La Cina è vicina. Troppo

La Cina è vicina” era il titolo di un famoso film degli anni ’70 diretto dal regista Marco Bellocchio, tratto dal libro di qualche anno prima di Enrico Emanuelli.

Il film

Un film legato alle vicende di una nobile famiglia di provincia italiana con velleità politiche che s’intrecciavano a quelle classiche e più pruriginose del sesso e dei soldi, negli anni frizzanti della contestazione sessantottina in Italia.

Quando i giovani iniziavano la loro ingenua e generosa ribellione generazionale, attratti dalle dottrine della Cina rivoluzionaria e maoista e sulla scena si affacciavano i primi prototipi di una classe dirigente cinica e trasformista, che inizierà ad arricchirsi e a fare scempio delle risorse pubbliche del paese. Il film si conclude con il maoista Camillo che aizzerà una torma di cani e gatti contro il comizio elettorale di uno di quei personaggi. Un film di speranza, o d’illusione e comunque profetico, almeno nel titolo.

Il nuovo capitalismo

Perché al dunque e nonostante tutto, nonostante le vicende nazionali e internazionali, la morte di Mao, il comunismo che nel frattempo è diventato nuovo capitalismo e i cinesi che dalla giubba sono passati alla giacca e cravatta, dai carretti alle Ferrari e dalle pagode ai grattacieli avveniristici, la Cina ci è arrivata vicino…. anzi, vicinissimo.

E non soltanto perché si è insediata dirimpetto alle nostre coste, nell’Africa subsahariana dove ormai si parla più il mandarino che il portoghese o il wolof, ma perché da tempo i cinesi sono entrati pure in casa nostra, in Italia, a Roma, a Milano, a Padova, a Napoli, in Sicilia.

Prima con i ristorantini a basso prezzo e i negozietti a mille lire e poi con vere e proprie “Cinatow” da fare invidia a quelle più antiche e blasonate inglesi e americane.

Economia cinese

Da anni, inoltre, attraverso l’avanzamento della finanza globalista sono riusciti, con una penetrazione invisibile e silenziosa, a farsi spazio nei mercati mondiali tale da indurre il battagliero e preoccupato presidente americano Trump a minacciare sanzioni, dazi e addirittura a mostrare i muscoli, se i pericolosi “musi gialli” non faranno qualche passo indietro e non allenteranno la morsa che li ha portati a essere, tra l’altro, i primi detentori del debito estero americano, di quello africano e a breve, ci dicono gli ultimi studi, di molte delle provincie più disastrate della vecchia Europa. A incominciare dalla Grecia, passando per Cipro, Israele, la Turchia, la Spagna, l’Egitto, il Marocco per finire con quello italiano che i nostri governanti non vedono l’ora di piazzare al miglior offerente.

Italia, sito essenziale, oggetto dei desideri mai nascosti e passaggio strategico al centro del Mediterraneo per le rotte merceologiche dei figli del Dragone. Che all’inizio arrivavano solo per fare shopping: di merci e abbigliamento soprattutto della moda e del lusso; comprando e pagando bene e in contanti e in seguito, come nel continente africano hanno iniziato a fare incetta di terre, da noi sono passati agli appartamenti, alle fabbrichette, ai capannoni, ai siti e ai marchi prestigiosi.

Quartieri cinesi

All’Esquilino a Roma e in via Paolo Sarpi a Milano hanno “cinesizzato” interi quartieri, estromettendo da quei luoghi centrali gli antichi cittadini che li abitavano da diverse generazioni con pagamenti generosi sotto gli occhi distratti delle istituzioni. Convinte e illuse, insieme a torme di imprenditori e affaristi nostrani, di avere in quel modo attivato una via privilegiata per andare alla conquista del grande paese orientale come se fosse una seconda Bengodi, il paese della cuccagna di boccaccesca memoria.

