ISTAT: L’Italia è tecnicamente in recessione economica

ISTAT comunica che, alla fine, i nodi vengono al pettine. La recessione economica dell’Italia, in perfetta sincronizzazione con l’avvento del governo lega-stellato, è ora certificata. I dati ufficiali, infatti, hanno confermato le “mani avanti” messe da Giuseppe Conte con le dichiarazioni dell’altro ieri in Assolombarda. La seconda contrazione consecutiva del Pil, anticipata da Conte e confermata dall’ISTAT, indica tecnicamente l’ingresso in una fase di recessione.

Il verdetto ufficiale è giunto dopo poche ore dalle anticipazioni del premier ed è risultato impietoso. nei primi due trimestri 2018 (governo Gentiloni), la crescita registrava ancora un segno + (rispettivamente + 0,3 e +0,2%). Nei successivi, contemporanei alla gestione Conte, si è registrato prima un -0,1% e, ora, un -0,2%. Il dato fa ritenere addirittura ottimistiche le previsioni di Banca d’Italia e del Fondo monetario internazionale. Secondo tali istituzioni la crescita italiana nel 2019 dovrebbe registrare un +0,6%.

I dati ISTAT fanno ritenere assolutamente irreali le previsioni governative di crescita 2019

Anche se le previsioni BdI e FMI fossero comunque esatte, confermerebbero ugualmente l’erroneità dei presupposti statistici sui quali è stato elaborato dal governo il documento economico finanziario 2019-2021. Il governo, infatti, aveva posto alla base del DEF una crescita 2019 dell’1%, per calcolare una spesa in deficit del 2%. Tali numeri, inoltre, erano stati già ridimensionati a seguito delle pressioni della Commissione europea. La iniziale proposta governativa, infatti, prevedeva una crescita dell’1,5% con il deficit al 2,4%.

Dopo aver messo le “mani avanti”, il Presidente del Consiglio ha poi attribuito la responsabilità della recessione ai «fallimenti del passato». Così il suo vice presidente Di Maio , secondo cui l’Italia non sarebbe affatto uscita dalla crisi mondiale del 2008. E’ stato facile replicare all’ex ministro Padoan, attualmente parlamentare PD. Sotto i governi Renzi e Gentiloni, infatti, si erano registrati ben 14 trimestri consecutivi con la crescita con il segno + ; con l’avvento di Conte, invece, è riapparso il segno meno.

Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, alcuni giorni fa aveva negato l’eventualità di una recessione, definendola soltanto una “stagnazione” (cioè una crescita zero e non un segno meno). Ieri Tria ha rilasciato nuove dichiarazioni. Ha invitato gli operatori dell’informazione e dell’economia a «non drammatizzare», rilevando che il calo della crescita sia un fenomeno generalizzato in tutta Europa. Il problema è che mentre nel resto d’Europa si registra una diminuzione della crescita, in Italia siamo in “decrescita”.

Limiti della legge di bilancio alla luce dei dati ISTAT

Ciò che preoccupa gli economisti, tuttavia, non sono le previsioni, più o meno sbagliate, dei nostri governanti. A preoccupare sono i limiti strutturali della legge di bilancio. La manovra, infatti, ha decisamente privilegiato i consumi, finanziandoli – oltre che con la spesa in deficit – anche con l’azzeramento pressoché totale degli investimenti. Il reddito di cittadinanza e la quota 100, infatti, sono fattori di ridistribuzione del reddito ma non incidono sulla crescita, perché non costituiscono investimenti.

Per onestà di ragionamento, va dato atto al ministro Tria, di aver fatto presente ai suoi colleghi i limiti del cosiddetto “contratto di governo”, all’inizio del suo incarico. Poi, però, è stato costretto a fare il contrario. Così come va detto che anche la misura più popolare del governo Renzi – cioè gli 80 euro – privilegiava ( e continua a privilegiare) i consumi, con un impegno finanziario doppio del reddito di cittadinanza. Gli 80 euro, tuttavia, remunerano i lavoratori, cioè un fattore della produzione, mentre il RdC, essendo diretto ai disoccupati, incentiva a rimanere senza lavoro.

I primi giorni di entrata in vigore di quota 100, inoltre, ha fatto registrare una conseguenza inaspettata, quanto meno da parte dello scrivente. Chi scrive, infatti, riteneva che il pensionamento anticipato fosse una misura penalizzante per il lavoratore, rappresentando una decurtazione troppo sensibile rispetto allo stipendio. Invece, sembra che sarà richiesto da una platea molto superiore al previsto. Ciò significa che il fenomeno del “secondo lavoro” dei dipendenti – cioè del “lavoro nero” – è ancora più esteso di quanto si pensi.

Nella foto il premier Giuseppe Conte, a sinistra, con il ministro dell’Economia Giovanni Tria

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