La complessità di Penelope: donna detective e anima tormentata

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Nell’Odissea Penelope è la figura che incarna la pazienza e l’amore vero che non si consuma nonostante l’attesa. È curioso come Gianrico Carofiglio abbia scelto proprio questo nome per la sua prima detective donna. La protagonista di La disciplina di Penelope infatti è un ex pubblico ministero scontroso e solitario, refrattario alle storie durature e soprattutto estremamente impaziente. «Quando facevo il pubblico ministero e magari dovevo preparare un’udienza su un fascicolo non mio […] leggevo velocissima, cercavo l’essenziale e mi fidavo della mia capacità di improvvisare in udienza. Corrispondeva a come sono, quel metodo, ed era indispensabile per sopravvivere nel mare di fascicoli che ogni giorno mi passavano per le mani». 

Un’impazienza che non scade mai nella trascuratezza, ma che anzi dà prova di un’intelligenza vorace ansiosa di tradurre subito in azione i dati che ingloba. Peculiarità messa particolarmente in risalto da una narrazione che procede a ritmi sostenuti e che si sofferma solo sugli aspetti davvero utili a rendere una visione esatta dei fatti e della personalità della protagonista. Narrazione tra l’altro filtrata direttamente dallo sguardo di Penelope, che conferma la sua femminilità in ogni pagina nonostante l’autore del romanzo sia un uomo.

I chiari e gli scuri

Nel primo capitolo del romanzo troviamo già diversi elementi che delineano la personalità della protagonista. Il tormento che si esplica in sonni agitati e discontinui, l’inconsistenza dei rapporti mordi e fuggi con uomini di cui la mattina dopo non ricorda nemmeno il nome, la capacità di leggere negli oggetti la verità su chi li possiede, la generosità di fronte alla miseria. In sintesi, vediamo una Penelope cinica e inquieta, che tratta le persone vuote come oggetti da usare e deridere e prova una profonda pietà per un vecchio compagno di scuola ridotto a fare il barbone. Un profilo psicologico complesso i cui chiaroscuri vengono introdotti prima di qualsiasi notizia anagrafica.  

Andando avanti con la lettura ci accorgiamo che gli elementi di contrasto aumentano e Penelope diventa un personaggio sempre più difficile da inquadrare in un preciso “tipo” di donna. Da una parte ha un’alimentazione da manuale e si tiene in forma con l’esercizio fisico; dall’altra fuma e sembra pericolosamente vicina al baratro dell’alcolismo. Da una parte dimostra uno spiccato talento analitico, dall’altra fatica di dare un nome alle emozioni che prova, e dunque a controllarle. Da una parte non crede che un caso d’omicidio possa essere risolto al di fuori delle vie istituzionali; dall’altra — quando Mario Rossi le chiede di cercare l’assassino della moglie — non riesce a sottrarsi dal compito, pur dovendo lavorare in veste di investigatore privato.

La luce della vocazione nella confusione dell’anima

Tuttavia sono proprio incoerenze e imperfezioni a rendere Penelope un personaggio realistico, umano. Incapace di trovare un equilibrio tra il bisogno di avere un controllo assoluto sulla propria vita e i limiti umani che rendono ciò impossibile, oscilla perennemente tra l’ordine e il disordine, tra comportamenti costruttivi e azioni autodistruttive. L’unica cosa certa è che Penelope ha la necessità di cercare la verità in nome della giustizia. Lo faceva da pubblico ministero e si ritrova a farlo ora da detective privata, nonostante cerchi di convincersi che i delitti appartengano a una vita perduta per sempre.

«Dentro di me si scatenò un accanito dibattito. Una parte diceva che in fondo potevo guardare quegli atti, senza impegnarmi a nulla [..]. Giusto un’occhiata, per vedere se caso mai esisteva uno spunto investigativo trascurato […]. Un’altra parte diceva invece di lasciar perdere: la persona che ero quando mi occupavo di quelle cose era andata per sempre, quell’esistenza era andata per sempre, cercare di riportarle in vita era solo una velleità patetica e triste». Ma si sa, l’imprevisto sta sempre dietro l’angolo, pronto a smentirci. Nel caso di Penelope ha la forma di un caso irrisolto che serve a ricondurla alla sua missione. A ricordarle che le vocazioni non si scelgono, ma vanno assecondate perché sono l’unico modo per fare po’ di chiarezza quando nell’anima c’è confusione.

Foto di Stefan Keller da Pixabay

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