La Chiesa, come la luna, non brilla di luce propria, riflette Cristo, che è il suo Sole

basilica

Tutta la terra ti adori, o Dio, inneggi al tuo nome, o Altissimo” è l’antifona d’ingresso che il popolo di Dio, raccolto in preghiera, proclama in questa seconda domenica del tempo ordinario. Un invito all’adorazione e alla lode che la Chiesa innalza quotidianamente non per accrescere la grandezza di Dio ma per ottenere la grazia che salva. La Chiesa, impegnata su tutti i fronti, si sforza di svolgere amorevolmente la sua missione di testimone della fede in diverse maniere, soprattutto con l’appuntamento settimanale della Domenica, “Pasqua della settimana”. Proprio nell’Eucarestia infatti, il cristiano riceve “il gusto di una vita piena, che lo fa camminare su questa terra come pellegrino fiducioso e gioioso, guardando sempre al traguardo della vita che non ha fine” (Preghiera “Mane nobiscum”). Nel Vangelo di questa domenica ci viene presentata nuovamente la figura di Giovanni Battista il quale, illuminato da Dio, rivela senza alcun timore l’identità del Messia: “Ecco l’agnello di Dio” (Gv1, 29), grida, interrompendo ogni mormorìo attorno a sè. È a tutti noto che il termine “agnello” fa riferimento a quello della pasqua ebraica che, ucciso in sacrificio nel tempio, veniva consumato durante la cena pasquale. Il Battista con la sua testimonianza, che è una vera e propria professione di fede, addita Gesù ad Agnello pasquale; Egli è colui che redime definitivamente la precarietà dell’uomo. Inoltre, la simbologia dell’agnello rimanda anche al “Servo di Jahwé” che il profeta Isaia indicava come “condotto al macello” (Is 53,7). Tuttavia, ciò che compie l’Agnello è alquanto straordinario: se da un lato l’agnello presenta dei connotati simili alla fragilità, alla mansuetudine, dall’altro esso è capace persino di “togliere il peccato del mondo”, gesto che, nella mentalità ebraica, avrebbe potuto compiere solo Dio. Il sacrificio di Gesù che viene consumato sulla croce del venerdì santo distrugge, elimina, lava e purifica tutte le fragilità dell’uomo. In Gesù l’uomo riceve nuovamente la perfetta comunione con Dio, perduta a causa del peccato di Adamo ed Eva. “Toglie il peccato del mondo”. Giovanni Battista afferma ciò non perché è legato a Gesù da vincoli di parentela (così ci è tramandato), ma perchè ha “visto lo Spirito discendere e rimanere su di Lui”. Ha compreso perfettamente che Gesù è il Figlio di Dio, il ripieno di Spirito Santo e potenza. Si nota nelle parole del Battista una professione di fede straordinariamente bella e profonda. Il rischio che a volte noi cristiani corriamo è quello di ascoltare solo in superficie tutto ciò che nel Vangelo viene attribuito a Gesù. Quanti di noi, fratelli e sorelle, possiedono una conoscenza di Gesù così profonda da essere paragonata a quella di Giovanni? Gesù ci esorta ad essere “semplici come le colombe ed astuti come serpenti” (Mt 10,16). Vigiliamo, stiamo attenti, perché spesso siamo i primi a manifestare grosse lacune in materia di dottrina cristiana e di agire morale cristiano. Fides si non cogitatur nulla est”, “La fede se non è pensata è nulla, direbbe S. Agostino. Il cristianesimo non è un insieme di pratiche da assolvere o, peggio, di doveri da compiere; prima che dottrina, la nostra fede è una Persona, viva e vera, è Gesù, il Verbo “che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi” (Gv1,14). Se il cristiano non cura questa fondamentale relazione con Cristo, se egli vuole costruire la sua esistenza e il suo futuro a prescindere da Cristo, è uno stolto, proprio come recita il Salmo 53: “è lo stolto a dire che Dio non esiste”. Dinanzi ad una domanda di Gesù non si può rimanere neutrali, occorre sempre rispondere. Come ai cristiani di Corinto (II lettura), anche a noi oggi, S. Paolo consegna l’unità, prerogativa fondamentale perché la Chiesa possa essere una vera comunità d’amore. “Grazia e pace a voi”, era il saluto dei primi cristiani. La grazia e la pace costituiscono la vera identità del cristiano e queste due caratteristiche, che accomunano tutti i battezzati, sono la luce che il credente ha impressa nei suoi occhi. I PP. della Chiesa amavano parlare della Chiesa come del “mysterium lunae”, per evidenziare il fatto che essa, proprio come la luna, non brilla di luce propria, ma riflette Cristo, che è il suo Sole. La grazia e la pace quindi, sono una Persona, Gesù Cristo. Proprio con un chiaro riferimento alla luce si apre il famoso documento sulla Chiesa stilato dal Concilio Vaticano II: “Cristo è la luce delle genti”, “Lumen gentium”. Il credente infatti, è esortato ad “illuminare tutti gli uomini con la luce di Cristo, quella stessa luce che si riflette sul volto della Chiesa” (n. 1). Carissimi, tutte le celebrazioni dell’anno liturgico rappresentano un’esperienza intensa della nostra chiamata a “dare e ad essere luce”; esse inoltre, ci spingono ad interrogarci sempre in maniera nuova su chi sia per noi Gesù. Chiediamocelo oggi: “Chi è davvero Gesù per noi?” Con il Battista rispondiamo subito: “Gesù è il Figlio di Dio”. È un’affermazione questa, che obbliga tutti a prendere una posizione decisiva sul valore dell’esistenza. Il Figlio di Dio è “l’insonnia del mondo” (Paolo VI), la forza che consola, che sana e guarisce, che ripristina pienamente la dignità dell’uomo; è la forza che guida l’uomo di tutti i tempi a ricercare per sé e per gli altri il bene e la pace. La Chiesa attraverso l’annuncio del Vangelo si fa eco ogni giorno di questa professione di fede; possano i credenti crescere sempre più nella santità per manifestare a tutti, senza timore, il volto di un Dio buono e misericordioso, quello stesso volto che Gesù è venuto a rivelarci. Amen.

Fra Frisina

Foto: vatican.va

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