La Nuova Via della Seta

Per ora però sono solo chiacchiere e la scenografica calata in pompa magna del Presidente cinese Xi Jinping a marzo a Roma, accolto come un imperatore medievale con squilli di tromba, corazzieri a cavallo, cene di gala e polemiche governative tra ministri pro e contro, ha prodotto soltanto l’impegno a vendere a Pechino qualche tonnellata di arance siciliane. In cambio ha preteso la firma di un memorandum di regole e principi che ha avuto come risultato quello d’incrinare i rapporti con i nostri alleati storici e rompere l’asse dei paesi del G7, essendo stata l’Italia, unico membro del gruppo ad averlo firmato.

Ben poca cosa tra l’altro, se paragonato ai contratti discussi con la Francia per la fornitura di alcune decine di aerei Airbus pagati intorno ai trentacinque miliardi di euro.

La cultura cinese

Diciamolo: i cinesi sono furbi e sono tanti e più che spendere cercano di vendere; hanno un eloquio forbito e molta, molta pazienza, frutto di una solida cultura orientale perfezionata nei millenni.

Per ora ci illudono facendoci credere che i conquistatori siamo noi, propinandoci la balla della “Nuova via della seta” come moderna reminiscenza dei fasti del Milione di Marco Polo e della Serenissima, dimenticando di dirci che i porti dove passeranno le merci in andata e soprattutto ritorno li controlleranno loro e che nei paesi dove essi sono situati c’è il rischio concreto che diventino zone franche dove sventoli permanentemente la bandiera rossa con le cinque stelle gialle, finendo per essere annoverati a sorta di provincie dell’antico Impero dinastico dei discendenti di Quing, Shang , Ming o Dong.

Per completare il progetto, necessitavano comunque di quelli italiani che più degli altri collegassero l’Europa all’Asia e al Mediterraneo, come Trieste e Genova che noi prontamente ci siamo detti interessati a (s)vendere per un pugno di yen.

Preconcetti, fantascienza, scaramanzia?

Forse o forse è soltanto la costatazione che quella predizione cinematografica di cinquant’anni fa, quando ancora un miliardo di quei signori da poco usciti dal sottosviluppo e da una cruenta rivoluzione popolare pasteggiavano con una ciotola di riso al giorno, si è avverata. Essi sono trasformisti e come il giunco si piegano senza mai spezzarsi, adattandosi alle situazioni nella certezza di raccoglierne i frutti anche a molti anni di distanza.

Costruttori di Imperi

Sono una popolazione antica con una cultura solida e stabile, costruttori di imperi che hanno regnato per centinaia di anni su popolazioni variegate e terre sterminate, mentre noi, per indole e storia siamo più propensi al compromesso, al vassallaggio, alla genuflessione, nella speranza di raccogliere furbescamente e opportunisticamente le briciole cadute dalla tavola imbandita del principe, accogliendo i nuovi amici come alleati, senza capire che saranno presto i nuovi signori, i moderni padroni in casa nostra.

La cultura italiana

Noi vendiamo il bello, la cultura rinascimentale, le idee, la fantasia, il gusto, i sogni, l’arte sacra e quella culinaria; loro li copieranno, qualche volta bene e spesso male e con il tempo ce li rivenderanno.

I cinesi sono tanti e hanno bisogno di mercati dove piazzare le loro merci a buon mercato; così come hanno bisogno di terre da coltivare per il loro sostentamento e luoghi piacevoli dove far vivere in futuro i loro figli.

Lo faranno nell’Africa conquistata silenziosamente ma anche nell’antica Europa, quella abitata dagli uomini dal naso grosso come amano dipingerci e forse dal cervello non particolarmente sviluppato se siamo al punto nel quale ci troviamo.

E già, aveva proprio ragione il regista Bellocchio: La Cina è vicina anzi meglio, la Cina purtroppo o per fortuna (ormai) siamo noi e come direbbero loro: “Nǐ hǎo !” Ciao!

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